Tre recenti romanzi scritti da architetti, o in cui l’architettura e la sua spazialità giocano un ruolo centrale
Nell’ormai vasto e battutissimo campo d’incontro/scontro tra progetto e letteratura, alcuni romanzi escono dall’anonimato portando i loro autori (architetti) a scalare le classifiche tra i libri più apprezzati. Oppure sono caratterizzati da uno sguardo architettonico, con la spazialità dei luoghi a dare identità al testo.
Il libro delle case (di Andrea Bajani, Feltrinelli, 2021, 25 pagine, € 17), è stato finalista al Premio Strega e al Premio Campiello. L’autore – romano di nascita, ma statunitense d’adozione – pubblica romanzi dai primi anni 2000 ed è un habitué di premi di rilevanza nazionale (Super Mondello, Brancati, Recanati, tra gli altri). Quest’ultima opera, dal sapore vagamente autobiografico (il protagonista è nato nel 1975, proprio come l’autore), si compone di 78 capitoli, ciascuno contrassegnato da un anno e da un titolo che aggettiva una casa (Casa parallela, Casa del sottosuolo, Casa di Prigioniero, Ultima casa di Poeta, e così via). La vicenda non è raccontata in maniera cronologica, ma è stata scomposta e si sviluppa in un andirivieni tra il passato più remoto, quello più recente ed il presente del protagonista, identificato solo dal pronome indefinito Io. Tutti i personaggi sono contraddistinti dai ruoli (Padre, Madre, Nonno, Moglie e via dicendo), tutto o quasi, pertanto, ruota attorno alla figura del protagonista e della sua famiglia, dall’infanzia al 2021. Al centro le case, nel senso più ampio del termine, effettivamente abitate da Io e dalle altre figure, per anni o anche solo per alcuni brevi periodi. A suo modo, Bajani riesce a costruire dunque una saga familiare, al pari di altri celebrati autori (viene in mente lo statunitense Jonathan Franzen). Allo sguardo intimo – e complesso, caratterizzato da rotture, separazione e drammi di varia natura – si sovrappone il racconto di fatti storici del periodo, come la morte di Pasolini nel 1975 o il sequestro Moro nel 1978. Siamo a Roma e il testo è scandito da immagini con le planimetrie catastali delle case dei personaggi del romanzo, a enfatizzare il rapporto (architettonico appunto) tra il luogo e la vicenda umana. Non mancano i momenti poetici, come l’incontro tra l’Io bambino e la tartaruga che vive nel suo giardino: ovvero l’animale che esprime, con la casa, il rapporto più particolare e intenso.
Un luogo solo, emblematico, è invece al centro de La ruggine del tempo (di Dario Galimberti, Edizioni libro/mania, 2021, 288 pagine, € 12,90). L’autore, architetto svizzero di Lugano, già responsabile del corso di laurea in Architettura della SUPSI e professore di Progettazione architettonica, dal 2014 pubblica romanzi di ambientazione storica. L’ultima uscita è la terza indagine del delegato di polizia Ezechiele Beretta (la precedente indagine era Un’ombra sul lago, uscito nel 2019). Ambientato negli anni trenta del secolo scorso, è un giallo la cui narrazione si apre con la planimetria del castello di Trevano: qui, dopo un furto di preziosi, si verificano delle morti misteriose. Il castello è un luogo realmente esistito, costruito su un promontorio di Lugano a fine Ottocento e demolito nel 1961; le vicende si ispirano a personaggi reali (uno dei protagonisti, il barone russo Paul Von Derwies, fu effettivamente il proprietario del castello). In ogni riga, e in generale nella saga del poliziotto Beretta, emerge un profondo amore per i luoghi raccontati. In questo senso va interpretata la nota finale dell’autore che approfondisce proprio la storia di un edificio a suo modo straordinario: frutto del lavoro di tre diversi progettisti (Bernhard Simon, Antonio Croci e Giuseppe Bernardazzi) e di un direttore dei lavori, Francesco Botta. Nonostante la qualità, tanto del complesso che del parco, alla morte del barone Von Derwies, il castello cambiò proprietà diverse volte, fino a che venne acquistato dal Cantone, che non trovò di meglio da fare che imbottirlo di tritolo e farlo brillare. Il promontorio ospita attualmente la sede della SUPSI ed è questo uno dei motivi che rende il luogo tanto speciale per l’autore.
Ci riporta alla struttura scomposta in brevi capitoli un altro romanzo importante, vincitore del Premio Strega due anni fa, Il colibrì (di Sandro Veronesi, La nave di Teseo, 2019, 368 pagine, € 20). Come nel caso del libro di Bajani la struttura si riferisce alle varie fasi della vita del protagonista, Marco Carrera, in una successione di fatti personali e umani che va dal 1960 e si proietta al 2030. L’autore è laureato in architettura e sembra conservare i tic tipici di chi ha svolto questo tipo di studi: l’amore per il design, la contrapposizione tra le figure dell’architetto e dell’ingegnere (rispettivamente la madre e il padre del protagonista, con un’immagine stereotipata: madre creativa e padre rigido nell’approccio alla vita), l’amore per alcuni testi sacri dell’architettura (o meglio, degli architetti) come On growth and form di D’Arcy Wentorth Thompson che ritorna a più riprese nella narrazione, come una sorta di feticcio. L’attenzione ai temi del progetto si trova anche nel dettagliatissimo elenco (ben 4 pagine di nomi di mobili con autore, anno di produzione e valore) della collezione di mobili di design italiano che il protagonista eredita. Il resto lo lasciamo scoprire ai lettori, ma è un libro ottimista che apre alla speranza per un futuro migliore, incarnato dalla figura della nipote del protagonista. Anche in questo senso, uno sguardo architettonico.
Immagine di copertina: il prospetto meridionale del Castello di Trevano (https://galimberti.vitruvio.ch/trevano.php)
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Last modified: 29 Settembre 2021