Dopo la messa in sicurezza e l’opzione del restauro filologico, ora il rischio è di correre troppo, perdendo l’occasione di ripensare la Cattedrale in rapporto al contesto dell’Île de la Cité (in odore di concorso)
PARIGI. Il 9 luglio 2020, più di un anno dopo l’incendio del 15 aprile 2019, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, inizialmente tentato da un gesto architettonico suscettibile di segnare il suo mandato quinquennale, ha accettato il principio di ripristinare l’ultimo stato conosciuto della Cattedrale, dov’era, com’era. Nel mezzo della quarantena, conferenze stampa e documentari patriottici disponibili online, tinti di populismo, predicavano il desiderio di cancellare un disastro accidentale e vergognoso. Un ritorno all’ordine e alla ragione per alcuni, fallimento e rassegnazione per altri, che vedevano nell’incidente una possibile ridistribuzione delle carte.
Il cantiere dell’eccesso
Le operazioni di sgombero, consolidamento e pulizia del monumento sono ormai quasi terminate, e i rischi di crollo delle strutture danneggiate eliminati. Ogni tappa è segnata da procedure macchinose: l’enfasi della loro copertura mediatica, così come il loro costo sbalorditivo, tutto ciò può far perdere di vista le sfide dell’intervento. La scadenza di cinque anni fissata arbitrariamente da Macron per il completamento del progetto significa che deve essere fatto rapidamente: non c’è spazio per il dibattito. Meglio ancora, l’architecte en chef des Monuments historiques Philippe Villeneuve, nominato responsabile di Notre-Dame nel 2013, senza dubbio grande conoscitore del “suo” edificio ma poco conosciuto per la sua audacia e le sue soluzioni innovative, è stato riconfermato dopo il disastro senza ulteriori indugi.
Lo smantellamento della gigantesca impalcatura con tubi fusi e saldati eretta all’incrocio del transetto per il previsto restauro della guglia è stato posto al centro dell’attenzione, senza mai mettere in discussione la sproporzione di questa foresta di metallo che nessuna operazione di questo tipo – il restauro di una guglia – ha mai dato luogo sul suolo francese. Dopo l’incendio, questo eccesso trovò una logica estensione nelle misure di consolidamento, che portarono in particolare all’installazione di una proliferazione d’impalcature ed elevatori, il cui eccesso fu stigmatizzato dagli esperti, così come l’incondizionato irrigidimento dell’intera navata.
La spettacolare installazione di 28 centine di 8 tonnellate ciascuna, poste sotto i contrafforti per contrastare la possibile spinta delle pareti nel vuoto – anche a livello delle campate non danneggiate – ha richiesto il consolidamento di tutte le strutture sottostanti. In un paese in cui le decisioni sono allo stesso tempo poco informate sull’architettura, ignorante sugli interventi negli edifici del passato e poco in sintonia con il loro tempo, questa sontuosa teatralità corrisponde inoltre alle aspettative del pubblico.
Regolarmente denunciato dalla Corte dei conti, lo sperpero di denaro pubblico nella gestione dei fabbricati storici trova il suo sostegno nell’alibi del patrimonio e nel monopolio di una competenza di cui i soprintendenti pretendono di essere i soli detentori. Da questo punto di vista, le proposte progettuali fantasiose che si sono moltiplicate all’indomani del disastro hanno fatto molto per rafforzare la loro posizione. Qualsiasi tentativo di consultazione a livello tecnico, architettonico o di patrimonio è stato respinto perché rischiava di ostacolare la tabella di marcia, stranamente affidata a un alto ufficiale dell’esercito, il generale Jean-Louis Georgelin. Molti hanno criticato la fretta adottata per un imperativo del calendario – i Giochi olimpici del 2024 – che le generazioni future giudicheranno presto irrisorio. Un desiderio d’immediatezza che, nel XIX secolo, non avrebbe mai permesso a Lassus e Viollet-le-Duc di passare da una campagna di manutenzione certo rilevante all’intervento di grande respiro dove la Chiesa e lo Stato si sono riconosciute contemporaneamente.
La volumetria dell’edificio prima dell’incendio verrà così ristabilita con quercia e piombo, secondo le tecniche tradizionali, come se non fosse possibile d’istituire nuovi legami tra Notre-Dame e il mondo contemporaneo. Sotto i riflettori delle telecamere, Georgelin e i principali attori del restauro filologico, tra cui il ministro della Cultura, si sono recentemente recati nella foresta di Bercé (regione della Sarthe) per assistere alla selezione degli alberi centenari necessari al restauro della guglia.
Luci e ombre della legge ad hoc
Promulgata il 29 luglio 2019, la legge per il restauro e la conservazione di Notre-Dame aveva diverse componenti. Se da un lato ha fornito il quadro istituzionale per raccoglier la manna finanziaria caduta sul monumento, dall’altro ha dato all’Établissement public istituito per l’occasione un regime derogatorio che lo libera dalle procedure e dai ritardi inerenti al calendario.
L’articolo 9, che è stato notato da alcuni, prevedeva una certa estensione nella considerazione dei dintorni e dell’accesso alla Cattedrale. Si trattava di una disposizione volta a favorire una possibile riassegnazione dei fondi disponibili, cioè l’eventuale realizzazione di alcune delle ipotesi contenute nel rapporto della Mission Île de la Cité affidata da François Hollande a Philippe Bélaval e Dominique Perrault nel dicembre 2015, che prevedeva una completa riqualificazione dell’isola? Presentato al pubblico nel febbraio 2017, questo progetto integrava una valorizzazione di tutti gli spazi pubblici sull’isola, l’allestimento di passeggiate piantumate, la bonifica di tutti gli edifici istituzionali così come lo sfruttamento delle sue numerose infrastrutture sotterranee.
Un concorso per la riqualificazione dell’intorno
Ora, la Municipalità si prepara a lanciare una consultazione internazionale per la riqualificazione della zona intorno alla Cattedrale – piazza, cripta, banchine e strade adiacenti – con quattro gruppi di architetti da selezionare entro fine estate.
L’affidamento del cantiere di Notre-Dame nelle sole mani della Soprintendenza testimonia una separazione intellettuale caratteristica dell’arretratezza francese in termini di strategie patrimoniali tra ciò che è monumentale e ciò che è urbano. Possiamo augurare che la simultaneità degli interventi abbandoni questa forma di “haussmannitudine” che contribuisce a mantenere l’impermeabilità tra il monumento e il tessuto in cui è integrato? Come riassumeva il critico Yvan Christ nel 1960, “una cattedrale gotica non è mai stata concepita per decorare una piazza!“. Quale coerenza urbana e quale beneficio ci si può aspettare da una cattedrale ricostruita a prescindere dal destino della piazza, degli spazi pubblici e delle strutture insulari che sono state progressivamente svuotate della loro sostanza – l’Hôtel-Dieu, il Palazzo di Giustizia -, convertite una ad una secondo le circostanze e l’appetito degli investitori? Il Comune e lo Stato, proprietario della maggior parte degli edifici, compresa la Cattedrale, accetteranno di mettere le loro prerogative al servizio di una strategia globale di valorizzazione dell’intera isola e dei suoi monumenti?
Gli spunti di riflessione dall’estero
Dall’estero sono emerse rilevanti dinamiche di riflessione. L’architetto catalano Josep Maria Garcia-Fuentes, visiting professor all’Università di Newcastle, ha guidato uno studio di progetto sull’Île de la Cité durante il 2019-20. Alcune delle proposte sollevano in modo cruciale e anche sconvolgente la questione del contesto del monumento nel cuore di una delle città tra le più turistiche del pianeta.
Su iniziativa del Dottorato di Architettura, storia e progetto del Politecnico di Torino, si è appena tenuto un ciclo di conferenze dal titolo L’île de la Cité tra storia e progetto, il cui scopo era quello di redigere uno stato di fatto di quel deserto urbano che è l’isola nelle sue stratificazioni attuali.
A Parigi si sta preparando un convegno (7 e 8 giugno prossimi) la cui ambizione è quella di riunire e fare conoscere le ricerche le più recenti e le sperimentazioni didattiche agli attori da cui dipende attualmente il destino dell’isola.
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Immagine di copertina: Oli Gabe, “Building upon building” (studio sul recupero dei dintorni di Notre-Dame e dell’Île de la Cité realizzato sotto la direzione del professor Josep Maria Garcia Fuentes, School of Architecture, University of Newcastle-upon-Dyne, 2019-20)
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catastrofi , monumenti , parigi , restauro
Last modified: 14 Aprile 2021