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Emanuele PiccardoWritten by: Forum Professione e Formazione

Taliesin West deve rimanere un luogo vitale

Considerazioni a margine dell’annunciata chiusura della scuola fondata in Arizona da Frank Lloyd Wright

 

È il 1938 quando Frank Lloyd Wright abbandona il Midwest per trasferirsi in Arizona, a Scottsdale. Se, come scriveva Bruno Zevi, nel Wisconsin Wright cercava un «rifugio nell’ambiente atavico […], l’Arizona incentiva, dunque, l’invenzione di un domani arcano […]. Qui il profeta dell’architettura organica accetta il rischio estremo di confrontarsi con un paesaggio incondito, senza esserne soverchiato e senza velleità di dominarlo, ma fondendovi i prodotti umani». Zevi coglie in pieno lo spirito che mosse Wright nel vivere in un luogo isolato dove poteva sperimentare e dare luogo alla scuola della Taliesin Fellowship. Lì architetti da tutto il mondo arrivavano per immergersi nel credo del learning by doing; tra questi Paolo Soleri, John Lautner e Bruce Brooks Pfeiffer, noto collaboratore di Wright che, alla morte del maestro, ne preservò l’opera istituendo il Frank Lloyd Wright Foundation Archives.

La vita a Taliesin West era comunitaria, i fellows vi partecipavano pienamente: dalle attività di cucina a quelle di disegno, fino alla realizzazione dei ricoveri, concepiti per dormire a stretto contatto con il deserto. In quel contesto il valore del fare architettura era molto diverso dagli studi degli architetti “tradizionali”. Lo stesso Soleri dormiva en plein air, a diretto contatto con la terra e il sole del deserto; e proprio da Wright ha imparato quando nel 1970 egli inizia l’avventura di Arcosanti come una nuova Taliesin Fellowship. In fondo, questa fuga dalla metropoli verso il deserto ha accompagnato molta sperimentazione architettonica e artistica americana: basti pensare alla Drop City in Colorado, costruita sui modelli dei geodi di Buckminster Fuller.

È notizia recente la prossima chiusura della Scuola di Taliesin West. In questi giorni si sono susseguite una serie di prese di posizione sia da parte della Frank Lloyd Wright Foundation sia dei membri della Scuola, autonoma e indipendente dalla Fondazione. Ne emergono due visioni differenti di gestione di una scuola che, in primo luogo, dev’essere riconosciuta come tale e non rimanere un vuoto pellegrinaggio di turisti in un luogo monumento di se stesso.

Taliesin West dev’essere un luogo vitale. Bisogna recuperare quella visionarietà alla base del pensiero wrightiano, focalizzandosi su modalità alternative di fare didattica del progetto, rispetto alle scuole di architettura americane, ma anche europee, andando nella direzione percorsa da Samuel Mockbee con la fondazione del Rural Studio negli anni ’90 del secolo scorso, che coinvolse la Auburn University, l’università pubblica dell’Alabama. Solo recentemente Taliesin West ha ricevuto l’accreditamento come scuola di architettura. Quella che sembra una lotta ideologica e di potere tra i conservatori dell’ortodossia wrightiana (Frank Lloyd Wright Foundation), poco avvezzi al cambiamento, e gli innovatori (School of Architecture at Taliesin), viene raccontata da Cruz García e Nathalie Frankowski, visiting professor, in una lettera aperta a «The Architect’s Newspaper»: «Se la Scuola segue la richiesta della Fondazione e perde il suo accreditamento, perderà tutte le forme di legittimità professionale, accademica e intellettuale […]. Nel testamento firmato il 25 aprile 1958, Wright dichiarava il rapporto diretto tra la Fondazione e l’educazione degli architetti: “Sin dal loro inizio, la Fondazione e la Fellowship hanno operato come l’equivalente di un college nella preparazione degli architetti americani” […]. Condividere spazi abitativi con i talenti di Taliesin come Jane Houston (Minerva Montooth) che era l’assistente personale di Olgivanna Lloyd Wright, Indira Berndtson, la cui madre Cornelia Brierly ha lavorato a Broadacre City, o il pittore e musicista Effie Cassey, garantisce che l’eredità di Taliesin è condivisa tra generazioni che vivono, respirano, pensano e fanno architettura in questi spazi». Quando però i due professori parlano dell’importanza degli scambi con vari personaggi della cultura architettonica da Wolf Prix a Frank Gehry, non sono d’accordo e trovo che sia strumentale per fare audience al di fuori di Taliesin, un atteggiamento simile a qualsiasi altra scuola.

D’altronde la posizione della Frank Lloyd Wright Foundation è controversa, se leggiamo le parole del suo presidente Stuart Graff: «School of Architecture at Taliesin e Fondazione collaboreranno anche per creare nuovi programmi per portare avanti l’eredità di Wright attraverso l’istruzione pratica per architetti, designer e un pubblico interessato. Poiché questi nuovi programmi non richiedono l’accreditamento, potremmo risparmiare sui costi riportando la Scuola nella Fondazione». Insomma, una scuola di architettura non accreditata come tale non ha ragione di esistere, soprattutto in una realtà competitiva come quella nordamericana. 
Tuttavia bisogna porsi alcune questioni cruciali: come e in che modo la scuola di Taliesin può resistere all’avvento dei robot e dell’intelligenza artificiale? In che modo, oggi, si può essere sperimentali, se non si progetta una “nuova” idea di metropoli, come fece Wright con Broadacre City?

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 12 Febbraio 2020