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Caterina CardamoneWritten by: Progetti

Museo Fellini a Rimini: benvenuti nella “città implicita” del maestro

Museo Fellini a Rimini: benvenuti nella “città implicita” del maestro

Visita al museo finalmente inaugurato nei suoi tre siti, in una città che guarda oltre il turismo balneare

 

RIMINI. Il 12 dicembre, con l’inaugurazione delle sale di palazzo Valloni e del Bosco dei nomi, in piazza Malatesta, è stato ultimato il museo dedicato a Federico Fellini, che a Rimini nacque nel gennaio 1920. Il museo è tra i grandi progetti nazionali del Ministero della cultura.

 

Una spiccata valenza urbana

Diffuso su tre siti (il quattrocentesco Castel Sismondo, il settecentesco palazzo Valloni e piazza Malatesta), il museo ha una spiccata valenza urbana. Il percorso potrebbe iniziare proprio da palazzo Valloni, ed è appunto dalla sala del Fulgor, il cinema di Amarcord all’interno del palazzo, che Fellini inizia il suo percorso cinematografico. L’ingresso al museo è segnalato sulla piazzetta San Martino dalla rinocerontessa dorata in jesmonite di E la nave va, e da un rivestimento dorato, che diventa una sorta di loggia in corrispondenza dell’entrata. Uno schermo sul fronte di palazzo Valloni, sopra la loggia – sul quale vengono proiettati spezzoni dei film del regista – è visibile da lontano.

 

La “testa”: approccio documentario e immaginari cinematografici condivisi

La sede di palazzo Valloni appena inaugurata può essere definita, con le parole di Leonardo Sangiorgi, curatore dell’allestimento multimediale, la “testa” del museo, il luogo deputato a fornire al visitatore avvertito le informazioni biografiche sul regista e la sua opera: un luogo di ricerca e approfondimento, nel quale è accessibile il fondo Fellini digitalizzato messo a disposizione dalla cineteca comunale. Al secondo piano l’approfondimento può continuare nel Cinemino, nel quale si assiste a proiezioni dell’opera del regista, e nel Convivio, uno spazio nel quale ci si confronta con la tecnica cinematografica del montaggio. Due ulteriori allestimenti, la Stanza delle parole e la Casa del mago, investigano due aspetti legati piuttosto alla biografia e alla personalità del regista. Allestiti da Orazio Carpenzano e Tommaso Pallaria, gli interni di questa sede – antracite le pareti, nero opachi i pavimenti con dei piccoli fori, che ricordano i fori delle pellicole – rimandano a un immaginario cinematografico largamente condiviso.

 

La “pancia”: un percorso sognante e immersivo

All’approccio documentario nel palazzo del Fulgor fa da controparte la “pancia” del museo in Castel Sismondo. In questa sede, inaugurata il 19 agosto, il visitatore attraversa infatti un percorso sognante e immersivo (purtroppo ancora necessariamente poco partecipativo) nella filmografia felliniana, fatto di proiezioni a forte impatto di frammenti e di “macchine a immaginario”, secondo la direzione artistica di Studio Azzurro. All’interno della rocca quattrocentesca l’allestimento discreto del gruppo coordinato da Carpenzano e Pallaria fa da supporto alle installazioni multimediali e mette in valore il contenitore quattrocentesco. Qui, come nel palazzo del Fulgor, per una precisa scelta espositiva, non troppo viene concesso al visitatore che cerchi un museo oggettuale: i costumi de Il Casanova di Fellini e di Roma, di Danilo Donati, la statua del Cristo lavoratore che apre La dolce vita.

 

La piazza nella nebbia

Le due sedi del museo sono collegate da piazza Malatesta, un tratto di museo a cielo aperto, allestita perseguendo chiari effetti scenografici: la nebbia artificiale che avvolge la rocca sollevandosi dal velo d’acqua che segna l’antico perimetro del fossato (la nebbia di Amarcord), una panca circolare di 17 m di diametro (riferimento alla scena circense che conclude ), un percorso sonoro che indica la piazzetta San Martino. Agli arredi e all’installazione si aggiunge ora il Bosco dei nomi, con le lanterne di Tolstoj di Tonino Guerra: un giardino urbano che, con il suo cono prospettico, innestato sul punto ideale in cui la prima campagna tocca la città storica, vuole sottolineare il legame che Rimini ha con il suo territorio di rocche malatestiane, nella fattispecie quelle della Pennabilli di Guerra.

 

Cultura oltre gli stereotipi e fenomenologia museologica

Il museo Fellini è il più recente tassello in una politica che vuole liberare Rimini dallo stereotipo di città balneare, con una coerente riqualificazione del centro storico e un ampliamento dell’offerta culturale. Sulla stessa piazza Malatesta affacciano il teatro Galli (inaugurato nel 2018), i Palazzi dell’arte (Part, 2020) e il Giardino delle sculture (2021).

Il museo merita attenzione per diversi aspetti: si può dire che sia tra i primi, forse il primo museo, dedicato all’opera di un regista. Per questa ragione deve confrontarsi con scelte inedite – nei contenuti, nell’iconografia, negli allestimenti -, alcune delle quali possono effettivamente lasciare perplessi: come la gigantesca bambola di Anita Ekberg distesa sognante nella sala quattrocentesca dedicata a La dolce vita. Ovvero: quali sono i limiti, se ce ne sono, nella “città implicita” di Fellini? Il museo ha il suo punto di merito proprio qui, nell’aprire questioni non semplici che non si estinguono in ciò che viene esposto. A questo si affianca una grande flessibilità di fruizione che rispetta i tempi, le differenti domande e l’approccio di ogni visitatore.

Immagine di copertina: Castel Sismondo (foto di Lorenzo Burlando)

 

Ideazione e direzione artistica: Leonardo Sangiorgi (Studio Azzurro)
Cura: Marco Bertozzi, Anna Villari
Progettazione architettonica e degli allestimenti: Orazio Carpenzano (coordinamento), ADTP architetti
Produzione: Lumière & co e Anteo
Web: Fellini Museum

 

 

Autore

  • Caterina Cardamone

    Nata a Catanzaro nel 1970, si laurea in Architettura all'Università di Firenze nel 1996, dove nel 2002 consegue il Dottorato di ricerca in Storia dell’architettura, con una tesi sulla ricezione dell’architettura antica e rinascimentale negli scritti di Josef Frank, protagonista del moderno viennese, e continua a occuparsi del tema (ha curato il volume "Josef Frank, L'architettura religiosa di Leon Battista Alberti", Electa 2018). Un ulteriore e più recente ambito di interesse è dato dai passaggi tecnico costruttivi nella trattatistica italiana del Rinascimento. È corrispondente del «Giornale dell’Architettura» dal 2007 ed è stata docente a contratto all’Université Catholique di Louvain-la-Neuve (Belgio) dal 2011 al 2016

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Last modified: 16 Dicembre 2021