L’ennesimo concorso, inadeguato al di là degli esiti, pare l’emblema di una vicenda tormentata che non ha mai visto la riqualificazione del principale sito ex industriale italiano
NAPOLI. La baia di Bagnoli da Nisida a Miseno è un sito in cui s’intrecciano una bellezza naturale straripante, il mito, la storia e le leggende delle origini ma anche i resti di un mondo industriale e sociale che raccontano il declino di un’esperienza. Nel 1905 comincia la costruzione dell’acciaieria che prende il nome preistorico dell’isola d’Elba da cui proveniva la materia ferrosa. Il sito era stato oggetto di un avveniristico progetto mai realizzato di Lamont Young, che nel 1872 disegnò il cosiddetto “Rione Venezia” con giardini, canali d’acqua e un tessuto residenziale a impatto ridotto [immagine di copertina].
A fine anni ottanta l’altoforno dell’Italsider effettua l’ultima colata e ne La dismissione Ermanno Rea racconta il lento spegnimento della fabbrica e delle ultime speranze di un mondo operaio che Pasolini già rappresentava esposto alla disoccupazione dalle crisi internazionali degli anni settanta. Il libro si chiude con uno straziante funerale, fotografia e presagio di una realtà drammatica. Il report è un numero inaccettabile di morti sul lavoro, milioni di tonnellate di sostanze tossiche immesse nell’aria e in mare ogni giorno per 80 anni e una colmata a mare che divide tra l’idea dell’abbattimento o del riuso.
Una riqualificazione sempre incompiuta
Nella notte tra il 3 e 4 marzo 2013 un incendio doloso distrugge il polo culturale della Città della scienza progettato dallo studio Pica Ciamarra Associati. Ma distrugge anche il percorso di riqualificazione dell’area che ritorna nell’alveo di una specie di racconto eternamente incompiuto. I progetti finora redatti ne sono una conferma. Una mostra virtuale organizzata dalla Consulta delle costruzioni coordinata da Alessandro Castagnaro rivela la sequenza infinita dei progetti per la costa, a partire da quello di Renzo Piano e Cesare De Seta del 1991. Trent’anni dopo, il “capannone rosso” classificato come “archeologia industriale” resta in piedi tra altri scheletri in un panorama di abbandono.
Nel 2002 il Comune di Napoli vara la società strumentale Bagnolifutura con l’intento di procedere alla bonifica della zona e attuare il Piano urbanistico attuativo approvato nel 2005. Nel 2006 il gruppo di Francesco Cellini vince il concorso per il grande parco urbano mai realizzato. Nel 2014 lo “Sblocca Italia” avvia un percorso diverso che porta il Commissario di Governo a predisporre un apposito Programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana (PRARU) a firma Invitalia e approvato con Conferenza dei servizi nel 2019.
Nel 2015 vengono annunciati i vincitori del concorso internazionale per la ricostruzione del nuovo Science centre, bandito a seguito della scelta di non ricostruire l’edificio semidistrutto dall’incendio, bensì di realizzare una nuova struttura spostata di circa venti metri in nome di una discutibile liberazione della spiaggia di Coroglio. Un progetto ormai abbandonato, perché il PRARU prevede di espropriare l’area in oggetto e di collocare altrove il museo della Città della Scienza.
Il tutto s’intreccia con fallimenti, sequestri di suoli da parte della magistratura, danni erariali per milioni di euro, codici e leggi che si sovrappongono, cantieri avviati e poi abbandonati (il Parco dello sport di Pica Ciamarra) e qualche rara realizzazione (la Porta del parco di Silvio D’Ascia).
Idee imbrigliate per un concorso miope
Il carico di questa tormentata vicenda pesa sull’esito del concorso internazionale d’idee per il disegno del nuovo paesaggio di Bagnoli, sempre a cura di Invitalia, chiuso il 22 febbraio e vinto dallo studio S.B. Arch. Bargone Associati di Roma. E ne mette in evidenza tutte le inadeguatezze. La prima: sessanta giorni per predisporre i progetti contro anni di procedure. Sono in corso le verifiche del possesso dei requisiti dichiarati dai partecipanti e non si conoscono ancora i progetti elaborati dai 18 studi italiani ed esteri. Colpisce immediatamente il “fuori scala” della giuria a confronto con la complessità della storia del luogo e del tema, nonché con la caratura dei partecipanti. Il bando muove oltre 1,2 miliardi tra espropri, bonifiche, infrastrutture e opere architettoniche. Ma la criticità maggiore del bando sta nel disegno già definito e immutabile delle infrastrutture con la rigida partizione dei lotti sui perimetri catastali e nella quantificazione dei volumi per ognuno. Pertanto contro la ragione stessa per cui si bandisce un concorso, per di più d’idee, la proposta progettuale tra i vincoli suddetti si è ridotta inevitabilmente al solo disegno degli elementi come attività di design.
Nel 1991 il Comune di Napoli chiede all’IN/ARCH il supporto per organizzare un concorso ristretto per la rinascita di Bagnoli. Bruno Zevi sceglie una dozzina di architetti in prevalenza stranieri che invita a confrontarsi su ipotesi morfologiche e modi di costruzione del paesaggio, senza limiti imposti o vincoli funzionali ma supportati da studi di fattibilità economica. Praticamente i progettisti erano chiamati a disegnare lo scenario del futuro, che è il sogno di ogni essere umano. Il concorso fu avviato ma poi annullato per l’intervento dell’Ordine professionale. Resta l’esperienza di una visione che andava ante litteram nella direzione esattamente opposta del concorso di cui oggi aspettiamo di vedere i progetti.
Immagine di copertina: il progetto di Lamont Young per il “Rione Venezia” di Bagnoli (1872)
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concorsi , magazzini industriali , napoli , rigenerazione urbana
Last modified: 21 Aprile 2021