La capitale dell’Uruguay è una città vivace e in fervente mutamento grazie alle ricchezze derivanti dalla sua condizione di porto franco
Montevideo è una capitale atipica nello scenario latinoamericano. Fondata dagli spagnoli molto più tardi delle altre, solo nel 1724 e giusto per proteggere la non lontana Buenos Aires dalle incursioni dei portoghesi, ha avuto uno sviluppo tutto sommato graduale, senza eccessi e con una popolazione metropolitana che, attualmente, non supera i due milioni e mezzo. Negli ultimi anni ha beneficiato delle riforme promosse dal presidente José “Pepe” Mujica, con il PIL nazionale cresciuto al ritmo del 4% annuo e il tasso di povertà sceso dal 40% all’8%. Un fenomeno espansivo che ha permesso una serie di interventi correttivi sui “satelliti” settentrionali della capitale, Canelones e San José soprattutto, e che spinge, tutt’oggi, l’urbanizzazione dei distretti costieri e collinari dove manager, attori e faccendieri costruiscono le proprie case in cerca del verde e della brezza dell’Oceano.
Nuove opere di spicco
Un’espansione tutto sommato di qualità che sta facendo di Carrasco, il distretto costiero più a est, la terra promessa di investitori argentini e americani. Il nuovo aeroporto, disegnato una decina di anni fa da Rafael Viñoly, archistar uruguaiana di stanza a New York, è la porta di ingresso alla città contemporanea che si confronta senza remore con il tema della verticalizzazione, come testimonia un’altra recente opera di Viñoly, l’edificio Plaza Alemania, e della pianificazione di interventi multifunzionali di grande impatto urbanistico come il complesso CAF Región Sur da oltre 15.000 mq progettati da LAPS Arquitectos in un’area cerniera tra la costa e il centro storico.
Il “Plan Montevideo”
Tutto sulla base di un piano che, seppur con qualche integrazione e modifica, resiste dal 1998: il Plan Montevideo ha segnato una svolta decisa verso una gestione partecipata dello sviluppo delle aree urbane e, nel 2008, ha ispirato l’approvazione di una norma nazionale per promuovere la pianificazione territoriale e lo sviluppo sostenibile. Di più, sono numerose le opere di inclusione sociale, come il recente parco dell’amicizia disegnato da Marcelo Roux e Gastón Cuña con un’ampia e colorata area giochi totalmente accessibile a tutte le forme di disabilità.
Anche per questo, ormai da anni, Montevideo si è guadagnata la palma di città più vivibile del Sud America e ne è una delle realtà economicamente più vivaci. Fin dal 1778 quando iniziò a godere di una sorta di autonomia fiscale grazie alla “Real Cédula de Comercio Libre”; una condizione ancora oggi vigente visto che la capitale uruguaiana è, di fatto, un porto franco, approdo di tanti che da lì cercano di risalire con le loro merci il continente ed evitare i dazi, in particolar modo quelli brasiliani.
Un passato architettonico di rilievo
Inoltre il porto, attivo da ormai tre secoli, ha garantito – ancora una volta un’eccezione per il Sud America – la vitalità del centro storico cittadino che, accanto ai resti delle originarie fortificazioni e di alcuni edifici del XVIII secolo, ospita una notevole miscellanea di stili. Dal neoclassico Cabildo, già sede della municipalità e oggi Museo e Archivio storico, al neogotico dell’attuale sede municipale in Calle 25 de Mayo, agli edifici di chiara influenza francese e a quelli realizzati da architetti e ingegneri italiani (su tutti Luigi Andreoni che progetterà anche il locale Ospedale “italiano” Umberto I) fino a tutti gli anni Trenta del Novecento e alle successive inserzioni moderniste. Tra queste svetta, è il caso di dirlo, l’edificio Ciudadela, ventitré piani su pilotis a tripla altezza per un totale di 90 metri. Opera degli architetti Sichero Bouret e Calvo, fu edificato (1959-63) in deroga ai limiti d’altezza previsti dal piano ma comunque modificandone il progetto originario che prevedeva di raggiungere i 180 metri. Giusto di fronte al maestoso Palacio Salvo progettato dall’architetto milanese Mario Palanti che, sbarcato giovanissimo a Buenos Aires, è stato uno dei più prolifici professionisti europei in Sud America con all’attivo decine di edifici residenziali e commerciali. Forse ignaro della veridicità del detto nemo profeta in patria, nel 1924 Palanti ebbe l’ardire di proporre a Mussolini la costruzione, a Roma, dell’allora più alto grattacielo del mondo con 88 piani.
Dalla penisola della Ciudad Vieja, la città, dopo una breve occupazione da parte dei brasiliani e con l’indipendenza del 1830, si allargò verso nord, prima lungo il tracciato della Avenida 18 de Julio dove si susseguono edifici pubblici (e tra questi Palacio Estevez, sede del governo), teatri e negozi di lusso, poi in diagonale con l’Avenida Libertador Lavalleja. Teorizzata dal Plan Fabini del 1928 come asse scenografico e monumentale, fu tracciata e inaugurata in occasione della visita a Montevideo del golpista brasiliano Getulio Vargas nel 1935. In questo settore della città si fanno notare l’edificio Guelfi, opera di Francisco Vázquez Echeveste con evidenti rimandi alle opere di Erich Mendelsohn, e il Liceo Hector Miranda, interessante edificio modernista opera del gruppo Acosta, Brum, Careri e Stratta, autori di altri notevoli edifici della capitale. Poco distanti, l’Estadio Centenario, che nel 1930 ospitò la prima edizione dei Mondiali di calcio, e la sede del glorioso Club Nacional de Football opera di Ildefonso Aroztegui inaugurata nel 1950, anno in cui l’Uruguay fece piangere il Brasile intero proprio per le gesta dei suoi calciatori che sollevarono la Coppa del Mondo in un Maracanà ammutolito.
Pianificazione e crescita urbana
Tornando un po’ indietro, bisogna pur dire che lo sviluppo di Montevideo, tra fine Ottocento e inizio Novecento, si fece irruento e la geometria della “manzana” (termine che, in spagnolo, indica l’isolato di forma quadrangolare) si distorse e frammentò sotto la spinta degli speculatori, al punto da spingere l’amministrazione cittadina a varare un piano di trasformazione e “abbellimento” che intendeva valorizzare le componenti paesaggistiche della città. Una visione strategica che è rimasta un punto fermo anche della successiva attività pianificatoria, a partire dal Piano regolatore del 1912 che disegnò parchi e boulevard alberati e che pose i presupposti per gli interventi del noto paesaggista francese Charles Thays, dell’uruguagio Julio Vilamajó e del brasiliano Roberto Burle Marx.
Il già menzionato Plan Fabini del 1928 guidò lo sviluppo della capitale fino al Piano regolatore del 1950 di chiara impronta modernista e con molti richiami ai temi messi in luce dai CIAM, compreso quello di Bergamo del 1949. Purtroppo, una prolungata crisi economica prima e la dittatura poi inaridirono il tessuto socio-economico del Paese: le classi più povere furono espulse dal tessuto storico delle città e confinate in periferie che, comunque, non trascesero nell’informalità delle favelas brasiliane o delle barriadas peruviane. Il ritorno alla democrazia nel 1985 incoraggiò la valorizzazione del tessuto urbano, il recupero dello spazio pubblico e il varo di piani di social housing poi realizzati solo parzialmente per mancanza del necessario coordinamento tra il governo nazionale e quello locale.
Più deciso, già a fine Novecento, lo sviluppo nelle aree costiere con la fondazione del World Trade Center nel quartiere di Buceo, la nascita dei primi shopping center e il proliferare di interventi residenziali per la nascente classe media.
Siamo alla vigilia del nuovo millennio: l’approvazione del già citato Plan Montevideo e il successivo avvio della cosiddetta “era progressista” sono i presupposti della crescita in corso che, almeno nei piani del Governo e dell’amministrazione cittadina, includono anche un ripensamento della mobilità urbana con un’evoluzione del sistema di trasporto pubblico, oggi basato sugli autobus in parte elettrici, del Sistema de transporte metropolitano (STM) e sui treni che dalla stazione centrale si muovono verso le aree extraurbane.
Nell’attesa, non conoscono sosta l’espansione promossa dalle multinazionali e gli interventi che strizzano l’occhio al mondo del lusso, come l’hotel Hilton dello studio Gualano + Gualano, punto di riferimento per gli investitori internazionali e per l’élite uruguaiana in cerca del verde e di quella brezza costiera che adesso soffia forte a Carrasco e dintorni.
* articolo scritto in collaborazione con Sebastián Martínez
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america latina , movimento moderno , Pianificazione , ritratti di città
Last modified: 3 Luglio 2020