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Alessandro ColomboWritten by: Progetti

Ri_visitati. Louvre Abu Dhabi: un capolavoro, ma dell’Ottocento

Il museo firmato da Ateliers Jean Nouvel compie 4 anni: modernissimo nel linguaggio e nei modi ma vecchio in un concept che la pandemia sta rendendo compiacimento edonistico

 

ABU DHABI (EMIRATI ARABI UNITI). Aperto nel 2017, il Louvre Abu Dhabi (LAD), ha compiuto a novembre 4 anni di attività, che sono ora celebrati insieme al giubileo d’oro degli Emirati Arabi Uniti, confermando la propria missione di museo di riferimento del mondo arabo.

Giungendo nell’elegante e discreta Abu Dhabi, un carapace metallico galleggia sulla linea d’orizzonte del mare che lambisce l’isola di Saadiyat. Arrivati a destinazione, una bianca, linda e piatta struttura accoglie il visitatore difendendolo dal sole e dichiarando subito la propria identità: “Louvre Abu Dhabi, a Universal Museum”.

 

Un’icona ispirata alla tradizione islamica

Frutto di un accordo tra i governi di Abu Dhabi e della Francia, il LAD è stato progettato da Ateliers Jean Nouvel e si è subito imposto come icona dell’architettura, grazie all’ispirazione di tradizione islamica nel trattamento della luce – con lo stesso tema, l’Institute du Monde Arabe a Parigi aveva già contribuito  trent’anni fa a consolidare la fama dell’archistar – che vede la cupola monumentale, idealmente galleggiante, creare una pioggia di effetti di luce su uno spazio diffuso offerto alla socializzazione. Il gioco dei bianchi volumi sull’acqua, il riflesso del tramonto e la sensazione di trovarsi in una sorta di raffinatissimo quanto minimale villaggio per l’arte, ne ha costruito la giusta fama.

La missione è stata subito quella di celebrare “la creatività universale” dell’uomo e invitare il pubblico “a vedere l’umanità sotto una nuova luce”. L’approccio curatoriale ha voluto focalizzarsi sulla costruzione della “comprensione attraverso le culture… che trascendono civiltà, geografie e tempi”.

Il museo è così il primo tassello del distretto culturale di Saadiyat, che si presenta con l’ambizioso intento di proporre un nucleo di cultura globale, basato anche sul segno forte dell’architettura, formato appunto dal LAD, dal Museo Nazionale Zayed di Foster & Partners e dal Guggenheim Abu Dhabi di Frank O. Gehry, dei quali si attende l’apertura.

Sua eccellenza Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente del Dipartimento della Cultura e del Turismo – Abu Dhabi, dichiara in occasione di questo anniversario: “Louvre Abu Dhabi continua a dimostrare un nuovo modello di ciò che un museo può essere, servendo con successo sia il pubblico locale che globale, mentre la sua identità come istituzione iconica rimane saldamente radicata nell’emirato”.

 

Un “bianco MOMA”…

Il modello che ti accoglie, accedendo agli spazi, sembra più quello di un “bianco MoMA” che non di uno “storico Louvre”. La sala iniziale, esemplificazione e sunto della volontà di raccontare la storia dell’umanità attraverso i reperti, riserva linee precise, volumi di cristallo sfettati, diagrammi spezzati che ti convincono, con la loro realizzazione magistrale, della bontà della vocazione.

Sulle pareti vetrate, eleganti massime ricordano che il mondo non ha solo il baricentro che pensavi: “In Africa, when an old man dies, a library burns to the ground”.

Quasi un museo antropologico, il racconto della storia dell’umanità si barcamena con pezzi della grande collezione francese, ma mostra i limiti di una visione enciclopedica che pare ancor più superata oggi dopo lo choc pandemico. Vero che la ricompensa per aver resistito al sunto dei secoli presentato nella collezione permanente è grande: lo stare sotto la cupola traforata, cullati dalla brezza e rapiti dalla luce, vale il viaggio.

Anche le mostre in corso sono premianti: “Abstraction and Calligraphy: Towards a Universal Language” e “Dragon and Phoenix: Centuries of Exchange between Chinese and Islamic Worlds”, ottimamente allestite e curate, raccontano molto della vocazione geopolitica dell’istituzione.

 

… per un perfetto museo dell’Ottocento

Ma i quesiti nascono spontanei e, d’altra parte, tutto oggi è cambiato. Il museo capolavoro alla Carlo Scarpa (e questo di Abu Dhabi è un vero capolavoro) appare tremendamente rigido, ancorché bello. Ma di una bellezza statica e passiva, incapace di reagire agli eventi: forse così consegnato all’eternità. Modernissimo nel linguaggio e nei modi, vecchio nel concept, è questo un perfetto museo dell’Ottocento, con la collezione rigidamente separata dalle mostre temporanee, dal ristorante, dal bookshop, dalla didattica, in una zonizzazione che pare anacronistica, pur se meravigliosamente risolta.

È un modello che era valido quando era basato sul turnover dei turisti, che era stato concepito come la grande risorsa dell’area e che sembrava illimitato: il museo, nell’offerta globalizzata del nuovo millennio, era perfetto elemento da inserire nel bouquet delle proposte. Ma si tratta di un museo da visitare una sola volta, istituzione rigida e di riferimento, museale appunto.

La pandemia sembra aver insinuato il dubbio in questa granitica convinzione, e il villaggio arabo sotto la grande cupola traforata, abitata da pochi piccioni e da molta luce, sembra oggi molto più di ieri un compiacimento edonistico: l’agglomerato bianco galleggiante serve più all’architettura che all’arte e sarà presto uno dei gioielli della triade che alimenterà il gran tour dello star system mondiale ma che, forse, non sarà in grado di dare risposte ai nuovi (dis)equilibri che si prospettano.

 

Immagine di copertina: © Louvre Abu Dhabi, foto di Mohamed Somji

 

 

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 1 Dicembre 2021