La Capitale Europea della Cultura ha chiuso i battenti, ma il progetto Gardentopia ha aperto nuove prospettive per una cultura del paesaggio consapevole e partecipata
MATERA. Echeggiano gli ultimi applausi, il sipario cala e la platea rimane desolatamente vuota: di solito ogni spettacolo finisce così, ma non è questo lo scenario della chiusura di Matera 2019 – Capitale Europea della Cultura. Al di là dei numeri lusinghieri che hanno decretato l’innegabile successo dei tanti progetti messi in campo, il 2019 ha trasformato l’iconica e controversa città dei Sassi nella matrice di un paesaggio culturale diffuso.
Il lungo percorso di attuazione del dossier di candidatura presentato nel 2014 ha infatti assecondato la nuova semantica della parola cultura che, nella crescente complessità del vivere contemporaneo, non è solo l’insieme delle conoscenze e delle esperienze che plasmano individui e società. La sua declinazione attuale comprende anche, e soprattutto, l’acquisizione di una coscienza collettiva di fronte alle questioni sociali, ambientali ed economiche che governano luoghi e tempi del mondo di oggi.
Il cluster Gardentopia
Con 32 progetti distribuiti in 26 comuni della Basilicata, è stato il cluster «Gardentopia – cosmos of ecologies» a promuovere l’educazione alla cittadinanza attiva e alla cultura del paesaggio. Attraverso la riqualificazione di aree verdi sottratte alla comunità perché degradate o abbandonate, il progetto ha plasmato una rinnovata consapevolezza nelle relazioni con il contesto urbano coniugando arte, paesaggio e comunità.
Curato da Pelin Tan, ricercatrice di origine tedesca che applica la pedagogia alternativa a territori di conflitto e contesti critici, «Gardentopia» ha coinvolto 18 architetti del paesaggio, artisti e designer internazionali in una serie di esperienze con le comunità locali. Sintesi di creatività, metodo e manualità, i progetti hanno integrato in modo inedito l’aspetto intellettuale del processo creativo con la componente empirica dettata da esigenze, vincoli e risorse. Con il ruolo di facilitatori, i professionisti – partecipi di brevi ma intense residenze nei luoghi d’azione – hanno guidato le comunità nell’ideazione e nel successivo sviluppo dei progetti, in un contesto di reciproco scambio formativo oltre che emozionale.
Nei laboratori di Stigliano e Salandra, curati da Linaria, un muro e un ex campo da minigolf sono diventati, prima ancora di essere restituiti alla comunità, autentiche occasioni di partecipazione e coinvolgimento in cui vincoli di budget e di tempo disponibile hanno attivato risorse inaspettate. A Salandra sono stati i volontari del Forum delle Associazioni a essere coinvolti nel laboratorio di autocostruzione con un crescendo di entusiasmo e condivisione che ha conferito al progetto una caratura ben superiore a quella strettamente compositiva. Così è stato anche a Maschito, comune di 1.600 abitanti, dove Atelier delle Verdure ha realizzato, insieme ai bambini della scuola primaria e secondaria di primo grado, un osservatorio di biodiversità; e a Rionero in Vulture, dove gli architetti torinesi di OrtiAlti hanno lavorato con Pro Loco Rionero, Arci Basilicata e i bambini del centro estivo dell’Associazione culturale Vulcanica per realizzare un orto urbano “a elevato tasso di inclusione”.
Come un’epidemia, le esperienze di Gardentopia hanno contagiato tante altre comunità, generando una rete di relazioni quale antidoto allo storico isolamento dei borghi lucani determinato da un territorio morfologicamente complesso. Se è vero che ogni nuovo giardino di comunità racconta la storia del luogo e ne esprime l’unicità, è altrettanto vero che la coerenza del processo creativo dà origine a un impalpabile ma durevole sistema diffuso che, lontano da schemi e convenzioni, riattiva spazi e cittadinanza. Nel bilancio di Gardentopia c’è anche l’innesco di un metodo progettuale contemporaneo, senza disegni, progetti definitivi e procedure convenzionali, in cui idee condivise diventano azioni direttamente sul campo: a entrare in gioco sono esigenze, competenze e sensibilità diverse, espressioni di avventure umane che vanno ben oltre la dimensione grafica di un progetto. I tòpoi dei giardini di comunità, indipendentemente dall’esito dei singoli laboratori nel lungo periodo, lasciano in eredità l’inedita esperienza di un’architettura sperimentale plasmata sul vissuto delle comunità locali, adattabile alle loro perpetue trasformazioni e foriera di scenari inattesi.
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paesaggio , partecipazione
Last modified: 8 Gennaio 2020
[…] LINK all’articolo di Federica Cornalba su Il giornale dell’architettura. […]