Un ricordo dello studioso di storia urbana irrequieto e curioso autore di libri che costituiscono un corpus imprescindibile per tutti gli storici
Pierre Pinon nasceva il 27 luglio del 1945. È mancato domenica 7 marzo. Ci lascia non solo libri e articoli fondamentali, per una storia urbana che in Francia ha avuto alcuni dei suoi rappresentanti più intriganti (da Bernard Lepetit a Marcel Roncayolo), ma il ricordo di quanto la vita sia gioia, anche quando il prezzo che paghi è la vita stessa.
Pinon era un vero rappresentante di una tradizione francese che ha padri nobili illustri (da François Rabelais a Molière), ma che ha trovato la vera gioia del vivere nel secondo dopoguerra e in alcuni degli storici più celebrati. Una gioia che accompagnava, e in parte spiegava, la curiosità e irrequietezza dei suoi studi e della sua carriera. Ha insegnato all’INHA (Institut national d’histoire de l’art), ha lavorato al CNRS (Centre national de la recherche scientifique), ha soggiornato a Villa Medici a Roma, ha amato Istanbul forse come Parigi.
I suoi libri più ricchi di stimoli e originali non sono i più celebrati. Les Envois à Rome (1778-1968). Architecture et archéologie, scritto insieme a François Xavier Amprimoz, offre gli spaccati più interessanti di un nodo – quello della circolazione di simboli, modelli e idee – che tanti hanno cercato di ripercorrere, sino a fondare una fantomatica Università italo-francese. Ma egualmente interessante è il testo scritto con Cyril Mango e Stephane Yerasimos su Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio, in cui si tenta una storia urbana quasi impossibile, perché ancora con gli scavi di Yennikapi sono emerse del tutto inattese fasi preistoriche, luoghi, forme di scambio e forme di vita durante, ad esempio, gli assedi che la città subisce.
Certo gli studi che Pinon dedica a Parigi, e in particolare alla Parigi haussmanniana, costituiscono per tutti gli storici un corpus imprescindibile. In particolare il suo Atlas du Paris Haussmannien: la ville en héritage du Second Empire à nos jours non è solo la guida più attenta che chiunque la voglia attraversare può ritrovare. È anche il testo in cui emergono l’ironia e il gusto per la sorpresa da generare nel lettore, come per l’aneddoto che Pinon estraeva con malizia, quando ti accompagnava per quella Parigi che amava. Perché per lui, come per tutti i veri storici della città, la città si capisce camminando. Camminando la città stessa ti aiuta a capire quale vita nasconde. Come nel caso del suo studio sull’Hospice de Charenton, in cui è il sottotitolo a offre le chiavi per entrare nella città come lui la vedeva: “temple de la raison, ou, folie de l’archéologie”.
La sua formazione di architetto emergeva non solo nelle fonti che privilegiava, ma anche nella scelta dei protagonisti che faceva emergere di quella Parigi, come Louis-Pierre e Victor Baltard, padre e figlio. Una piccola genealogia di famiglia restituisce il padre non solo architetto, ma anche artista e teorico. Il figlio ci viene restituito come uno tra i più prolifici architetti della Parigi del XIX secolo, sottratto alle Halles e restituito a una carriera che inizia come un vincitore del Grand Prix de Rome e lo vede architetto diocesano e restauratore, per come allora si poteva intendere il restauro.
Pierre era un singolare amico, specie con chi, come chi scrive, non condivideva certe sue gioie; a volte scontroso, a volte affettuoso oltre ogni attesa. Le opere, in specie alcune opere sue, erano già autonome dal suo autore. Quello che nessuno ci potrà restituire è il suo spirito irrequieto, curioso, a volte bizzarro, al limite dell’autolesionismo, la lezione che la vita la vivi nel presente, non in futura memoria o nel ricordo di un passato ricco di esperienze e di contraddizioni, come per altro è per tutti noi. Ha consumato la sua vita sino all’ultimo nel suo presente. E questa è una lezione davvero rara, non solo per chi gli voleva bene.