A Milano la terza puntata della nostra rassegna sui principali riallestimenti dei musei statali in Italia
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MILANO. A Brera le varianti d’autore dei grandi direttori del passato, da Ettore Modigliani, Fernanda Wittgens a Franco Russoli, insieme a personaggi come Vittorio Gregotti o Ermanno Olmi, hanno composto e modificato nel tempo il testo di una delle maggiori collezioni pubbliche italiane che ha saputo restare sempre fedele alla propria cifra museale. Quella di Brera coincide con la missione sociale del museo e discende dagli ideali democratici della Rivoluzione francese, da cui è segnata l’origine della collezione. A differenza dei grandi musei di Roma, Firenze, Torino o Napoli, Brera non è nata, infatti, dal collezionismo aristocratico, principesco o di corte, ma da quello di Stato.
A questa missione è rimasto fedele anche il direttore in carica, James Bradburne: «Riportare Brera nel cuore della sua città e il visitatore al centro del museo», disse al momento dell’insediamento il 21 gennaio 2016. Sono i due obiettivi principali anche del progetto di riallestimento della collezione permanente nel triennio 2016-18. Una missione democratica che si ritrova nelle scelte allestitive, come quella del “museo visibile” che inframmezza, senza interromperlo, il percorso di visita con i depositi delle opere e il laboratorio di restauro, di solito non visibili al pubblico: è come se a teatro lo spettatore potesse spiare dietro le quinte e ciò che avviene nel backstage potesse irrompere in scena.
E al “centro del museo” Brera vuol portare il visitatore non una tantum. Niente più biglietto per la Pinacoteca, gratuita fino al 31 dicembre 2020; è possibile sottoscrivere un abbonamento che dà la possibilità di accedervi tutte le volte che si vuole. Come a ingresso gratuito è stata l’apertura estiva, con una scelta controcorrente, dopo il lockdown dal 23 febbraio al 9 giugno, che pure si calcola abbia generato una perdita di 3 milioni. Perché l’obiettivo è incentivare ancora di più la fidelizzazione, piuttosto che batter cassa. Fin dalla nascita. “Nati nella cultura” è, infatti, il progetto che consegna ai genitori dei bambini nati all’Ospedale Buzzi di Milano uno speciale passaporto con due biglietti per Brera e informazioni sui musei milanesi a misura di famiglia.
È restando fedele alla sua identità che Brera è diventata a tutti gli effetti un museo a doppia scala: della città e internazionale. Basta percorrere le 38 sale interamente riallestite, in continuità con le scelte operate nel passato. Secondo un originale cronoprogramma, scandito da sette “Dialoghi”, momenti di confronto tra opere della Pinacoteca (come lo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello, il “Cristo morto” di Mantegna, la “Cena in Emmaus” di Caravaggio e altre) e opere in prestito da grandi musei internazionali. Ognuno occasione per ripensare l’allestimento di un gruppo di sale. Si è partiti con l’ala meridionale della Pinacoteca, dedicata alla pittura dell’Italia centrale del XV-XVI secolo, preservando il linguaggio ormai storicizzato del percorso già risistemato negli anni ’90 dallo studio Gregotti Associati.
L’obiettivo di creare un museo “emozionale” è stato raggiunto soprattutto con i nuovi colori per le pareti delle sale, che rendono più coinvolgente e intensa l’esperienza di visita, insieme allo studio di fasci di luci a led che fanno emergere i dipinti dallo sfondo. I colori a calce sono giocati su toni scelti in base ai periodi storici in cui si articola l’esposizione cronologica della collezione e in consonanza con le tinte dei dipinti. Con due cesure: le pareti della sala-deposito e quelle del laboratorio di restauro (progetto di studio Sottsass Associati, realizzato dall’azienda Goppion nel 2003; ripristinato con nuove lastre di policarbonato e dotazioni ultratecnologiche) sono entrambe bianche, a evocare l’astrazione e suggerire un’esperienza diversa.
Nel resto del percorso, invece, i toni intensi delle sale servono anche a segnare visivamente il passaggio da una scuola pittorica all’altra. Un rosso carminio è la tinta scelta in contrasto con i fondi oro dei polittici. Il blu India per le sale della pittura rinascimentale veneta, dove si è conciliata l’esigenza di rispettare la successione cronologica dell’ordinamento – che chiude il Quattrocento con il “Cristo morto” di Mantegna -, con quella di privilegiare l’asse prospettico, collocando proprio l’opera tra le più ammirate del museo al centro del cannocchiale visivo immediatamente percepibile arrivando dalla sala V e dal corridoio centrale. Una collocazione che al contempo permette di proteggere il capolavoro, dotato di una nuova struttura autoportante.
Nell’ala occidentale della Pinacoteca, con opere dal manierismo al barocco, si va invece dal verde sottobosco, che fa da sfondo alla pittura dell’Italia centrale del XV e XVI secolo, al rosso Borgogna della grande aula rettangolare: “Galleria delle statue” nell’Ottocento, è oggi spazio di confronto tra il naturalismo dei Carracci, il classicismo di Guido Reni e il naturalismo di Caravaggio con la celebre “Cena in Emmaus”. Completamente ripensata, invece, la sala XIX, un tempo destinata alla pittura leonardesca e ora dedicata ai ritratti veneti del XVI secolo, esaltati dal grigio caldo delle pareti e qui spostati dalle troppo ampie ed algide sale napoleoniche.
Lungo l’ala nord della Pinacoteca, nelle sale inaugurate nel giugno 2017 (dipinti veneziani del XVIII sec., pittura di genere e ritratti), il riallestimento degli anni ’50 del Novecento era stato tra i più rilevanti proprio per la scelta dei colori, con risultati che però non consentivano alle opere di emergere adeguatamente dallo sfondo; risultati raggiunti invece oggi, con un tono grigio chiaro e la “drammatizzazione” della luce.
Con la riapertura dei saloni napoleonici nel 2018, nucleo storico della Pinacoteca, nella Reale galleria inaugurata da Napoleone nel 1809, tra gli ambienti meno mutati negli oltre due secoli di vita della Pinacoteca, con capolavori di Bellini, Veronese e Tintoretto, si sono sperimentati nuovi modi di fruizione dei dipinti (non più disposti sul modello francese del Louvre su più registri), con didascalie su distanziatori e sugli schienali di nuove sedute che permettono la lettura a distanza dei grandi formati. Alle pareti un verde sottobosco dall’effetto vellutato riprende le tinte delle colonne in finto marmo, accarezzato dalla luce che filtra dai grandi lucernari, fin dall’origine cifra caratterizzante di questi spazi.
Il nuovo allestimento della “Galleria Albini”, esteso alle adiacenti sale XI e XII, offre una presentazione più ampia e coerente della pittura lombarda e piemontese dal Quattrocento a metà Cinquecento. Liberando le sale dei pannelli grigi che ne rivestivano le pareti ha restituito, inoltre, la lettura dello spazio architettonico disegnato da Franco Albini negli anni ’50. Il color cioccolato alle pareti, che coinvolge il visitatore in una dimensione immersiva, riprende la cromia delle colonne in marmo del portale disegnato da Piero Portaluppi, riportato a vista, e i toni cromatici degli “Uomini d’arme” di Bramante. Mantenuta la struttura del controsoffitto bianco e riaperte le finestre, prima chiuse da strutture in ferro, per ripristinare il rapporto con l’esterno. Infine, la risistemazione delle ultime due sale dedicate alla pittura dell’Ottocento chiude l’anello del percorso espositivo che si snoda lungo il loggiato superiore. Al suo termine, si apre la nuova caffetteria intitolata alla direttrice Wittgens. Prende il posto del bookshop, trasferito al piano terra in un più consono ambiente, accessibile direttamente dal cortile d’onore del Palazzo di Brera, e trasformato in un nuovo design e museum shop: “Bottega Brera”. Il corridoio d’ingresso, da sempre spazio espositivo della Pinacoteca, è invece oggi destinato a ospitare i servizi di accoglienza e gli apparati didattici che introducono alle collezioni, divenendo un importante filtro che prepara l’esperienza del visitatore, sottolineato dall’inserimento di un diaframma vetrato. Una soluzione anche indispensabile per la riapertura della porta principale, e necessaria a garantire il mantenimento del corretto microclima degli ambienti con le opere.
Il processo di rinnovamento prosegue incessante. «Dopo i lavori di riallestimento conclusi l’1 ottobre 2018», ci dice Alessandra Quarto, architetta e vicedirettrice della Pinacoteca, «ci siamo dedicati ai progetti per Palazzo Citterio. Abbiamo elaborato il progetto di allestimento del futuro museo Brera Modern, in cui confluiranno le collezioni del Novecento (sale espositive; bookshop e caffetteria, servizi e una nuova scala in vetro). I lavori non sono stati avviati, perché il progetto deve essere ancora approvato dalla Soprintendenza. Parallelamente stiamo lavorando a progetti per Brera, come la riqualificazione di tutti gli uffici e degli spazi comuni del Palazzo di Brera (cortili, corridoi, viale che conduce all’Orto botanico), oltre a nuovi impianti di videosorveglianza del museo, realizzando anche la copertura wi-fi di tutte le 38 sale».
Il museo, con i suoi nuovi servizi, insieme alle altre realtà culturali ospitate nel Palazzo – l’Accademia di Belle Arti, la Biblioteca Nazionale Braidense, l’Osservatorio Astronomico, l’Orto botanico e l’Istituto Lombardo – è come Milano, capace di essere sempre mutevole e contemporanea.
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allestimenti , allestimenti 2019-2021 , Milano , musei , vittorio gregotti
Last modified: 22 Febbraio 2021