Le politiche e gli interventi della città sudafricana per tenere insieme l’eredità coloniale, il paesaggio del waterfront e i sobborghi dell’apartheid con gli insediamenti informali
Costruito dagli inglesi a partire dal 1824 nella baia del Natal, scelta per la sua posizione strategica sull’Oceano Indiano, l’agglomerato di Durban cominciò ad espandersi dal ‘900 in poi lungo la costa e verso l’interno in un intenso processo di urbanizzazione, che non si è mai fermato e oggi dà vita alla terza città del Sudafrica, e ad uno dei più importanti porti commerciali del continente africano.
La città, punteggiata da una rigogliosa vegetazione sub-tropicale, ha una straordinaria orografia composta da piccoli rilievi che degradano verso il mare e si aprono con viste incantevoli sulle navi, il porto e il verde promontorio del Bluff. Pur ancora fortemente segnata, a livello economico e sociale, dagli effetti della colonizzazione e dalle recenti politiche dell’apartheid, la Durban contemporanea è un’importante metropoli multietnica di circa 3 milioni e mezzo di abitanti (oltre la metà Zulu e di altre etnie locali, 24% indiani/asiatici, 15% di origine europea, 10% circa di gruppi misti), ricca di potenzialità che il Comune, la eThekwini Municipality, sta cercando di sfruttare. Il piano della Resilient Strategy, adottato nel 2017, in linea con la Nuova agenda urbana e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, è infatti orientato a sanare le molte contraddizioni e problemi esistenti, per costruire una città inclusiva, sicura ed ecologica, con trasporti e collegamenti efficienti nell’intera area metropolitana.
Il recupero della Inner City
Le origini coloniali della città si riconoscono nella struttura del nucleo urbano originario, realizzato nel 1850 dall’uomo d’affari inglese Cato Manor, primo sindaco della città, e progettato con un impianto a griglia d’isolati modulari di 100 x 500 piedi. Il forte processo di espansione e il conseguente aumento della densità edilizia hanno modificato nel corso del tempo la struttura e le forme del luogo. In particolare negli anni ’60-’70 del Novecento, durante il grande boom economico in Sudafrica, vennero costruiti numerosi grattacieli, che oggi caratterizzano fortemente lo skyline del centro, zona viva della città, dove si trovano attività commerciali, edifici istituzionali (la City Hall, le Poste, il teatro della Playhouse, etc.) e pluri-religiosi, che rispecchiano la società multiculturale esistente (la Juma Mosque, la Emmanuel Cathedral, Durban Indu Temple, etc.).
Il Comune ha individuato questo luogo come area strategica per lo sviluppo dell’intera città, approvando il Piano di area locale (LAP, 2016) e il successivo Piano di rigenerazione urbana (Rigeneration Strategy, 2017), finalizzati a promuovere e facilitare, attraverso progetti concertati con privati, un processo radicale di densificazione del costruito, anche nella prospettiva di un progressivo aumento della popolazione. I due piani si propongono la realizzazione d’interventi di rigenerazione urbana integrati e la costruzione ex novo di numerosi edifici, per aumentare le opportunità abitative, ridurre i costi di trasporto e anche favorire l’occupazione, trasformando così questa parte della città in “centro urbano dinamico, vivibile e percorribile” (LAP, 2016).
Nell’importante Pixley Street, che attraversa il centro in tutta la sua lunghezza, sono stati riconvertiti in questi anni ad opera di privati alcuni edifici come la Pixley House (Design Workshop, 2015), un grande magazzino Art Déco trasformato in piccoli appartamenti, e il Pioneer Place (Design Workshop, 2016), edificio per uffici modernista ora adibito a laboratori per artigiani e creativi.
Andando verso ovest, accanto alla Berea Station e sopra il cavalcavia ferroviario s’incontra una delle zone più interessanti del centro: i mercati all’aperto di Warwick, dove oltre 7.000 venditori formali e informali autogestiscono nove aree, ognuna dedicata a prodotti diversi, dalla frutta e verdura all’abbigliamento, stoffe e gioielli locali, alle erbe e medicine tradizionali. È un luogo affascinante ma fragile, e con problemi dal punto di vista della qualità, salubrità e sicurezza, anche degli spazi. Di essi si occupa da qualche anno, in modo efficace e con grandi difficoltà, la ONG Asiye eTafuleni (in isiZulu “negoziamo”), fondata dall’architetto Richard Dobson e da Patrick Ndlovu, il cui ufficio è inserito in un piccolo caseggiato proprio adiacente al mercato. I collaboratori e volontari, sempre a stretto contatto con i venditori e in continuo dialogo con essi, offrono servizi di progettazione e supporto all’economia informale, elaborando sistemi più sicuri nella gestione degli spazi e la circolazione, la cottura dei cibi, la raccolta e il riciclo del cartone e i rifiuti, ma anche nuove policies pubbliche per la tutela dei lavoratori informali.
Il Beachfront Gold Mile: un grande spazio pubblico per la città
La passeggiata sul mare del Beachfront Golden Mile, che dal fiume si stende per 8 km sino al canale del porto, è un luogo molto significativo, perché rappresenta l’unico grande e vero spazio pubblico di una città in cui ci si muove quasi esclusivamente in automobile. Dalla sua riqualificazione ed estensione, realizzata per i mondiali di calcio del 2010 insieme allo stadio Moses Mabhida (GMP Architekten), la lunga promenade è sempre popolata di gente, di ogni estrazione sociale e in ogni ora della giornata, ed è costeggiata sul lato strada da alti edifici per appartamenti, hotel, ma anche un ospedale pubblico, dai richiami modernisti e Art Déco. Numerosi e di tipologie diverse sono poi i bar, ristoranti e club sportivi, integrati con aree verdi, ricche di fiori, vegetazione e palme, zone di sosta e spazi per i venditori ambulanti, mentre gli accessi alla lunghissima spiaggia e al mare, segnalati da passerelle in legno, sono inseriti all’interno di un grande intervento paesaggistico, formato da barriere naturali di piante e sabbia, realizzato per contrastare l’erosione della spiaggia.
L’ultimo tratto del Beachfront, che prolunga la passeggiata sino all’imboccatura del porto, recentemente inaugurato (COX Architecture e Iyer Urban Design Studio, 2019), è concepito come uno spazio pubblico sopraelevato dalle forme curvilinee, con al suo interno un lungo parcheggio, servizi e attività commerciali che danno sulla spiaggia. Le forme e i motivi ondulati prendono spunto, come spiegano gli stessi architetti, “da un’interpretazione progettuale della costa unita a motivi della vegetazione originaria delle dune”. Insieme a questo intervento, il Comune ha anche immaginato d’inserire una fila di grattacieli in prima linea e per un nuovo skyline urbano (COX Architecture e Iyer Urban Design Studio, 2019): un’idea dal carattere fortemente commerciale, ma difficile da realizzare per mancanza di capitali.
Township e insediamenti informali
Nelle aree periferiche si trovano le township, alcune nate durante la colonizzazione (Umlazi, Phoenix, Inanda, etc), altre edificate con la rigida pianificazione dell’apartheid (Chatsworth, Kwa Mashu, etc.) come spazi di segregazione destinati ai diversi gruppi etnici non di origini europee; oggi sono quasi tutte fuori controllo a causa del continuo e massiccio inurbamento delle popolazioni rurali. Nella trama di questi luoghi si sono infatti inseriti vasti insediamenti informali, formati da abitazioni autocostruite, per lo più baracche in lamiera, spesso senza servizi e infrastrutture.
La politica del Comune, che riprende le linee guida della Resilient Strategy, si basa sull’approvazione di specifici Piani di sviluppo per gli insediamenti informali, definiti ad hoc per ciascuna area. In collaborazione con Ong, associazioni ed insieme alla popolazione residente, gruppi di ricerca dell’università realizzano progetti che studiano modalità per il ricollocamento delle persone in edifici ex novo o lavorano sul più attuale upgrading, che si basa sul miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti mantenendoli nei luoghi dove risiedono, intervenendo con modeste ma essenziali ristrutturazioni delle abitazioni, con l’inserimento di servizi igienici, elettricità, realizzando infrastrutture o il ridisegno degli isolati, etc.
In altri casi, sia privati che il Comune stesso scelgono di dare singoli incarichi a studi di architetti, come nel caso della costruzione del Umkhumbane Museum (Choromanski Architects, 2017) della township Cato Manor, ormai terminato ma non ancora aperto al pubblico. Vincitore dell’Africa Architecture Awards del 2017, l’edificio, che presenta una volumetria conica di 36 metri in cemento, mattoni e metallo, supera l’idea canonica di museo ed è concepito come motore sociale e culturale di legame con il territorio, in sintonia con le attività culturali e artistiche ma anche commerciali e imprenditoriali del luogo.
L’informalità convive dunque con processi di neoliberalizzazione, creando antinomie e contrasti ma stimolando anche la formazione di sacche di resistenza e nuovi territori di espressione culturale e sociale, che innescano processi di partecipazione e interventi di architettura e pianificazione territoriale. Singole realtà locali e internazionali, sia pubbliche che private, si stanno dunque muovendo, o lavorano già, per favorire le grandi potenzialità e arricchire in questo modo la bellezza della città.
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africa , ritratti di città
Last modified: 13 Marzo 2020
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