Riceviamo e pubblichiamo un contributo da parte del Comitato tecnico scientifico organizzativo di AAA/Italia – Associazione nazionale archivi di architettura
Aggiungiamo qualche spunto di riflessione a quelli già offerti da Giacomo Pirazzoli e da Antonello Alici, intorno alla vicenda dell’archivio di Paulo Mendes da Rocha, donato in questi giorni alla Casa da Arquitectura di Matosinhos, e destinato dunque a passare dal Brasile al Portogallo.
Già i colleghi nei loro interventi hanno avuto modo di riferirsi alla nostra associazione AAA/Italia, che opera da 20 anni e che in tante occasioni è entrata in dialogo con realtà internazionali, come è accaduto nel 2019 proprio su suolo portoghese per il convegno Professional Experiences in Cultural Diversity, promosso da ICA-SAR (la sezione per i documenti di architettura dell’International Council on Archives) e organizzato dalla Universidade do Minho a Braga. A chi oggi in Brasile auspica la nascita di una rete di archivi di architettura portiamo tutto il nostro appoggio, forti di questa lunga esperienza.
La nascita di AAA/Italia ha permesso un confronto comune intorno alle questioni che precedono la visibilità stessa dell’archivio di architettura e la sua valorizzazione: i grandi problemi legati alla sua conservazione, relativi all’ingombro spaziale, alla fragilità della documentazione tradizionale, ma anche all’evanescenza di quella digitale; la spinosa complessità della sua descrizione, senza la quale i materiali restano inaccessibili. Pirazzoli ricordava il lavoro svolto all’interno dell’Università di San Paolo, che “in condizioni eroiche” ha creato strumenti per la ricerca: l’onere di queste imprese è tanto più pesante quanto più si è soli.
Ma AAA/Italia ci ha permesso anche di dare valore alla diversità, alla varietà tipologica, alla disseminazione geografica dei nostri archivi. Accanto alle grandi sedi di archivi di stato, accademie, istituti universitari, musei, si sono avvicinate realtà inizialmente distanti dalla funzione canonica di “istituti conservatori”, e si è messa in luce la presenza diffusa della documentazione del nostro Paese presso le aziende, gli ordini professionali, le fondazioni private, i centri di studio. È in questa ottica che ha preso forza il concetto della prossimità fra le carte e le opere realizzate: che un archivio sia accessibile là dove è stato generato è vitale per il territorio prima che per l’archivio stesso, dal momento che un luogo trae nutrimento dal proprio patrimonio, dai beni culturali che lo caratterizzano nel loro insieme.
D’altra parte, fare rete aiuta anche ad affrontare le sfide che il nostro tempo ci pone davanti, e che Alici felicemente riassume osservando: «Forse il vero nodo su cui interrogarsi è quale sia la missione degli archivi e dei musei di architettura: restare semplici luoghi di conservazione e consultazione, o essere piuttosto centri di relazione e formazione».
Essere uniti stimola la comprensione della nostra storia architettonica, superando continuamente il limite di una collocazione fisica, perché il fine che ci accomuna è quello di rendere disponibili a tutti gli strumenti della conoscenza. I nessi non riguardano solo il rapporto fra progetti e manufatti, ma l’ambiente di studio e di scambio che nasce attorno alle carte, e che varia a seconda dei contesti, dei campi d’attività e anche delle personalità degli autori. L’inamovibilità di un archivio rimane un concetto astratto, se si ignora l’eco di cui è portatore, i riflessi che riceve dalla documentazione che lo circonda, da altri archivi, da attività didattiche, da iniziative che lo rimettano di continuo nel flusso della storia.
In copertina: documenti dall’archivio di Giuseppe Stancari (1900-1969), relativi al progetto non realizzato per il porto fluviale sul Sile a Treviso (Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso)
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archivi , lettere al Giornale
Last modified: 4 Novembre 2020