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Jean-Francois CabestanWritten by: Patrimonio

Basilica di Saint-Denis, la flèche che divide

Basilica di Saint-Denis, la flèche che divide

La ricostruzione della guglia sta facendo discutere, tra storia, simboli e memoria, Carta di Venezia e stato del restauro dei monumenti in Francia

 

SAINT-DENIS (PARIGI). La guglia medievale della Basilica, colpita da un fulmine nel 1837 e in seguito ricostruita, fu smantellata nel 1847 per l’indebolimento della struttura. Fu per lungo tempo utilizzata come simbolo, segnale e punto di riferimento urbano.

L’amministrazione comunale, di sinistra, è stata a lungo a favore della ricostruzione della sua orgogliosa e scomparsa silhouette. L’occasione, confermata nel 2017 dal nulla osta dello Stato proprietario, è arrivata con il restauro della facciata e i lavori stanno adesso per iniziare. Il progetto, molto contestato, è di nuovo sotto attacco, solo momentaneamente oscurato dall’incendio di Notre-Dame e ritardato dall’epidemia.

 

La basilica dentro la città di Saint-Denis

Lo sfondo è la città di Saint-Denis, con più di 100.000 abitanti, il cui centro si trova a 4 km dalla tangenziale di Parigi, a nord di una zona – la Plaine Saint-Denis – che durante il XIX secolo divenne una delle aree industriali più dense d’Europa. Caduta in totale abbandono alla fine del XX secolo con la chiusura delle fabbriche, e nonostante un’ambiziosa politica intercomunale, ciò che è diventato un enorme e notoriamente inquinato deserto industriale sta lottando per uscire da una crisi ormai endemica.

L’operazione di punta di uno dei tanti tentativi di rigenerazione, l’insediamento dello Stade de France, non è passata inosservata. Dietro strategie urbane spesso ben intenzionate ma non sempre coerenti, la città di Saint-Denis e il suo centro storico, molto danneggiato e in alcuni punti malsano, ospitano una popolazione eterogenea e poco integrata. La Basilica, luogo di culto per la storia nazionale e l’architettura gotica, si colloca in questo difficile contesto urbano, economico e sociale. La chiesa commissionata dall’abate Suger fu progettata fin dall’inizio come necropoli reale, per ospitare le tombe dei monarchi francesi. Sede della Diocesi dipartimentale dal 1966, forma un’enclave imponente con gli importanti edifici conventuali del XVIII secolo, utilizzati per la severa educazione femminile fin dal Primo Impero. Il suo valore come luogo di memoria, arte e storia è del tutto estraneo all’intorno.

 

Strategie di restauro in Francia

Per l’importanza del suo patrimonio, la Francia occupa un posto importante nella storia del restauro. La legge del 1913 ha ispirato molte legislazioni in Europa, e il ruolo dei francesi è stato significativo nella stesura della Carta di Venezia (1964), riferimento in ogni discussione sul restauro dei monumenti. La figura tutelare di Eugène Viollet-le-Duc incombe sui garanti del restauro degli edifici, i soprintendenti (architecte en chef des Monuments historiques, gli en chef), il cui lavoro è caratterizzato da un interventismo spesso deriso all’estero, soprattutto in Italia.

La ricostruzione a volte pesante di parti assai danneggiate o scomparse comporta uno sradicamento della sostanza storica e una perdita di autenticità di cui la maggior parte dei monumenti francesi porta oggi lo stigma. Per molto tempo, un monopolio assoluto degli en chef sugli edifici protetti dalla legge ha avuto l’effetto di prolungare gli effetti di un conservatorismo a metà strada tra le convinzioni autentiche condivise da alcuni e l’affarismo non dissimulato di altri.

L’en chef Jacques Moulin, responsabile della Basilica dal 2010, è uno dei più ardenti promotori della sua ricostruzione. Dall’inizio degli anni novanta è autore di una grande varietà d’interventi su castelli, bastioni e parchi, alcuni dei quali, contestati, hanno alimentato le cronache. Stigmatizzando gli ornamenti e la fioritura volontaria e apocrifa delle opere, si è parlato ripetutamente di falsificazione e snaturamento del patrimonio. Il nome di Moulin è legato all’esperimento di Guédelon, dove artigiani in costumi d’epoca lavorano da 25 anni alla ricostruzione di un finto castello medievale sperperando risorse che potrebbero essere utilizzate altrove. La questione della relativa autonomia del finanziamento di queste operazioni – vendita di biglietti, mecenatismo – è un argomento utilizzato spesso ma sempre fallace, se si guarda attentamente. Moulin è stato estromesso da alcuni progetti importanti. Solo la solidarietà degli altri colleghi, che formano una Compagnia (come quella di Gesù), e il favore di gran parte del pubblico verso queste pratiche spiegano la conferma di questo professionista nel suo ruolo.

 

Debret e Viollet-le-Duc: la ricostruzione-decostruzione

La torre e la guglia mancanti sono documentate in numerosi e precisi rilievi. Secondo Moulin essi permettono un restauro fedele all’inventiva dell’architetto François Debret con una precisione che è, se non uguale, almeno vicina alle raccomandazioni della Carta di Venezia in termini di duplicazione di un oggetto sparito. In varie occasioni, la ricostruzione della flèche di Saint-Denis è stata presentata come una sorta di riparazione del danno morale causato all’edificio da quelle che sembrerebbero colpe amministrative.

Il processo di ricostruzione-decostruzione ha riunito le competenze di due grandi architetti. A Debret, che fu estromesso nel 1846, si deve la straordinaria struttura metallica della basilica. Eugène Viollet-le-Duc, che gli subentrò, iniziò a rimuovere il lavoro danneggiato e incrinato del suo predecessore. Anche se la stabilità della torre e della guglia, colpita da un fulmine e fedelmente restaurata da Debret, era stata allora indiscutibilmente compromessa da una serie di tempeste memorabili, non è certo che il suo completo smantellamento fosse assolutamente necessario.

Alcuni credono che abbia prevalso il dogmatismo di Viollet-le-Duc. È tuttavia opportuno insistere più in generale sul significato di questo intervento, che all’epoca aveva una dimensione eminentemente politica: la permanenza dell’iscrizione tangibile nei vasti orizzonti del nord della capitale di un luogo della memoria profanato durante la Rivoluzione e costitutivo della legittimità della Restaurazione e della Monarchia di luglio. Debret ha cercato di rispettare lo spirito della struttura medievale stratificata. Se conservando ciò che potrebbe essere, ha aggiunto la materia scomparsa, ha garantito in particolare il mantenimento della disparità delle due torri. Da parte sua, Viollet-le-Duc progettava d’introdurre la simmetria dove non c’era, in uno spirito che risuona nelle sue proposte per Notre-Dame a Parigi e per la cattedrale ideale del Dictionnaire raisonné. Come testimonia un disegno autografo conservato, Viollet-le-Duc prevedeva niente meno che una riprogettazione dell’intero massiccio occidentale.

Il sindaco, il vescovo e l’architetto

Oggi, una convergenza di vedute riunisce decisori e promotori, anche se non è possibile determinare chi tra il sindaco, il vescovo e l’architetto sia il più ardente difensore del progetto di ricostruzione, nonostante lo stato generale di degrado dell’edificio. Non si tratta di realizzare il progetto di Viollet-le-Duc, ma di restaurare la torre e la guglia di Debret, cioè di tentare di riportare il massiccio occidentale al suo stato stratificato medievale, riattivando l’antico splendore del complesso basilicale caratterizzato dal Trecento fino al 1847 dalla sua notevole silhouette asimmetrica.

 

Casi analoghi famosi

Se il progetto divide i conoscitori, gli specialisti e la società civile su molti punti, è opportuno ritornare sulla legittimità della ripresa di un’iniziativa interrotta per tanto tempo. Se guardiamo il registro dei grandi edifici religiosi europei che hanno segnato la scena architettonica nel corso dei secoli, vengono in mente i casi delle cattedrali di Siena, Firenze, Milano, Parigi e Colonia in una processione di contrasti, a volte sanguinosi ma tutti significativi, così come l’esempio emblematico della Basilica di San Pietro a Roma, fino alle sue ultime alterazioni mussoliniane. In ogni caso, la continuazione, l’ampliamento, il completamento o la ricostruzione di questi complessi era basata su ragioni d’identità, religione o politica. È a queste convinzioni radicate e al coinvolgimento incondizionato o dei principi o della società civile – a volte di entrambi – che dobbiamo questi grandi momenti dell’architettura: l’erezione delle famose cupole d’Italia e certi interventi di cui vanno fiere alcune metropoli europee, tra cui Milano e Colonia, con le loro straordinarie facciate concepite in epoche assai più recenti.

Niente del genere a Saint-Denis, dove l’appello a favore dell’operazione – una restituzione pignola – impallidisce in confronto non solo alla volontà politica e alla febbre creativa che animava gli autori e gli sponsor di questi antichi interventi, ma anche rispetto ad operazioni molto più recenti, realizzate a favore di un riequilibrio territoriale di Parigi e dei suoi dintorni. In termini di attrezzature civili e monumentali, il Centre Pompidou, l’Opéra Bastille, la Cité de la Musique, la Philarmonie, oppure lo Stade de France sono tutte iniziative che contribuiscono ad uno spostamento dinamico e virtuoso del centro di gravità della capitale verso est e verso la periferia. Operazioni infinitamente più vantaggiose per il bene comune anziché la più che opinabile ricostruzione del Palazzo delle Tuileries, di cui si è discusso negli anni 2000, poi saggiamente scartata.

 

Pro e contro

Elenchiamo gli argomenti a favore di quel che sta per accadere a Saint-Denis. Creare posti di lavoro? Partecipare alla reintegrazione professionale locale? Garantire la permanenza dei mestieri tradizionali in Francia? Ripristinare l’identità del centro città? Ottenere il marchio “Capitale europea della cultura”?

Che ci piaccia o no, è passato il tempo delle cattedrali, e qualunque sia il brio che vogliamo dare loro, risulta azzardato che, attraverso azioni tra l’altro contaminate dalla copertura mediatica o addirittura dalla spettacolarizzazione di questo venerabile patrimonio, l’identità di una comunità, una città, un paese o un popolo si possa affermare.

La basilica è prima di tutto un memoriale della monarchia francese, e tale potrebbe rimanere. Non è più che sufficiente di per sé? È assai improbabile che gli abitanti di Saint-Denis si riconoscano in un tale cantiere. Per chi prende in considerazione il tessuto economico e sociale di questa città, l’ipotesi di riconquista essenzialmente decorativa manca di autentica giustificazione.

 

Una basilica turistica?

Mettere il caso di Saint-Denis in prospettiva con le proposte per la ricostruzione della guglia di Notre-Dame a Parigi all’indomani dell’incendio del 2019 – che hanno sollevato una tempesta di proteste – può aiutare a chiarire la situazione. Se a Parigi ha infine prevalso il principio di ricostruire il monumento sfigurato nel suo ultimo stato conosciuto, questo risultato, che anche secondo alcuni degli osservatori più cauti sembrava l’unica strada da percorrere, è anche l’ammissione di una mancanza di convinzione sul destino del monumento bruciato. Così, pochi giorni dopo il disastro, quest’ultimo è stato sottoposto attraverso proposte spontanee a una serie di valutazioni ludiche, infantili, provocatorie, iconoclaste e, nel migliore dei casi, estetizzanti, del patrimonio danneggiato. Se parte di queste erano il frutto della speculazione insignificante di umoristi o di visionari sfacciati, altre provenivano da studi di architettura la cui autorità non si discute.

Così si è posto il problema di capire che tipo d’intervento proporre per le cattedrali, che si potesse legittimamente integrare nella catena di campagne che si sono succedute nei secoli, e si è ben capito che di risposte non ce n’erano. L’argomento turistico è presente nella mente di molti decisori, ma viene trattato con modestia e cautela, perché tutti si vergognano di prostituire tali luoghi di memoria. La polemica che divampa circa le intenzioni recentemente rese note dal clero di Notre-Dame di aprire le porte della cattedrale alle logiche devastanti del turismo di massa, dà un’idea delle contraddizioni e dei disagi provocati dalle strategie più o meno dichiarate di valorizzazione del patrimonio religioso.

A Saint-Denis, la mercificazione del monumento è presentata senza mezzi termini. La restituzione della silhouette e la pubblicità che intende circondare questa azione rappresentano uno dei modi per fare della basilica – che, sulla base dei numeri, attira cento volte meno visitatori di Notre-Dame – una delle destinazioni capaci di competere con quest’ultima. La messa in scena del cantiere fa parte di questo progetto: per mezzo d’installazioni ad hoc sul piazzale e di ambiziose impalcature da visita – e questo non è un caso isolato in Francia, ma non ancora di pari scala – si prevede di attirare un pubblico molto vasto, invitato a seguire le varie fasi della ricostruzione in loco e possibilmente anche online.

 

Il nulla dietro il façadisme

In linea con la logica del restauro della facciata e del sagrato (2012-15), si può constatare che il progetto di restauro della torre nord e della guglia della Basilica di Saint-Denis rappresenta una forma di façadisme inerente la tradizione e i criteri di apprezzamento dell’architettura in Francia. Dopo 175 anni di assenza, il restauro di un impianto antico non è più una questione di riparazione. È facile capire che le motivazioni di questo progetto sono del tutto mercantili, laiche, lontane da qualsiasi sentimento religioso o desiderio di commemorare i cimiteri reali e la storia francese che, piaccia o no, non è molto di moda di questi ultimi tempi.

Non sono sufficienti la torre sud e il grande tetto di rame per indicare la presenza di questo luogo di memoria e di culto cattolico? Ci sono migliaia di siti in tutto il paese, anche purtroppo nella Basilica stessa, in pessime condizioni, dove creare lavoro, formare scultori e scalpellini e mantenere la tradizione degli antichi mestieri. Per quanto riguarda le decine di milioni necessari alla realizzazione del progetto – si è infatti capito che il principio del biglietto e del mecenatismo alla fine lasciava spazio a un contributo pubblico -, a meno di soffrire di una mancanza totale d’immaginazione, ovvio che potrebbero essere sfruttati in modo più fecondo, cioè a favore della Città e della Regione.

È una cecità e, per alcuni, una leggerezza, proporre ai consiglieri e ai diversi poteri di questa città in grande difficoltà un progetto retrogrado a consonanze populiste, che difficilmente reggerebbe l’approvazione sotto cieli meno svantaggiati.

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Autore

  • Jean-Francois Cabestan

    Architetto di formazione, storico dell’architettura e del recupero degli edifici, insegna all’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e gira l’Italia da molti anni per interesse sia del suo patrimonio urbano ed architettonico sia per osservarne le strategie di restauro

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Last modified: 10 Dicembre 2021