Pubblichiamo una lettera di commento al concorso d’idee bandito dalla Triennale di Milano per ripensare gli spazi del carcere
Spett.le redazione,
nel solco dell’azione che da molti decenni conduco per contribuire a far crescere, nel nostro paese, il fronte culturale architettonico sul tema dell’edilizia carceraria, ancora una volta mi avvalgo di questo Giornale (per il quale ho curato l’inchiesta “Emergenza carceri”) per portare alla ribalta questioni aperte.
Lo spunto mi è dato dal concorso d’idee “San Vittore, spazio alla bellezza”, recentemente lanciato dalla Triennale di Milano e dalla casa circondariale Francesco Cataldo – San Vittore di Milano, rivolto a progettisti, architetti, designer, urbanisti, ingegneri. Obiettivo dell’iniziativa è promuovere una nuova concezione di casa circondariale, attraverso la riprogettazione di alcuni spazi del carcere, per cambiarne la percezione e migliorarne la funzionalità, iniziando dalla bellezza degli spazi che lo ospitano. Il prodotto finale consiste nell’elaborazione di studi di fattibilità tecnico-economica per ogni ambito d’intervento, ad opera dei progettisti selezionati, partendo dall’identificazione dei bisogni della casa circondariale, dei suoi attori, dei suoi utenti e dei cittadini. Un metodo questo già utilizzato all’estero, nella progettazione del nuovo carcere di Haren in Belgio, e che rappresenta indiscutibilmente una nota positiva nel desolante scenario nazionale della progettazione carceraria, fortemente caratterizzato da prassi che nulla hanno a che fare con la condivisione.
Osservo come nei testi introduttivi dei promotori, allegati al bando, si esprimano valori e temi che appartengono al “carcere ideale” della Costituzione e dell’Ordinamento penitenziario – peraltro da decenni sempre declamati e scarsamente concretizzati – in assenza di una loro contestualizzazione nel “carcere reale”. Il fatto che la legge di riforma dell’Ordinamento penitenziario, risalente nella sua prima formulazione al 1975 e tutt’ora in vigore con qualche modifica recente di modesta rilevanza, non abbia ancora trovato compimento, rende non solo il senso dell’impotenza generalizzata a risolvere i problemi che affliggono il nostro carcere, ma velleitaria ogni azione per un suo reale cambiamento.
Lo stato deplorevole, sia dal punto di vista materiale che umano, degli istituti detentivi in funzione – che ha visto l’Italia nel 2013 condannata dalla Corte europea dei diritti umani per trattamenti inumani o degradanti – rimane una costante, nonostante i recenti sforzi governativi profusi per superarlo. Dobbiamo essere consapevoli del quadro deficitario che investe il nostro universo carcerario, fatto di risorse umane, materiali ed economiche insufficienti, ma anche caratterizzato dall’assenza di strumenti culturali in grado di affrontare i temi architettonici che appartengono al carcere.
Anche se in alcune aule universitarie il tema del carcere da alcuni anni viene insegnato, peraltro a volte in maniera episodica e fantasiosa, non si può affermare che, nel nostro paese, i giovani architetti e ingegneri ne abbiano adeguata contezza. Anche per questo motivo, ma non solo, giudico immotivata la scelta di circoscrivere l’accesso al concorso ai soli professionisti under 40 e iscritti agli Albi professionali di Milano e provincia. Meglio e più utile sarebbe stato offrire l’opportunità di espressione e raccogliere idee per la soluzione dei problemi architettonici che affliggono San Vittore, senza limitazioni anagrafiche o burocratiche e in un quadro reale di denuncia delle criticità in atto.
Il rischio che intravedo con questa pur meritoria azione culturale è quello di perdere, ancora una volta, l’occasione di occuparsi realmente di una condizione disumana, tanto drammatica quanto distante da noi, considerandola mezzo e non fine.
About Author
Tag
concorsi , emergenza carceri , Milano , triennale milano
Last modified: 30 Dicembre 2020