Primo vincitore tedesco del premio Pritzker, autore di oltre 70 edifici di culto
Si è spento il 9 giugno all’età di 101 anni l’architetto Gottfried Böhm, figlio (fratello e genitore) d’arte (il padre Dominikus fu costruttore di chiese a Offenbach, sua città natale), primo vincitore tedesco del premio Pritzker nel 1986, protagonista del film I Böhms. Architettura di una famiglia (2014), in cui si narra di una fantastica dinastia di donne e uomini totalmente dediti all’arte del costruire.
Niente affatto eccentrico e ancor meno divo, Gottfried era in questo molto tedesco: schietto, poco devoto eppure molto mistico (nomen omen: Gottfried significa in tedesco “in pace con Dio”), scultoreo per formazione e per caratteristiche plastiche, studiate e da lui plasmate fin nel più piccolo dettaglio nelle sue architetture. Oltre 70 iconici edifici di culto sono la testimonianza materica più lampante del campo d’azione in cui primeggiò nella sua Germania, uscita moralmente e materialmente distrutta dal secondo conflitto mondiale, da ricostruire, voltando le spalle nel modo più deciso a quanto era stato, guardando a nuove forme, idee e materiali.
Il Mariendom di Neviges (1968), il santuario con cattedrale in cemento grezzo dedicati a «Maria Regina di Pace» in una frazione della cittadina di Velbert (Nordreno-Vestfalia), s’erge ancora oggi inamovibile come una roccia dalle spettacolari insenature, ma una roccia artificiale, di cemento: un fatto nuovo, rivoluzionario e aspramente criticato all’epoca della sua costruzione, oggi meta di pellegrinaggio profano di appassionati d’architettura di tutto il mondo. Ma guai a chiamarlo «brutalista». A Böhm non è lecito appioppare aggettivi stilistici e relativi -ismi: come chiaramente spiega in un’intervista la filosofa ungherese Agnes Heller (anche lei scomparsa di recente), “quanto di più limitante un pensiero libero e senza confini di moda del momento”. Ciò detto va riferito che a Neviges, grazie a una recente mostra sul santuario, le sue leggendarie progettazione e realizzazione e il recente restauro cui è stato sottoposto, i discepoli della nuova religione brutalista hanno consacrato il proprio tempio pagano per scorci mozzafiato da fotografare e postare su instagram o altre piattaforme a tema.
Böhm non seguì uno stile preesistente né volle essere iniziatore di uno nuovo, mosso solo dal proprio genio, laicamente ispirato dall’alto: la «Süddeutsche Zeitung» lo chiama, nel coccodrillo dedicatogli all’indomani della scomparsa, il «Gottes Betonbaumeister», ovvero l’architetto di Dio che plasma il cemento in maniera spettacolare, con coraggio, fantasia, un senso straordinario dello spazio e della materia. Si lanciò in tempi non sospetti nell’uso spregiudicato di un materiale affatto freddo, capace di toccare, nella sua essenzialità, le corde più intime, l’anima delle persone.
La chiesa era per lui la forma più sostanziale dell’architettura: spazi puri come la materia di cui sono fatti; masse ruvide che rimandano nelle loro nicchie nascoste e “nelle superfici grezze accarezzabili come caratteri non educati a un sentimento arcaico, naturale, inserito in una dimensione universale”, come la definisce il giornale online «BauNetz», capace di travalicare e unire i confini che prima separavano pubblico e privato. Queste caratteristiche ritornano anche nelle non poche architetture civili di Böhm, prima fra tutte il municipio di Bansberg (1969) dove “la casa funziona come una città, la città come una casa” o l’insediamento nella nuova città di Chorweiler (1974).
Immgine di copertina: la chiesa Maria Königin des Friedens, Neviges (1963-1972), vista dalla strada processionale.
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Chiese , germania , premio pritzker
Last modified: 22 Giugno 2021