Archeologia preventiva e collaborazioni sinergiche per il nuovo museo sotterraneo nel quartiere Esquilino. Report dalla visita
ROMA. Il 6 novembre ha aperto al pubblico il Museo Ninfeo. Progettato dall’ingegnere Angelo Raffaele Cipriani, si trova al piano interrato del palazzo della Fondazione ENPAM (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri) in piazza Vittorio Emanuele II. La superficie di 1.000 mq ha permesso d’indagare parte degli Horti Lamiani nel quartiere Esquilino.
Collaborazioni virtuose
Il percorso espositivo, in 13 sezioni, comprende ricostruzioni video, disegni di Inklink – studio grafico fondato sull’esperienza di Simone Boni – e 3.000 oggetti sapientemente presentati dall’architetto Lapo Lorenzetto Bologna. L’archeologia è il cardine di un allestimento museologico, prima ancora che museografico, in grado di abbracciare gli aspetti caratterizzanti la disciplina e gli ambiti con cui colloquia proficuamente; le differenti fasi di scoperta e studio del sito hanno portato a dialoghi interdisciplinari stretti, grazie anche all’impiego dell’archeologia preventiva.
La vicenda prende avvio nel 2001, quando il Comune si assume l’impegno di costruire un immobile come opera pubblica. L’anno dopo la Soprintendenza richiede una campagna di carotaggi preventivi (a profondità variabile da 5,8 a 11,5 m), che porta alla scoperta di un ricco sito. Dopo la stipula, da parte di Fondazione ENPAM, di un atto notarile di compravendita di cosa futura per realizzare nel sito la propria sede, nel 2006 si dà avvio agli scavi, sotto la supervisione della funzionaria Maria Rosaria Barbera.
Il nuovo edificio, progettato dall’architetto Giorgio Tamburini e dall’ingegner Gilberto Sarti, inaugurato nel 2013, è costituito da 9 piani fuori terra e 5 interrati: la struttura portante pilastro/trave in acciaio – lasciata a vista in porzioni della facciata come elementi marcapiano e decorazioni bidimensionali – ha permesso d’inglobare i resti archeologici e “consentito di scavare sotto senza spostarli dal luogo del ritrovamento. Si tratta di un esperimento ingegneristico realizzato qui per la prima volta al mondo”.
Con due distinte campagne (2006-9 e 2010-15) sono stati indagati oltre 30.000 mc di terreno, scoperti 1 milione di reperti e individuate sette differenti fasi di impiego dell’area in un arco di tempo che va dal IV secolo a.C. al IX secolo d.C. Nel 2016 la funzionaria Mirella Serlorenzi assume la direzione scientifica e inaugura la fase dell’approfondimento. Il coordinamento dello studio dei materiali – affidato all’archeologo Antonio Ferrandes – si profila come una ricerca interdisciplinare con il coinvolgimento di dipartimenti universitari e liberi professionisti. L’ENPAM mette a disposizione un nuovo laboratorio allestito ad hoc, dove, secondo le parole del ministro della Cultura Dario Franceschini, “l’esigenza di realizzare opere, infrastrutture e sviluppo urbano si coniuga con quella di tutelare e preservare il patrimonio archeologico”, grazie alla virtuosa collaborazione tra il MIC e l’ente per progettare il nuovo spazio.
Lo spazio espositivo
L’ingresso all’ipogeo permette una panoramica d’insieme. Lo scuro controsoffitto impiantistico interrompe la verticalità dei pilastri circolari e delle pareti bianche, definendo un ambiente in cui il risalto cromatico proviene dai reperti architettonici e dalle stampe dei disegni di Boni. I cospicui lacerti murari di età severiana fanno riferimento a una grande piazza-ninfeo subdiale di circa 400 mq, cinta da alte mura e decorata da marmi policromi e pitture murali. Era pavimentata da lastre di marmo chiaro oggi quasi completamente scomparse. La malta di sottofondo della pavimentazione è visibile attraverso lastre di vetro strutturale di grandi dimensioni (170 x 105 cm); tagli che permettono una lettura puntiforme di zone nodali, anche in corrispondenza di saggi stratigrafici.
L’illuminazione ambientale e puntuale sui reperti è bilanciata da strisce LED poste in corrispondenza delle interruzioni spigolose della pavimentazione moderna, onde focalizzare l’attenzione sugli alzati in opera laterizia e listata. L’intervento contemporaneo inquadra lacerti murari inserendoli in quinte teatrali, animando un rapporto scenografico tra fruizione museale e storia archeologica. Le nuove strutture portanti e di sostegno metalliche, lasciate a vista solo in alcune zone, sono ricoperte da intonaco antincendio grezzo applicato a spruzzatura; l’accostamento di questo grigio alle murature antiche, dalle tonalità calde, ne acuisce l’estraneità, estremizzando la contemporanea rivendicazione alla coesistenza.
L’ultima sezione espositiva, Salire all’Olimpo, diventa occasione per incorniciare parte dei gradini della grande scala che in antico collegava i diversi livelli della fase imperiale degli Horti: lo sfondato prospettico creato attorno alla gradinata, volutamente illuminata solo a livello superficiale, sembra paradossalmente evocare un’opposta discesa agli inferi.
Un’altra scala, quella di accesso all’area, riconduce visivamente la memoria collettiva ad un altro “inferno”, purtroppo vissuto da medici e dentisti vittime della pandemia da Covid-19 proiettandone il lungo elenco, la posizione professionale e la data di decesso sulla parete. La giornata inaugurale dello spazio museale è stata dedicata a queste figure professionali scomparse e, come ricordato dal presidente dell’ENPAM Alberto Oliveti, “solo attraverso la conservazione e la conoscenza del nostro passato possiamo intravedere meglio il nostro avvenire”. Il Museo Ninfeo, da memoria e conoscenza storica del passato, diventa coscienza storica del presente.
Immagine di copertina: © Museo Ninfeo
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Last modified: 10 Novembre 2021