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Paola BiancoWritten by: Reviews

Quando il romanzo parla il linguaggio dell’architettura

Quando il romanzo parla il linguaggio dell’architettura

Roma nell’attuale “disastro urbano” narrato da Francesco Pecoraro e nelle barocche gesta dell’architettrice Plautilla ricostruite da Melania Mazzucco. Il Bauhaus come ispiratore del romanzo di formazione firmato da Theresia Enzensberger

 

Tralasciando ovviamente la saggistica, sono piuttosto rari i libri a tema architettonico; e ancor più rari sono gli architetti cimentatisi in ambito letterario.

Tra le uscite recenti, spicca Lo stradone (Ponte alle Grazie), meritatosi la finale del Premio Campiello 2019. Si tratta del secondo romanzo di Francesco Pecoraro, architetto romano classe 1945, una carriera presso il Comune capitolino e un’attività letteraria intrapresa a 62 anni con la raccolta di racconti Dove credi di andare. Ambientato nel contemporaneo, il romanzo si riferisce, nel titolo, all’asse viario che il protagonista, uno storico dell’arte in pensione dalla pubblica amministrazione (dai tratti professionali assai somiglianti a quelli di un architetto), osserva dalla palazzina in cui risiede. La città raccontata sembra Roma – se ne scorgono alcuni tratti distintivi -, rinominata però Città di Dio. Il protagonista ricostruisce la storia del luogo in cui vive, Valle Aurelia, purtroppo dimenticata dai più: un quartiere operaio dove, fin oltre metà Novecento – precisamente, si spiega, con l’avvento del forno Hoffmann a ciclo continuo – si realizzavano mattoni per tutta la città, la cui fornasce si dice fu visitata da Lenin nel 1908. Oggi agli operai e alla solidarietà di classe si sono sostituiti gli insediamenti abusivi degli ultimi della terra e la vegetazione spontanea modello Terzo Paesaggio. Il protagonista osserva queste trasformazioni con occhio critico e parecchio rimpianto. In tale desolante quadro, l’unico luogo in cui persiste una qualche forma di umanità è il Porcacci, bar di quartiere dove le persone ancora dialogano: brevi stralci delle conversazioni – rigorosamente in romanesco, per il divertimento dei lettori “stranieri” -, inframmezzano la narrazione. Il linguaggio diventa uno degli ultimi legami tra gli abitanti (l’altro, guarda caso, è la squadra di calcio), laddove architettura e urbanistica hanno invece fallito: un contesto definito senza mezzi termini disastro urbano, con l’aggravante che nessuno sembra accorgersene. Il protagonista – un po’ per l’età, un po’ per l’acceso spirito critico – non si riconosce più in ciò che lo circonda, al punto da dire: «Quindi vivo ai margini di uno stato, localizzato e circoscritto, apparentemente necessario, di non-città, dove accadono cose, per ciò che posso vedere, proprie di altri tempi, oppure di altri luoghi, selvaggi o semiselvaggi, di altri continenti». L’epilogo è amaro, narrato con rara lucidità, e al contempo con humor.

Parla di Roma anche il romanzo storico, ma con i piedi ben piantati nella realtà, di Melania Gaia Mazzucco. L’architettrice (Einaudi) è ispirato alla vita di Plautilla Briccia (con la a finale nel cognome, come amava firmarsi), vissuta a Roma tra 1616 e 1705, ritenuta la prima architetta italiana e forse dell’intero Occidente. Il titolo intanto: non un’invenzione dell’autrice, bensì un arcaismo per declinare il ruolo al femminile, nonché il termine con cui si designava la stessa Plautilla. Dopo un lungo apprendistato come pittrice presso il geniale padre Giovanni Bricci (talento multiforme, anche poeta, drammaturgo e musicista), arriva tardivamente all’architettura, attraverso l’apprendimento in proprio della statica e delle altre discipline propedeutiche al costruire. La sua vicenda personale viene raccontata in sezioni di circa un decennio, con il triste epilogo della sua opera maggiore, la villa al Vascello presso porta San Pancrazio (poco distante dai luoghi narrati nel libro di Pecoraro). La villa (nell’immagine di copertina; fonte: ALOA – Associazione culturale Ordine architetti Roma) è uno dei teatri dell’assedio dell’estate 1849 da parte delle truppe francesi, per far rientrare in città papa Pio IX, fuggito con la proclamazione della Repubblica Romana. I resti della villa sono, dal 1983, sede della massoneria del Grande Oriente d’Italia. Frutto d’un approfondito studio iniziato nel 2002 [qui l’elenco delle fonti], il libro è al contempo colto per i riferimenti storici e la ricerca sulla lingua seicentesca e popolare per il racconto della storia della famiglia Bricci, che aveva origini modeste, e per quello della travagliata storia d’amore di Plautilla con l’erudito e facoltoso abate Elpidio Benedetti, figura di spicco della curia. Oltre a ritrarre un’esemplare figura di donna emancipata, il volume prosegue il percorso di Mazzucco tra le biografie d’artista. Ricordando, in tale direzione, il lavoro di un altro architetto-scrittore, Gianni Biondillo, nel romanzo dedicato ad Antonio Sant’Elia.

Sembra sempre più battuta, almeno a livello internazionale, la letteratura che esplora, nella forma del romanzo, luoghi simbolici in cui la percezione della spazialità è l’innesco del racconto stesso. Vale per la Cernobyl di Una passeggiata nella zona (di Kamys Markijan, edizione italiana Keller, 2019), o per La biblioteca di Parigi (di Janet Skeslien Charles, Garzanti, 2020).

Un’altra icona architettonica è la scena de La ragazza del Bauhaus, di Theresia Enzensberger (Guanda; titolo originale: Blaupause, che significa “planimetria”). L’autrice è una giornalista tedesca al suo primo romanzo: la storia di una giovane che s’iscrive negli anni ’20 al Bauhaus di Weimar ed è poi costretta dai familiari ad abbandonare l’istituto – ritenuto luogo poco adatto a una ragazza -, salvo ripresentarsi alla riapertura della scuola a Dessau. A Weimar la protagonista frequenta la cerchia dei mistici seguaci di Johannes Itten; a Dessau invece focalizza il suo interesse sull’architettura e frequenta prevalentemente gli allievi di Gropius. In parte racconto storico (anche se, purtroppo, non vengono dichiarate le fonti) e in parte fiction, ha richiesto una ricostruzione attenta dell’ambiente del Bauhaus. Un romanzo di formazione piuttosto convenzionale, con qualche punta di rosa (i primi amori della protagonista). Per questo, nonostante la positiva accoglienza in patria, il volume risulta un po’ banale, sebbene in parte riscattato dal finale a sorpresa.

 

Lo stradone, di Francesco Pecoraro, Ponte alle Grazie, 2019, 448 pagine, € 18

 

 

 

 

 

 

 

 

L’architettrice, di Melania G. Mazzucco, Einaudi, 2019, 568 pagine, € 22

 

 

 

 

 

 

 

 

La ragazza del Bauhaus, di Theresia Enzensberger, Guanda, 2019, 240 pagine, € 18.

Autore

  • Paola Bianco

    Nata a Padova (1969) e laureata in Architettura a Venezia nel 1997. Nel 1998 ottiene un Master in Energy and Sustainable Development presso la De Montfort University di Leicester (UK). Nel 2000 è a Bruxelles per uno stage alla Commissione Europea (DG Transport and Energy). Successivamente si trasferisce a Bologna, dove si occupa per alcuni anni di temi ambientali presso varie pubbliche amministrazioni. Dal 2004 si iscrive all’Ordine degli Architetti della Provincia di Bologna, presso il quale si impegna in diverse Commissioni. Nel 2006 apre il suo studio, dove si occupa prevalentemente di certificazione energetica, sicurezza nei cantieri e dove ospita periodicamente mostre legate a diverse forme d’arte (fotografia, scultura, fumetto, giardinaggio). Partecipa a concorsi di architettura e a bandi di pubbliche amministrazioni. Collabora dal 2008 con "Il Giornale dell’Architettura"

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Last modified: 2 Settembre 2020