La professione del designer secondo il fondatore di DesignWanted: autopromozione, la ricerca affannosa di uno spazio di visibilità, l’importanza del networking, l’alimentazione delle communities e l’uso intelligente dei canali digitali come leve strategiche per far emergere prodotti e imprese
Partiamo dalla citazione Design is more than a product: è un consiglio universale ad andare sempre oltre la mera dimensione fisica o virtuale del design?
Sì. Il design è di fatto un’esperienza, non esiste mai da solo. Richiede interazione, risolve un problema, crea opportunità, stabilisce connessioni. Dal mio punto di vista, è il metodo. Poi, le abilità tecniche dei designer, ciascuno per la propria area di competenza (industrial, visual, etc.), servono a tradurre in prodotto o progetto tale pensiero. Soprattutto oggi, è necessario rendersi conto che il design non è unicamente arredo e complementi, ma è molto di più. Lo dico pensando alle eccellenze italiane che, per cogliere la sfida attuale (non futura!) dovrebbero, a parer mio, iniziare a concepire gli studi con cui collaborano come una fonte d’innovazione e cambiamento in senso lato. Una nuova sedia, una nuova poltrona o un nuovo tavolo, secondo gli schemi classici, di certo non li aiuteranno a sfruttare i sistemi integrati e le opportunità generati dalla tecnologia.
I designer, negli ultimi anni, sono alla disperata ricerca dell’emersione. Può una professione che necessita di tempo e conoscenza per sviluppare prodotti e servizi realmente innovativi temere di essere surclassata da chi padroneggia meglio l’uso dei social network e in generale dei new media?
Farei un passaggio prima. I designer, oggi, sono alla “disperata” ricerca dell’espressione delle loro idee e del loro talento. Percepiscono, grazie ai social media, che un’idea imbroccata può essere fonte di successo, di visibilità e di opportunità commerciali. Un’idea imbroccata significa, in un linguaggio digitale, diventare virale, essere pubblicati dai canali di comunicazione più forti e prestigiosi. Tuttavia, la capacità di emergere non è scontata. È vero che i social media sono a portata di mano e sono gratuiti, ma bisogna imparare a gestirli, ed è questo che dico ai designer quando sono chiamato a fare talk in giro per il mondo. Il design richiede tempo, prove, prototipi, test. Il bello del mondo digitale è che può aiutarti almeno in due direzioni: nella ricerca, per trovare spunti originali e utili, e sul fronte commerciale, permettendoti di testare i concept prima di avviare qualunque produzione. Mi viene da dire che se il designer (e intendo tutti coloro che producono design) imparasse a padroneggiare i canali digitali, allora non dovrebbe in alcun modo temerli ma, anzi, ne gioverebbe durante i diversi passaggi del proprio lavoro, innalzando la probabilità di riuscita delle sue idee e, soprattutto, preparandosi il terreno per emergere.
Il designer secondo Patrick Abbattista. Un tempo le eccellenze del settore venivano raggiunte e narrate da specialisti della comunicazione. Oggi buona parte dei designer configurano e popolano la propria vetrina virtuale. Non crede sia rischioso che i designer siano anche digital marketing manager di se stessi?
È rischioso se lo fanno male, perché diventa un boomerang. Ma se lo fanno bene, direttamente o coinvolgendo sul progetto uno specialista, allora è un’arma potente a loro vantaggio. Provo a porre io una domanda: se domani due designer si presentassero alla porta di un’azienda con le proprie idee, per farsi produrre, secondo voi quale dei due avrebbe più probabilità di essere scelto, a parità di talento? Sono certo che la scelta, in un approccio ragionato, cadrebbe su quello con più riscontro social. L’azienda potrebbe beneficiare del suo storico e della sua community per il lancio del nuovo prodotto, saprebbe che grazie alla reputazione già consolidata del designer avrebbe un mercato già attivo. Inoltre, ci sono realtà di design estremamente attive sui social che fanno gioco anche alla crescita dell’azienda stessa, spesso meno capace di usarli. In pratica, il designer gestisce le proprie PR e diventa una leva di comunicazione anche per l’azienda. È un po’ lo stesso meccanismo ormai in voga da diversi anni a Hollywood: ai casting, agli attori e alle modelle viene chiesto quanti followers hanno su Instagram, ora anche su TikTok. È un meccanismo ineludibile, ormai è li. Non ci si può permettere d’ignorarlo, ma va gestito in modo intelligente e strategicamente coerente con i piani sia dell’azienda che del designer.
Se dovesse elencare tre elementi chiave che ritiene lacunosi, sfocati o del tutto assenti nella formazione attuale dei designer, a quali penserebbe?
Marketing e business: mi vengono in mente questi due, perché sono quelli a cui sono più sensibile per formazione ed esperienza. Credo che i designer, intendendo soprattutto i giovani, debbano imparare a fare due cose. La prima è capire cos’è un business plan e saperlo redigere. Ciò darebbe loro una visione realistica dei propri progetti imprenditoriali, fosse anche il lancio di un singolo prodotto o vendere la propria professionalità come progettista; stimare spese e ricavi, capire quali sono le voci di costo, quanto è sostenibile l’idea sul breve, medio e lungo periodo, etc. La seconda è avere dimestichezza con le leve del marketing per potersi promuovere. A volte, basta un canale solo per riuscire a fare un primo passo importante verso la “popolarità”, o quantomeno per riuscire ad essere visibile sul proprio pubblico di riferimento. Instagram è uno di questi canali, per esempio. Essendocene diversi, è necessario capire in quali ci si sente più confidenti. Un altro canale, sempre sottovalutato, sono le PR personali. Non si diventa famosi dall’oggi al domani, bisogna lavorare sodo e creare relazioni strategiche. Prima di qualunque social, il vecchio networking funziona sempre, stabilisce ponti e crea fiducia, aiutando il designer a velocizzare sia l’apprendimento che la messa a terra dei suoi progetti.
Che tipo di contributo deve fornire chi collabora con DesignWanted? Quali sono i candidati perfetti per alimentare la piattaforma?
Curiosità, passione e disponibilità a fare un miglio in più. Mi piace lavorare con persone che sanno prendersi cura dei loro compiti, con precisione e continuità, ma che sappiano anche cercare nuove strade, proporre alternative, preoccuparsi di come poter fare meglio il loro lavoro a beneficio del team e del progetto.
Immagine di copertina: secondo Patrick Abbattista, l’uso non professionale dei social network da parte dei designer potrebbe rivelarsi un vero boomerang (© Ubaldo Spina 2020)
Chi è Patrick Abbattista
Fondatore nel 2015 di DesignWanted, con formazione sales & marketing. Ha lavorato per aziende internazionali e agenzie di eventi locali, su Milano, dove è nato e cresciuto. Speaker internazionale sui temi del digital marketing per il design presso eventi come Dubai Design Week, Digital Design Days, World Green Design Forum, India Design Forum, e altri (es. Federlegno). È stato docente presso l’Accademia Costume e Moda di Roma.
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Last modified: 13 Marzo 2020