Visita alla Techne-Sphere di Plagwitz, su progetto di Oscar Niemeyer realizzato postumo
LIPSIA (GERMANIA). Se avete in programma di visitarne la parte più autentica, oltre il palcoscenico del centro storico comunque meritevole di qualche giorno di permanenza, non potete assolutamente perdervi Plagwitz, quartiere occidentale a ridosso del Ring: qui come nella Neustadt di Dresda si può riscoprire con piacere quella genuinità contemporanea oramai introvabile nei mitici omologhi berlinesi di Kreuzberg o Mitte, lentamente divorati, dal 1990 in poi, da una selvaggia gentrification fatta di grandi progetti spesso insensati affidati agli archistar del momento e voluta dai grandi speculatori edilizi. A Plagwitz vive la scena alternativa della storica città sassone che vanta una delle più antiche Università della Germania ed è indiscussa capitale europea della musica. È qui che fioriscono, in fabbriche da tempo dismesse e accanto a suggestivi Altbauten di epoca Gründerzeit, le nuove gallerie d’arte dove espongono gli artisti più quotati del momento e gli studi di architettura più freschi e innovativi. Non è solo uno slogan per attirare giovani famiglie e matricole da tutta Europa: anche se ai berlinesi doc non piace sentirlo, «Lipsia è la nuova Berlino».
Non deve stupire pertanto se proprio qui, in una strada da poco rinominata in suo onore, sorga una delle ultime opere progettate da Oscar Niemeyer (1907-2012) nel suo studio di Copacabana, nel 2011 poco prima di compiere 104 anni. A dire il vero non si tratta propriamente di un edificio, quanto di una sua geniale propaggine a palla, aggrappata allo spigolo della vecchia struttura in mattoni di proprietà delle fabbriche Kirow Ardelt e Heiter Blick, produttrici rispettivamente di gru e tram, che qui condividono i locali mensa per i dipendenti. Che ci faccia quest’eterea struttura sferica dai vetri geodesici – secondo una celebre definizione di Richard Buckminster Fuller – fra le severe pareti a piombo brickstein di vecchie architetture industriali è un tipico miracolo alla Niemeyer che riesce letteralmente (e fisicamente) ad evocare il caldo sole del suo Brasile persino in queste terre annerite da secoli di uso e consumo di carbone estratto ai margini della città.
Genealogie stereometriche teutoniche (invise al III Reich)
Ma perché proprio una sfera, la chimera costruttiva che ha impegnato molti architetti del passato? Étienne-Louis Boullée su tutti provò nei suoi cenotafi settecenteschi a riportare il sole in terra, anticipando una scuola di progettazione che proprio qui nella Germania orientale sarebbe stata ripudiata dai nazisti. Anzitutto nella vicinissima Dresda (come ricorda Peter Richter nel suo articolo di luglio scorso sulla “Süddeutsche Zeitung”), dove Peter Birkenholz realizzò nel 1930 la prima vera e propria casa sferica al mondo (Kugelhaus) così insopportabilmente anti-tedesca e degenerata da venire subito dopo demolita dal regime; e poi nella non lontana Jena, dove fu costruito il primo planetario (Zeiss-Planetarium, 1926) al mondo, con cupola geodetica ovvero resa possibile da una progettazione su moduli triangolari (secondo le regole della geodesia, che solo così riesce a misurare il globo terrestre), su cui furono sovrapposti gusci reticolari abbastanza stabili e leggeri da sostenersi da soli. Anche nei progetti di famosi urbanisti-utopisti otto e novecenteschi, nell’immaginario futuristico di disegnatori di comics e di scenografi di film di fantascienza e persino di opere liriche (come il meraviglioso Flauto magico in salsa massonica all’Opernhaus di Zurigo, nel 2002), la città a sfere ancorate al suolo o galleggianti nello spazio è tra le forme più amate: non è da escludere che anche a questi abbia voluto fare riferimento l’Oscar brasiliano.
La “palla da tennis” di Niemeyer
In questa sua “palla da tennis” ha composto le parti piene in bianco cemento con quelle vetrate su triangoli geodetici in una sorta di anomala protrusione all’infuori dell’organismo edificio che solo all’apparenza sembra superficialmente incollata allo spigolo tra le pareti, essendovi invece addossata con una struttura autoportante a torre. All’interno, distribuiti su tre livelli, sono un bar/caffè e un ristorante dal nome evocativo «Céu» (cielo), che offre contaminazioni culinarie tedesco-brasiliane. Da qui una porta scorrevole conduce alla terrazza sul preesistente tetto.
Per regolare l’irraggiamento solare e l’apporto di calore, sono state installate 161 finestre triangolari a cristalli liquidi che possono essere regolate da chiaro a scuro in pochi secondi. La liscia cupola sferica bianco brillante, con un diametro massimo di 12 metri, contrasta con i rossi mattoni squadrati dello spigolo in alto a destra della fabbrica, apparentemente sfidando la forza di gravità: un miracolo architettonico postumo reso possibile dal lavoro di Jair Valera, collaboratore di lunga data di Niemeyer a Rio, il solo capace d’interpretarne le intenzioni originarie ed estrapolarle dalla carta per un fanta-team di ingegneri strutturali ed architetti arruolati in Germania da Ludwig Koehne, innamorato fin da bambino delle architetture del maestro brasiliano, qui committente e capo dell’impresa Kirow.
Maestri postumi
È dunque proprio vero che ci vuole sempre più di un singolo genio per realizzare un buon edificio. Motivo per cui, nel mondo dell’architettura, la morte non sempre è in tal senso fatale, come c’insegnano altre importanti realizzazioni postume di grandi maestri del XX secolo e del tempo più recente: oltre allo stesso Niemeyer nel sud della Francia, il Le Corbusier di Firminy o il Mies van der Rohe dell’IBM Building di Chicago o, ancora, più recentemente, la Zaha Hadid dei molti interventi architettonico-urbani portati a termine un po’ in tutto il mondo dalla fantastica legacy dell’omonimo studio di architettura Zaha Hadid Architects.
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La carta d’identità dell’opera
Progetto: estensione della mensa „Techne Sphere Leipzig“
Committente: Kirow, Lipsia
Progetto originale: Oscar Niemeyer
Progettisti: Ana Niemeyer per Arquitetura e Consultoria LTDA – Jair Valera
Architetto esecutivo e project management: Kern Architektur UG, Leipzig – Harald Kern
Progettazione illuminotecnica: Lich Kunst Licht AG, Bonn/ Berlino
Supervisione architettonica cantiere: Martina Weiss
Team: Konstantin Klaas, Naiara Caballero, Thomas Möritz
Strutture: Ingenieurbüro Förster + Sennewald Ingenieurgesellschaft mbH
Cronologia: 2011 progetto di massima; 2013-16 progetto definitivo; 2017-20 cantiere
Superficie totale: 218 mq
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germania , oscar niemeyer
Last modified: 23 Settembre 2020