In Romania, un caso estremo di reinsediamento rurale sotteso da un progetto di vita, culturale ed etnografico
Cristina e Gabriel Suliman vivevano a Bucarest, ma pensavano che non offrisse un ambiente adatto per crescere i due figli; sentivano il bisogno di passare più tempo con loro di quanto sarebbe stato possibile in una grande città. Dopo varie ricerche, hanno venduto il loro appartamento, acquistando del terreno per soli 3.500 euro a Cheia e nel 2013 vi si sono trasferiti, con il progetto di restaurare le case tradizionali e fornire alloggio ad amici e turisti. Un progetto di vita, ma anche culturale ed etnografico, finalizzato al recupero delle tradizioni rurali. I Suliman sono arrivati giusto in tempo per incontrare gli ultimi abitanti che ancora mantenevano lo stile di vita tradizionale, e hanno potuto attingere alle loro conoscenze.
I Suliman hanno recintato una parte del loro terreno e hanno creato qualcosa di simile a una gospodărie tradizionale, comprendente due piccole vecchie case, una cucina e un tavolo da pranzo all’aperto, una cantina scavata nel pendio, una legnaia, un focolare, un orto, un pollaio, una conigliera, una lavatrice, un pannello fotovoltaico; la doccia, la latrina a secco e il recinto per le capre sono subito fuori. Le attività quotidiane della famiglia si estendono su tutto questo ambito, mettendo in discussione la nozione di confine dello spazio domestico: come i contadini tradizionali, vivono molto all’aperto, in tutte le stagioni, anche con il brutto tempo.
Entrambe le case risalgono alla fine del XIX secolo. Sono state smontate nel 2014 dai loro siti originari, distanti qualche chilometro; il solo trasporto ha richiesto un’estate intera. I lavori di ricostruzione, sostanzialmente fedeli ma con qualche modifica, sono terminati nel 2017.
La casa Gavrilă, dove vivono i Suliman, è molto piccola (3,6 x 3,4 m), mentre casa Paraschiva misura circa 23 mq ed è affittata a turisti. In origine, casa Paraschiva aveva un basamento in pietra; ora poggia su corti pilastri di cemento armato, mentre casa Gavrilă poggia direttamente sul terreno.
Entrambe hanno pareti a blockbau dello spessore di 15/20 cm, di tronchi squadrati di faggio e pioppo tremolo, incastrati e connessi da cavicchi lignei. La faccia esterna è lasciata a vista, mentre l’interno è intonacato con argilla gialla mista a paglia su rametti spaccati per lungo e fissati diagonalmente alla parete. Gli interstizi tra i tronchi sono riempiti con muschio. Le piccole finestre hanno lastre di vetro singole; per far entrare l’aria, l’intero telaio deve essere rimosso. I solai sono stati rifatti con travetti e tavolati di abete; l’intercapedine è riempita con paglia, argilla e cenere.
Il tetto è molto ripido, per permettere l’agevole allontanamento di pioggia e neve. Nella tradizione rumena, i manti di paglia erano spessi (circa 80 cm) e più durevoli (circa ottant’anni). Quelli originari erano in paglia di segale a stelo lungo. Tuttavia, ora i cereali coltivati in pianura con i fertilizzanti crescono troppo velocemente e forniscono una paglia meno resistente, che marcisce facilmente. Rifare i tetti con la paglia delle rotoballe è stato difficile perché è troppo corta; la tecnica tradizionale non è stata applicabile. Per casa Paraschiva ci sono volute più di 6 tonnellate di paglia. Il fumo sale nel sottotetto in un tubo che finisce sotto un cesto rivestito interamente in argilla, sabbia e sterco di cavallo. Il cesto diffonde il fumo lentamente e fa cadere la fuliggine sul pavimento. Il fumo forma uno strato di catrame lucido e protettivo sull’intradosso del manto di paglia, cementandolo.
La pianta di casa Gavrilă è costituita da un portico e una camera con un letto, un piccolo tavolo e una stufa di pietre legate con argilla. La Paraschiva ha portico e due stanze, ciascuna con una stufa il cui giro fumi si estende sotto un letto in muratura. Gli interni hanno un aspetto semplice e spartano; vi sono ostesi oggetti artigianali tradizionali: panni, terrecotte, casse, mobili.
L’acqua di una sorgente alimenta la cucina e un lavandino addossato alla parete nord di casa Gavrilă, che è illuminata elettricamente; l’altra, invece, con lampade a cherosene. I Suliman non hanno un televisore da quando hanno lasciato Bucarest, ma hanno accesso a Internet. Sono vegetariani. Bambini e genitori sono sempre insieme; lavorano duramente, ma si prendono anche il tempo per vivere. O per lo meno così è stato prima della morte di Cristina. Dopo di allora, Gabriel e i suoi due figli non sono più stati in grado di vivere permanentemente a Cheia. Questa storia racconta anche la fragilità delle scelte convinte, financo testarde, ma solitarie.
Il caso di Cheia corrobora il sospetto che per rimanere nei limiti della sostenibilità si dovrebbe vivere in un modo frugale, non molto diverso da quello tradizionale negli edifici vernacolari. Probabilmente, le nostre aspettative di comfort sono eccessive, indipendentemente dalle prestazioni energetiche degli edifici. Tuttavia, edifici costruiti (o ricostruiti) oggi con una grande prevalenza di materiali di origine vegetale potrebbero registrare consumi energetici molto inferiori a quelli di Cheia.
La localizzazione
Cheia è una frazione del Comune di Râmeţ nella Contea di Alba, nell’omonima depressione nel paesaggio dei Trascău, parte della catena dei monti Apuseni. L’altitudine è inferiore ai 600 metri, ma Cheia è circondata da montagne calcaree le cui cime raggiungono i 1200 m. Si trova a circa un’ora di cammino dalla strada provinciale, lungo un sentiero nella foresta che costeggia un torrente. Fino al 1940, nell’insediamento sparso vivevano 50-60 famiglie. I suoi dodici mulini contribuivano significativamente all’economia locale. Oggi il villaggio è quasi completamente abbandonato. Le case vuote si susseguono lungo sentieri su cui si avventurano solo escursionisti. Di notte, il buio e il silenzio sono quasi assoluti. Cheia ha tuttavia un potenziale come destinazione turistica, poiché si trova alla confluenza di diversi itinerari e vicino alla riserva naturale di Cheile Râmeţului. I luoghi sono cambiati negli ultimi decenni. Gli alberi sono tornati, coprendo i vecchi pascoli e gran parte dei resti dell’insediamento, il cui dissolvimento è facilitato dal carattere compostabile delle costruzioni.
L’impatto ambientale
Casa Paraschiva pesa 26 tonnellate (ovvero 1.119 kg/mq) di cui 22 di materiale sostituito o introdotto nella ricostruzione. Il 74% del peso è costituito da materiali naturali, e la componente vegetale supera il 50%: un vero “edificio vegetariano”! Vi sono poco meno di 300 kg di paglia e circa 450 kg di legno al mq di superficie utile. Il volume costruito è molto grande rispetto al volume abitabile. Anche grazie a questo, i valori dei due principali indicatori d’impatto ambientale “inglobato” sono straordinariamente bassi. L’energia grigia è di 122 GJ (5.318 MJ/mq, 5,63 MJ/kg, 41 MJ/ab) calcolata secondo Ökobaudat, 35 GJ (2.633 MJ/mq, 1,61 MJ/kg, 12 MJ/ab) secondo ICE. Le emissioni di gas a effetto serra inglobate sono -13 tonnellate di CO2 equivalente (-570 kg/mq, -0,60 kg/kg, -4373 kg/ab) calcolando con Ökobaudat, 3 tonnellate (131 kg/mq, 0,14 kg/kg, 1001 kg/ab) con ICE. Il consumo annuale di legna da ardere è di circa 3 mc per tutta la gospodărie. Il consumo per riscaldamento è la metà di Sandberghof, pur essendo 20 volte più piccola: è quindi dieci volte più grande se riferito alla superficie riscaldata, e una volta e mezza pro capite.
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abitare , compatibilità ambientale , La casa vegetariana , Romania , tecnologia
Last modified: 12 Luglio 2021