Riceviamo e pubblichiamo una denuncia del grave stato di abbandono del borgo medievale in provincia di Rieti, vittima di troppe leggi e tutele che non ne hanno sanato le ferite
doloris sopitam recreant volnera viva animam
(aforisma di anonimo latino)
Castel Sant’Angelo è un borgo medievale in provincia di Rieti, adagiantesi sulla piana di San Vittorino lungo la dorsale appenninica che domina la valle del Velino, apprezzato per la sua storia, la sua architettura e le sue chiese, al cui interno affreschi risalenti al XV secolo ne testimoniano la gloria che fu. Parliamo di un gioiello d’arte ridotto a mal partito dall’indifferenza politica e dall’incuria amministrativa. Norme a tutela dei beni artistici e architettonici non sono mai mancate: si è assistito nel tempo a un diluvio di leggi e decreti, con cui si è discettato di finalità pubbliche, creando sovrintendenze e organismi, con rimbalzo di competenze fra stato-regioni-enti locali, con sottili distinguo fra bene e attività culturale.
In concreto però, due isolate voci di protesta si sono levate a denunciare il degrado del borgo, entrambe a mezzo del quotidiano “Il Messaggero” del 21 settembre 1999 a firma Sergio Silva. Il vibrante appello della prof.ssa Carla de Angelis, all’epoca vice-presidente nazionale dell’associazione Italia Nostra e responsabile della sezione reatina, che così denunziava: “Sono caduti pezzi di affresco dell’abside della chiesa di San Rocco. Inoltre, sull’affresco dell’Incontro di Maria Vergine con Santa Elisabetta piove da più di 30 anni e l’umidità lo ha già danneggiato gravemente…ci stiamo avviando ad una perdita irrecuperabile…”. L’appello altrettanto vibrante dell’architetta Flavia Festuccia, già presidente del gruppo Archeo-club, sezione Castel Sant’Angelo: “Le mura perimetrali dell’abitato crollano… già avvenuto il crollo della parte est della cinta muraria… unico provvedimento amministrativo preso: la chiusura della strada sottostante… rischio di sgretolamento del limite nord della cinta muraria… delle 11 torri tipiche del borgo originario, oggi ne sono visibili solo 7”.
Appelli caduti nel vuoto, a quanto sembra. Nel mentre, l’apparato statale ha continuato a legiferare e regioni e comuni a deliberare, aumentando la densità normativa e creando organismi di raccordo con gli enti locali, senza però sanare le ferite profonde di cui sopra. Così, sono intervenuti il Testo unico in materia di beni culturali ed ambientali, nonché il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma in senso inversamente proporzionale si sono solidificati degrado e indifferenza amministrativa. Tuttavia non disperiamo: altre riforme e altre leggi e altri organi di vigilanza e ispezione contrasteranno lo scempio delle mura cadenti, dei pezzi di affresco in rovina, delle erbacce che inorgogliscono le mura perimetrali dei borghi italici!
Negli ultimi versi dell’Amleto, di fronte al dilemma se agire con risolutezza oppure, esitando, rimandare il tutto, il principe danese rifletteva amaramente: “Invero la coscienza ci rende tutti codardi e il color proprio della risolutezza sbiadisce al pallido riflesso del pensiero e imprese di gran valore e altezza in questo modo deviano il loro corso e perdono la qualifica di azione”. Nonostante il pallido riflesso nell’imo della coscienza, in lui ancora emergeva un pensiero degno di tal nome. L’anima sopita italica saprà mai un giorno risvegliarsi, una volta trafitta da ferite sì profonde?
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lazio , lettere al Giornale , restauro
Last modified: 20 Luglio 2021