“As much Mies as possible”: riflessioni sul restauro che, a Berlino, ha fatto nuovamente brillare il capolavoro
Dire di ciò che esiste che non esiste, o di ciò che non esiste che esiste, è falso
mentre dire di ciò che esiste che esiste e di ciò che non esiste che non esiste, è vero
(Aristotele, Metafisica)
BERLINO. Il 22 agosto, dopo circa sei anni di chiusura per restauro, ha riaperto i battenti al pubblico la Neue Nationalgalerie di Ludwig Mies van der Rohe. L’iconica architettura, quintessenza della poetica miesiana, risorge tale quale cinquantatré anni fa a beneficio di milioni di architetturofili e di nostalgici della capitale divisa a fine anni sessanta quando, a ridosso del patetico vuoto di Potsdamer Platz, mise fine agli anni del doloroso dopoguerra, promettendo una nuova alba di positivismo e prosperità.
Il profeta di Aquisgrana Mies rimetteva piede in Germania dopo circa 30 anni di esilio battezzandone la rinascita. Oggi sua maestà la Neue Nationalgalerie ci accoglie al numero 50 di Potsdamer Straße ri-brillando di luce propria grazie all’operato di un team squisitamente internazionale, multi kulti nell’accezione più berlinese del termine.
Un restauro non per tutti
Come si restaura un’architettura del XX secolo, la sola equiparabile per indiscutibile autorità al Partenone di Atene nell’età antica ma col complesso valore aggiunto della sua destinazione d’uso? Un compito non per tutti, che ha richiesto studio, rispetto, capacità di ascolto, obbedienza, flessibilità e molta umiltà.
Come una squadra di chirurghi impegnati in una lunga, complessa operazione, il team dello studio berlinese David Chipperfield Architects ha operato il corpo della giovane paziente con precisione e i più avanzati ferri del mestiere, curandone singolarmente gli oltre 35.000 pezzi in cui l’ha diviso e poi ricomposto.
Sir David Chipperfield aveva dichiarato fin dall’ottenimento dell’incarico di voler lavorare seguendo il solo principio guida del “as much Mies as possible”, ovvero mettendosi totalmente al servizio del grande maestro e del suo ultimo capolavoro: l’approccio più giusto (e l’unico possibile secondo la committenza) al teorico del “Less is more”, a colui che riteneva l’architettura dovesse essere verità, adaequatio rei et intellectus (come da Tommaso d’Aquino), chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta, legata al proprio tempo.
La premessa teorica è imprescindibile per comprendere il progetto di restauro dell’architetto britannico, esperto di Berlino e di architetture museali, qui più che mai in veste di conservatore di un edificio e di un’era, del pensiero di un Mies filosofo più che costruttore, capace più coi suoi scritti che con le opere effettivamente realizzate di plasmare l’estetica del Movimento moderno e dell’arte del costruire nel secolo a venire.
Ben oltre i rigidi vincoli imposti agli edifici storici sotto tutela, cui Chipperfield ha dovuto naturalmente piegarsi come agli aut aut di soprintendenza e commissione di vigilanza dei lavori, al di là dell’onnipresente Dirk Lohan, il nipote di Mies chiamato alla supervisione di ogni singolo respiro emesso in cantiere, bisogna riconoscergli, oltre notevoli perizia e sensibilità d’intervento, un’ottima preparazione teorica basata sugli scritti e i disegni del maestro.
Chipperfield e Mies: un paradosso?
Ma proprio per questo motivo non si può logicamente non notare il grande paradosso del suo operare: se, citando Mies, “l’architettura è sempre legata al proprio tempo” e deve unicamente esprimere “l’essenza dell’epoca” di cui è prodotto, per quale ragione sir David vuole ri-catapultarci tout court in un ormai remoto 1968? Berlino non è più quella della Neue Nationalgalerie e le stagioni rivoluzionarie sono un lontano miraggio. Forse la Stiftung prussiana, piuttosto démodé, spera nel nuovo simulacro per compiere un miracolo in cui nemmeno lei crede davvero ma ai berlinesi, persino nella rinata superstizione dell’era Covid, l’idea del dogma e della sua indiscutibilità non piace. Infatti, mentre ai vertici di quella prima, che tutto ha manovrato, ci si bea in celebrazioni e rimembranze del bel tempo che fu, i secondi al cospetto dell’edificio di Mies scrollano le spalle delusi di non vederci alcunché di nuovo, disorientati dalla soluzione di continuità fra i proclami roboanti nei comunicati stampa ufficiali e l’aspetto reale del progetto concluso, e forse anche smarriti di fronte a tanta sana efficienza, per la prima volta nella storia recente dell’edilizia berlinese non contornata da polemiche e litigi.
Un novello Howard Carter
Il refurbishment di Chipperfield è infatti sempre stato sotto controllo, mai oltrepassando i costi stimati, mai perdendo di vista la tabella dei lavori redatta e gestita dall’Ufficio federale per l’edilizia e la pianificazione regionale in Berlino, mai disattendendone gli ordini.
Concentrato sulla revisione generale della struttura, ha tuttavia anche aperto la strada alla sostenibilità, al miglioramento degli standard tecnici ed energetici secondo le nuove norme in tema sicurezza e vivibilità per persone e opere d’arte. Nuovi impianti, nuovi servizi, accessi senza barriere, rampe, ascensori, accessori per disabilità a 360 gradi: ogni intervento è stato scrupolosamente documentato in blog dedicati e webcam live che hanno eletto Chipperfield al ruolo di novello Howard Carter al servizio di un irremovibile, ansioso Lord Carnarvon interpretato dai supervisori Lohan e Neumeyer.
Un Mies riscoperto e nascosto
Molte sono state in effetti le scoperte compiute in cantiere
come nelle camere segrete di una tomba egizia, smontando i lastroni di granito e marmo, i pannelli di quercia, l’imbottitura delle poltrone e rinnovando la struttura portante dello spettacolare tetto piano (1260 tonnellate, 65×65 m) che si libra sui soli otto longilinei pilastri a croce. Il problema è che di questo “riscoperto Mies” non si vede traccia. Per cercarlo bisogna scendere fisicamente in profondità, nel rinato e in parte rivoluzionato sottopiano che collega i nuovi spazi espositivi al leggendario giardino di sculture, finalmente riportato al suo splendore originale che i berlinesi ben ricordano, già pubblico di epocali concerti jazz.
In un ambiente intermedio alle due rampe di scale che collegano al piano superiore, l’artista agrigentina Rosa Barba completa il progetto di Chipperfield dell’anima che gli manca con un’installazione film-architettura che dà forma al subconscio e al passato. Liberandone l’es, Barba restituisce all’arte del costruire secondo Mies e alla sua Galerie la dimensione di processo temporale e umano in continuo aggiornamento e fuori dai vincoli della tridimensionalità.
SCHEDA STORICA
1962
Berlino incarica Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969) della costruzione della Nuova Galleria Nazionale per Berlino. Mies ha già a disposizione due progetti per edifici mai realizzati, che decide di fondere in uno: la sede amministrativa della Bacardi a Santiago di Cuba (1957) e il Museo Georg Schäfer a Schweinfurt (1960-63); entrambi i progetti, di dimensioni minori, sono basati su un tetto sostenuto da otto colonne e un interno senza colonne.
23 settembre 1965
inizio del cantiere; prima visita a Berlino di Mies per la messa in opera della prima pietra; vi tornerà nel 1967 dopo la messa in opera del monumentale tetto, per la cui progettazione statica (1.260 tonnellate, 65×65 m) si era fatto aiutare dall’amico architetto Frei Paul Otto.
1968
inaugurazione dell’edificio in assenza di un Mies sempre più malato, rappresentato dal nipote architetto e suo collaboratore nello studio di Chicago, Dirk Lohan.
Anni settanta
l’edificio viene utilizzato, oltre che per ospitare mostre d’arte, anche per concerti di musica jazz ed elettronica: all’inizio del 2015, il gruppo Kraftwerk vi ha suonato per otto giorni consecutivi, alla fine dei quali si è decisa la chiusura dell’edificio.
2016-21
L’Ufficio federale per l’edilizia e la pianificazione regionale, su incarico della Fondazione Prussia per il patrimonio culturale, affida allo studio berlinese David Chipperfield Architects il restauro l’edificio in conformità col documento redatto per la sua conservazione.
Gennaio 2015
l’Ufficio federale per l’edilizia ha stimato i costi di ristrutturazione in 101 milioni, tutti coperti dal governo federale. Alla fine, la somma totale salirà a circa 140 milioni.
21 agosto 2021
Inaugurazione ufficiale con tre mostre: “Alexander Calder. Minimal/Maximal”, all’esterno e nel piano principale fuori terra dell’edificio; “The Art of Society, 1900-1945” e la personale dell’artista Rosa Barba “In a Perpetual Now” nel mezzanino
CREDITI DEL PROGETTO
Architetti: David Chipperfield Architects, Berlino
Progetto originale: Ludwig Mies Van der Rohe
Partners progetto: David Chipperfield, Martin Reichert, Alexander Schwarz
Architetti progetto: Daniel Wendler e Michael Freytag
Cliente: Stiftung Preußischer Kulturbesitz rappresentata dalla Bundesamt für Bauwesen und Raumordnung
Management: Arne Maibohm
Supervisione: KVL Bauconsult GmbH
Gestione del progetto: Bundesamt für Bauwesen und Raumordnung, Referat IV 5
Consulenza: Dirk Lohan (ex direttore del progetto e nipote di Mies) e Prof. Fritz Neumeyer (esperto di Mies)
Utilizzo: Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin
Dal concept al progetto: Marianne Akay, Thomas Benk, Matthias Fiegl, Anke Fritzsch, Dirk Gschwind, Anne Hengst, Franziska Michalsky, Maxi Reschke
Progetto elementi tecnici: Sebastian Barrett, Alexander Bellmann, Martina Betzold, Anke Fritzsch, Dirk Gschwind, Lukas Graf, Martijn Jaspers, Christopher Jonas, Franziska Michalsky, Maxi Reschke, Christian Vornholt, Lukas Wichmann
Riproduzioni: Dalia Liksaite, Simon Wiesmaier
Adattamenti: Yannic Calvez, Ute Zscharnt
Architetti esecutivo: BAL Bauplanungs und Steuerungs GmbH, Berlino (appalto e supervisione costruzione)
Management: Kerstin Rohrbach
Consulenti per il restauro: Pro Denkmal GmbH, Berlin
Ingegneri strutturali: GSE Ingenieurgesellschaft mbH Saar Enseleit und Partner Berlin
Ingegnere servizi di costruzione: Ingenieurgesellschaft W33 mbH, Domann Beratende Ingenieure GmbH
Fisica delle costruzioni: Müller-BBM GmbH
Acustica: Akustik-Ingenieurbüro Moll GmbH
Antincendio: HHP West Beratende Ingenieure GmbH
Facciate: DS-Plan
Illuminazione: Arup Deutschland GmbH
Architettura del paesaggio: TOPOS Stadtplanung Landschaftsplanung
Costo totale dell’opera: ca. 140 milioni di euro (finanziata interamente dal Bund)
Superficie lorda: ca. 14.000 mq
Superficie netta: ca. 9.200 mq
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berlino , david chipperfield , germania , Mies van der Rohe , movimento moderno , restauro del moderno
Last modified: 15 Settembre 2021