La Fundacion Telefonica di Madrid rende omaggio alla figura rivoluzionaria di Richard Buckminster Fuller con una mostra che evidenzia i temi dell’innovazione tecnologica e dell’elaborazione dell’informazione
MADRID. L’atmosfera distopica dell’attuale crisi sanitaria offre un interessante sfondo per la mostra “Curiosidad Radical. En la órbita de Buckminster Fuller”, allestita presso la Fundación Telefónica. Il tono profetico del personaggio è adatto ai nostri tempi, in cui l’ombra di oscuri presagi sul clima e la salute, sull’energia, le risorse naturali o le migrazioni convive con una diffusa e spesso ingenua fiducia nello sviluppo tecnologico come motore del progresso umano. Infatti, mai come oggi siamo pronti ad accettare quella narrativa da videogioco o fumetto di fantascienza in cui un mondo sull’orlo della distruzione viene salvato dall’eroe, o dal supereroe. Una versione sublimata di noi stessi che Richard Buckminster Fuller (1895-1983) ha incarnato a lungo per molti architetti.
Il mito di Fuller
Il percorso espositivo inizia, significativamente, con un portale-passaggio di sezione triangolare con proiezioni di documenti (da disegni e appunti a ricette di medicamenti e biglietti ferroviari) del “Dymaxion Chronofile”, l’archivio di materiali che “Bucky” ha consacrato dal 1917 alla sua vita come esperimento, oggi conservato all’Università di Stanford. La costruzione ossessiva del proprio mito personale sarebbe in realtà uno dei contenuti più interessanti della mostra, suggerito dalle illuminazioni megalomani che collegano l’attitudine a superare se stesso e l’azione individuale al «successo o il fallimento di questo pianeta e degli esseri umani», o alla «grande strategia di risoluzione di problemi mondiali». L’interesse s’intensifica nel contrasto tra queste aspirazioni e le più mondane tecniche commerciali di branding e marketing che Fuller ha saputo utilizzare in un contesto sempre più definito dai media, dalla pubblicità e dal consumo.
Ma il discorso curatoriale oggi non sembra interessato a divari e contraddizioni, e molto meno alla possibilità di un’analisi critica. Le diverse tappe che organizzano il percorso accettano i racconti già costruiti: Fuller come grande pioniere, rivoluzionario e visionario, dal ripensamento radicale della casa, i trasporti e le città, le innovazioni strutturali dei tensegrities e le cupole geodetiche, ai contributi sull’informazione, la visualizzazione e trasmissione di conoscenze, o l’educazione. Tra i materiali eterogenei in mostra, accompagnati dall’immagine e dalla voce sempre ispirata di “Bucky”, dai suoi gesti in schermi e proiezioni, spuntano i disegni del 1927 per la 4D Lightful Tower, quelli originali del 1928 per la 4D House (Dymaxion Home), o il prototipo in alluminio e plastica della Dymaxion Dwelling Machine del 1944-46, prestato dal MoMA.
Nel discorso curatoriale, i tensegrities si collegano a una vocazione sperimentale che si estende dalle scienze alle arti, dalle teorie di Albert Einstein alle pratiche di Isamu Noguchi. Nel caso delle cupole geodetiche, si presenta l’impatto reale nella proliferazione di strutture prodotte con i mezzi e gli scopi più diversi: dall’enorme e altamente tecnologica costruzione istituzionale della cupola del padiglione degli Stati Uniti per l’Expo del 1967 a Montréal, ai manuali fai-da-te di Lloyd Kahn (Domebook) e le illusioni della controcultura hippie rappresentate nel video del 1967 sulla famosa comune Drop City in Colorado, girato da Richard Kallweit.
Le ultime due sezioni sono dedicate ai contributi di Fuller sull’archiviazione, gestione e visualizzazione dell’informazione, e sull’educazione. Sono presenti diverse versioni del Dymaxion Map e le pubblicazioni del World Game inventato nel 1961, insieme alla proiezione di Herbert Matter sul gioco. Il percorso si chiude con un mosaico di schermi in cui si riproducono senza pausa le conferenze del protagonista, presentato come precursore delle presentazioni “ispirazionali”. Ecco, infatti, il prototipo delle presentazioni che oggi si moltiplicano sul modello TED Talks, lezioni di vita che aprono gli occhi degli spettatori-consumatori.
In tutte le sezioni della mostra, le opere di Fuller sono accompagnate da prodotti recenti di artisti, designer o architetti “ispirati” dal maestro, come conferma alla persistenza del mito: tra altre opere, la sedia “BoneArm” di Joris Laarman e diversi progetti di stampa 3D per abitazioni, tra i quali “Gaia” e “Tecla” degli italiani WASP, riferiti alle forme naturali; il Fivefold Cube di Olafur Eliasson con Einar Thornsteinn; o la grande installazione per la visualizzazione di dati del milanese Studio Folder. Quasi persi tra i materiali dell’ultima sezione, di fronte alle forme e ai discorsi roboanti del progetto di scuola Reggio School di Andrés Jaque, si trovano alcuni disegni originali del Potteries Thinkbelt di Cedric Price, davanti ai quali sosterà chi apprezza le abilità degli architetti.
Ma l’architettura non è forse l’interesse centrale della mostra, promossa da una ditta come Telefonica. Comunicazione e pubblicità, innovazione tecnologica e consumo, fiducia nel progresso e promesse di emancipazione sono i contenuti impliciti offerti al visitatore, che una parte della cultura architettonica delle ultime decadi ha assunto in modo più o meno ingenuo. Bisogna capire, allora, a cosa servono oggi gli atteggiamenti radicali e altamente speculativi degli anni ‘60 del secolo scorso, e quanto siano strumentali personaggi e miti come quello di Fuller. A questo scopo è utile anche una simile mostra.
“Curiosidad Radical. En la órbita de Buckmister Fuller”
a cura di Rosa Pera e José Luis de Vicente
Fundación Telefónica, Madrid
dal 16 settembre 2020 al 14 marzo 2021
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Last modified: 15 Dicembre 2020