Riceviamo e pubblichiamo un commento al progetto di recupero del complesso ex Gil a Roma di Luigi Moretti
A seguito dell’articolo scritto da Rosalia Vittorini su questo Giornale in merito al progetto di recupero del complesso ex Gil di Luigi Moretti a Trastevere, facciamo osservare come la riapertura di una sala cinematografica sia senz’altro una buona notizia per la città, così come l’aver premiato con un bando comunale l’attività di un gruppo di ragazzi che negli ultimi anni ha animato con successo e risalto mediatico molti spazi pubblici.
La cattiva notizia è che il progetto del cinema Troisi, seppur interessante e apprezzabile per molti aspetti, ha perso l’occasione preziosa di recuperare i caratteri essenziali dello spazio concepito da Moretti all’interno dell’ex GIL, già sacrificati dalla precedente sistemazione: occultata ogni traccia della fitta teoria di travi e lucernari che si alternavano nel soffitto, confermata la chiusura della galleria laterale che rendeva la sala asimmetrica, scartata l’evocazione dei materiali e dei colori originali negli spazi d’ingresso e proiezione, il progetto risolve sostanzialmente il programma di una generica sala cinematografica, attraverso soluzioni convenzionali (sebbene accurate e funzionali) coerenti con le esigenze e le normative attuali. Ma è difficile identificare il risultato con il potenziale innovativo dato dalla convergenza tra il recupero di uno spazio fortemente caratterizzato, diverso da ogni altro, come quello originale, e le pratiche sociali “dal basso”, che avrebbero potuto sviluppare programmi ed eventi meno ortodossi e più coerenti con i caratteri di un’architettura unica nel suo genere.
La continuità in pianta e sezione, l’adattabilità a diversi usi e la ricerca della luce naturale (facilmente regolabile) del progetto originale non hanno costituito le premesse per il nuovo intervento e le nuove attività, che assumono invece una condizione generica dell’edificio storico come contenitore. Il recupero di particolari decorativi come gli altorilievi sulle travi in uno spazio laterale, o di elementi come le vetrate verso il cortile interno, non riesce a evitare la sensazione che Moretti sia sparito, che i valori spaziali e materiali della sua architettura non ci siano più.
Al contrario, nella galleria d’onore del complesso, recuperata e gestita dalla Regione Lazio, lo spazio architettonico di Moretti resta apprezzabile nella sua forma, nei suoi materiali e nei rapporti proporzionali fondamentali, nonostante siano stati sacrificati alcuni raffinati dettagli, come quello della vetrata angolare. Gli allestimenti legati ai vari eventi ospitati non sono certo all’altezza del contesto, ma i loro elementi effimeri non compromettono la percezione dell’architettura originale. In questo caso, infatti, le attività e gli interventi assumono una condizione debole, mutevole, si adattano allo spazio e non viceversa, come invece è accaduto nella sala.
Dovrebbe essere questo il criterio fondamentale da seguire nel recupero del patrimonio architettonico del passato, antico e moderno: usare le forme originarie come guida per capire quali e quante attività si possono innestare al loro interno. In questo senso non fanno ben sperare neanche i lavori in corso nel centro sportivo del complesso, dove le straordinarie palestre sovrapposte saranno tamponate con delle vetrate, confermando la tendenza a cancellare gli spazi esterni per aumentare la cubatura degli edifici, in sintonia con certe rozze pratiche del mercato immobiliare.
In definitiva, non essendo riproponibile la gestione unica di un complesso così ampio e coerente tipica dei poteri centralizzati (chi può averne nostalgia?), appare urgente stabilire indirizzi progettuali in grado di guidare gli interventi in relazione non solo alla conservazione/ripristino di dettagli e materiali, ma anche e soprattutto alla scelta di funzioni compatibili con il recupero dei valori spaziali che, non solo nel caso di Moretti, stanno al centro dell’architettura.
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lettere al Giornale , restauro del moderno , roma
Last modified: 19 Gennaio 2022