L’evoluzione del culto della morte attraverso riflessioni, tendenze, prodotti e servizi alternativi
All’interno della raccolta Innovative burial alternative for non-traditional people, la scrittrice freelance statunitense Kate Wight ha selezionato con grande abilità una serie di riflessioni e casi studio sui processi culturali e progettuali che riguardano e stanno gradualmente trasformando il culto della morte nelle società contemporanee.
Si stima che l’industria dei servizi funerari negli Stati Uniti generi economie per circa 20 miliardi di dollari e che un funerale medio ne costi circa 11.000. Ma è sempre più diffusa la ricerca e il conseguente ricorso a servizi non-tradizionali, sia per ragioni di portafoglio, sia per l’ampia diffusione di soluzioni “green”. Quello che emerge è una generale transizione dal design di prodotto, design cimiteriale da sempre legato alla materia e al ricordo o alla capacità di allestire uno spazio eterno al compianto in luoghi autorizzati, ad un processo creativo basato su motivazioni di natura ambientale e spirituale legate ad una concezione alternativa se non addirittura visionaria della seconda vita. Con i progettisti chiamati in causa ad immaginare nuovi servizi dove le volontà del defunto s’intrecciano con la sensibilità di chi resta e, spesso, anche con le esigenze di gruppi allargati (associazioni, pubbliche amministrazioni, scienziati), in un percorso collaborativo capace di attuare nuove visioni.
Possiamo quindi dividere i casi studio, idee che a primo impatto potrebbero sembrare bizzarre e macabre al tempo stesso, in tre macro sezioni: il corpo per una seconda vita; il corpo che ritorna in quello spazio infinito dove tutto si è generato; il corpo come oggetto inseparabile.
Il corpo per una seconda vita
Nel primo gruppo, il podio è da attribuirsi sicuramente al progetto “Capsula Mundi”, un’urna biodegradabile dove possono essere raccolte e interrate le ceneri o un cadavere in posizione fetale, sulla cui sommità è previsto l’impianto di un albero (non compreso nel kit). Il messaggio è piuttosto semplice, alimentare una nuova vita e un living memorial dove tutti potranno ricordare il defunto nell’essere vegetale che sta contribuendo a nutrire.
Sulla stessa scia, ma con presupposti tecnici differenti, la “Infinity Burial Suit” della Coeio, la quale punta all’uso dei funghi per pulire il corpo e il suolo dalle tossine che altrimenti si diffonderebbero nell’ambiente. La soluzione contribuisce ad alimentare le radici attraverso i nutrienti derivanti dal corpo “depurato”. Viaggiamo, anche in questo caso, alle quote ispirative che suggeriscono la riunione del corpo con la terra.
Esistono inoltre progetti alternativi dove le ceneri dell’individuo vengono utilizzate in conglomerati ad uso marino le cui geometrie consentono la formazione di flora marina o fungono da riparo per i pesci. Questi blocchi human-based potrebbero essere utilizzati per rinforzare, ad esempio, le barriere coralline.
La “Resomation”, infine, conosciuta anche come “cremazione naturale ad acqua” è un processo che simula e accelera la decomposizione del corpo umano e riduce drasticamente i costi energetici della cremazione, consentendo la restituzione delle ceneri ottenute in modo gentile nel giro di poche ore dal decesso.
Il corpo che ritorna nello spazio in cui tutto si è generato
Di ben altra portata, invece, sono i servizi funerari basati sull’uso delle ceneri come massa leggera da lanciare in spazi infiniti, o come medium celebrativo di un percorso di vita appena conclusosi. Dal 1992 ad oggi oltre 450 persone sono state incapsulate per tornare a miscelarsi alle polveri dell’universo, e compagnie come Celestis ed Elysium Space sono attrezzate a farlo con costi non particolarmente proibitivi. Alcune compagnie hanno lanciato i “Cremation fireworks”, soluzioni che inglobano le ceneri nelle polveri dei fuochi d’artificio e invitano i parenti ad assistere all’ultimo poderoso urlo colorato del caro estinto. Entrambe le esperienze possono essere filmate e ricordate con maggiore verve rispetto al romantico cliché dello spargimento in mare.
Il corpo come oggetto inseparabile
Resta infine la dimensione domestica, quella maggiormente legata a chi resta, a chi ritiene indispensabile proseguire un rapporto fisico con la persona amata. Dai cofanetti in materiali bio, alternativi alla ceramica, al legno e al metallo, si passa ad un inatteso mondo del gioiello plasmato con i resti dei defunti. La famosa piattaforma “Etsy” contiene oltre 26.000 risultati alla voce “Cremation Jewelry”. Esistono diversi laboratori artigianali impegnati nella trasformazione di ceneri o nella raccolta delle stesse in ciondoli, anelli, bracciali e chincaglierie di ogni genere. Alcuni artisti del vetro offrono servizi di fusione delle ceneri (più o meno un cucchiaino) in un’opera d’arte trasparente. E per finire la musica. Prima dello stampaggio e dell’incisione, è possibile mescolare le ceneri nel vinile. Il disco sarà a tutti gli effetti una delle colonne sonore della nostra vita.
E se tutto sembra parte di un business che tendenzialmente non morirà (quello, sì) mai, Wight ricorda le ultime opzioni possibili. Donare il corpo per usi scientifici e laboratoriali (ad esempio in caso di defunti affetti da cancro o Alzheimer), oppure applicare alcuni spunti de Il libro tibetano della morte, dove i buddisti tibetani invitavano all’uso di tombe a cielo aperto per dare i corpi in pasto agli avvoltoi. Sebbene sembri una pratica macabra ed estrema, è parte dell’invito a nutrire il mondo e prima tappa verso la reincarnazione.
Contro lo sperpero di materie prime
Per quanto tutto ciò possa sembrare “divertente” e, per certi versi, dissacrante, il design del trapasso sembra essere di grande aiuto nella risoluzione delle problematiche associate allo sperpero di materie prime o alla cementificazione di aree cimiteriali che hanno sempre più le sembianze di lugubri periferie abbandonate e sempre meno quelle di parchi della rimembranza. La speculazione edilizia che ha caratterizzato per decenni le aree destinate alla costruzione di loculi e cappelle funerarie, lo sbancamento di montagne per l’approvvigionamento di marmi o l’uso di legname di prima scelta per la realizzazione di bare sembrano, in realtà, processi molto meno spirituali, dei quali i vivi hanno spesso abusato, senza mostrare alcuna reale sensibilità verso il vero senso della morte. Basti pensare che, secondo Livia Soriente, la biologa che ha lanciato una petizione su Change.org per promuovere la produzione di bare con materiali più ecologici del legno, considerando le sole cremazioni, ogni anno in Italia vanno in fumo circa 36.000 tonnellate di legname, per un rilascio di oltre 30.000 tonnellate di anidride carbonica.
Immagine di copertina: “Future Cemetery – Lighiting design show & exhibition”, Tallinn 2021 (© Katrin-Maria Terras)
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Last modified: 26 Ottobre 2021