Il presidente del Comitato esecutivo Sérgio Magalhães anticipa i contenuti del 27° Congresso mondiale dell’Unione Internazionale degli Architetti, in programma a luglio a Rio de Janeiro
Architetto-urbanista e professore FAU/UFRJ, Sérgio Magalhães è stato assessore alla Casa del Municipio di Rio de Janeiro (1993-2000) e assessore ai Progetti speciali dello Stato di Rio de Janeiro (2001-2002). Insignito del Premio FAD-Barcelona 2012 per il programma Favela-Bairro e Premio America Arquitetura (Bogotà, 2013), è stato presidente nazionale IAB-Instituto dos Arquitetos do Brasil. Attualmente presiede il Comitato esecutivo del 27° Congresso mondiale UIA2020Rio (19-23 luglio 2020), il maggior evento di architettura del mondo, con cadenza triennale. Con lui parliamo del backstage a poco più di sei mesi dall’apertura e tre anni dopo la designazione di Rio de Janeiro come sede dell’evento.
Già da due anni lavoriamo molto intensamente – insieme al presidente UIA Thomas Vonier e con il pieno coinvolgimento di tutti i vari referenti nazionali – per questo evento che torna a svolgersi in America Latina dopo 42 anni, e per la prima volta si terrà in Brasile. Il tema “Tutti i mondi, un solo mondo. Architettura 21” mette in chiaro il desiderio d’inclusione che sta alla base del processo. In questo modo sarà possibile riflettere insieme sulle sfide contemporanee, sulla diversità e molteplicità di situazioni e culture, così come sulla responsabilità delle nostre azioni di architetti e sulle loro conseguenze per la collettività. Quindi, in particolare, sul ruolo dell’architettura in questo nuovo secolo.
Come fate per non cadere nelle criticità di eventi globali di questo tipo che, al pari di Biennali e festival, a volte finiscono con l’accostare in modo superficiale casi incongrui di luoghi remoti?
Insieme al Comitato scientifico abbiamo strutturato il programma secondo quattro assi tematici: “Diversità e mescolanza”, con particolare attenzione all’intercultura; “Cambiamenti ed emergenze”, sia rispetto a ciò che la tecnologia sta cambiando nel processo creativo, sia nel clima e nell’ambiente; “Fragilità e disuguaglianze”, ovvero la dimensione sociale in senso largo dell’architettura e dell’urbanistica; “Transitorietà e flussi”, inclusi fenomeni complessi quali le migrazioni e la rilevanza di queste tra la scala globale e quella locale.
Stiamo vivendo tempi difficili per le istituzioni sovranazionali: l’UIA sta preparando nuove alleanze per il Congresso?
Vogliamo soprattutto che il Congresso sia propositivo ed in accordo con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, così come con l’Agenda urbana delle Nazioni Unite. Il riconoscimento di Rio de Janeiro quale capitale mondiale dell’architettura arriva insieme al forum mondiale delle città UNESCO-UIA, che ospiterà i sindaci delle città già sedi di congresso in passato, insieme agli amministratori della maggiori città del mondo e a leader della società civile, pensatori, politici e naturalmente architetti e urbanisti, tutti riuniti per ragionare sul futuro del nostro vivere urbano.
Vogliamo parlare meglio della strategia organizzativo-tematica?
Diciamo innanzitutto che il coinvolgimento locale è fondamentale; pensare di accogliere 15-20.000 architetti previsti in arrivo a Rio da tutto il mondo, a fronte dei (pochi) giorni dei lavori congressuali, significa anche lavorare in precedenza perché la città – che conta circa 7 milioni di abitanti, mentre lo Stato che quasi coincide con l’area metropolitana ne conta circa 17 – sia informata e partecipe di questa grande occasione di dialogo. Perciò abbiamo messo in piedi una strategia bottom-up d’iniziative che coinvolgono istituzioni, enti e privati per diffondere ed elaborare preventivamente i temi del Congresso: a Rio ed in tutto il Brasile da mesi sono in corso dibattiti, conferenze, seminari, mostre e workshop che stanno coinvolgendo migliaia di colleghi professionisti ed accademici, insieme a leader delle comunità, studenti, cittadini, amministratori pubblici e stakeholder.
Quindi il Congresso sarà anche un’occasione per aprire al mondo il “Planeta Brasil”, secondo l’espressione talvolta negativa che viene usata per significare il senso d’isolamento di questo grande Paese lusofono dell’America Latina?
È anche grazie ad occasioni come il Congresso UIA che questa parte del pianeta – che ha tragicamente sofferto del colonialismo Occidentale – si offre all’incontro con altre culture. Oggi la maggior parte della popolazione mondiale vive in contesti metropolitani ed in condizioni di multiculturalismo; Rio de Janeiro (come San Paolo) è parte di questa realtà, nella fattispecie cresciuta su (rare, purtroppo) radici indigene preesistenti, attraverso varie ondate migratorie dall’Europa come dal Medio Oriente, dal Giappone o dalla Cina; il tutto mescolato, appunto, con l’eredità feroce della diaspora africana. A Rio il lavoro degli architetti migranti è evidente nella città formale, quanto quello dei residenti-costruttori, pure migranti, delle comunità informali note al mondo come favelas. È anche per questa mescolanza e compresenza che la metropoli carioca è esempio estremo di quel palinsesto fisico ed umano sul quale noi architetti siamo chiamati a lavorare per mezzo di ascolto, di pratiche interdisciplinari, di attente integrazioni, in situazioni dove emergenza ed urgenza spesso sono costanti.
In effetti Rio de Janeiro è una straordinaria lezione di paesaggio, di architettura e di umanità insieme, fino al limite del rischio: ad esempio quello ambientale, per l’inquinamento delle falde; o quello legato a violenza e repressione. Pensate davvero di presentare il caso di Rio – dalla ferocia della colonizzazione, con l’assoggettamento o la distruzione dei popoli indigeni, alla colonizzazione culturale, con la “Missione francese” ecc., quindi con testimonianze puntuali come il padiglione della “Veduta cinese”, l’archeologia dello schiavismo nell’area chiamata “Piccola Africa”, il “Club del Monte Libano” – a fronte del pochissimo tempo del Congresso?
Si tratta di una parte della sfida sulla quale stiamo lavorando, anche in senso fortemente interdisciplinare: penso al contributo della scuola di samba Unidos da Tijuca, che presenterà la coreografia speciale “Architettura e urbanistica: dove vivono i sogni”, un altro modo di ragionare sulla ricchezza della cultura brasiliana che sta dentro la città e che passa per la musica e per la danza. Ancora, tra le molte iniziative preparatorie cito volentieri le “visite speciali” che mettono in risalto, in modo partecipativo e per interazione diretta sul luogo, anche i conflitti che hanno presieduto alla trasformazione di alcune aree di Rio – fino al caso recente dell’ex zona portuale, oggetto di una controversa e non risolta trasformazione urbana che avrebbe dovuto concludersi per le Olimpiadi del 2016, e che purtroppo ha generato anche corruzione e precarietà. Nel caso di queste visite l’uso simultaneo del sito web Arqguia fa il paio con la necessità di uscire dal cliché della vecchia architettura autoriale da cartolina; senza perdere di vista la narrazione del Modernismo latino-americano dell’edificio Gustavo Capanema [noto anche come Ministero dell’Educazione e della Salute], realizzato da Costa, Leao, Niemeyer, Reidy, Moreira, Vasconcellos e Burle Marx con la supervisione di Le Corbusier. Sempre tra le iniziative preparatorie attraverso le quali sperimentiamo contenuti ed approcci per il Congresso, cito il workshop internazionale “Arte/Architettura”, organizzato dalla Escola de Artes Visuais do Parque Lage con la Architectural Association di Londra e il Dipartimento di Architettura dell’Università PUC-Rio: la mostra conclusiva a Londra in luglio, poco prima dell’apertura del Congresso qui a Rio, ne presenterà l’approccio che si è giustamente voluto de-coloniale. Basati sul primo dei quattro assi tematici del Congresso ed elaborati nel corso di un anno, vedremo se i progetti carioca degli allievi contribuiranno ad evidenziare differenze rispetto agli instant-workshop di durata settimanale generalmente condotti dalle grandi università globali in vari luoghi del pianeta. Non in ultimo, vale sottolineare il ruolo delle mostre, ad esempio quella che si è appena aperta – grazie ad un’intensa collaborazione istituzionale e con il concorso di privati – dedicata a Sergio Bernardes, architetto brasiliano di alto livello ancora troppo poco conosciuto al mondo.
Quindi, attraverso una pratica sistemica ed ibrida, state mettendo in piedi un Congresso con connotazione politica da “Sud del mondo”. Perciò – giusto per riprendere con una provocazione la versione edulcorata della “collaborazione” tra Costa, Leao, Niemeyer, Reidy, Moreira, Vasconcellos, Burle Marx e Le Corbusier per il Palazzo Gustavo Capanema, che fu in realtà scontro duro tra il principale artefice del Movimento moderno in Europa ed i suoi sedicenti seguaci ai tropici – il Congresso come si rapporterà con la questione “star-architects“ e marketing urbano?
Per quanto riguarda il Sud del mondo, questo siamo, ed il nostro contributo è dunque “site-specific”. Per la questione “star-architects” contribuiamo a superarla nei fatti con il Comitato d’onore presieduto da Paulo Mendes da Rocha con Álvaro Siza, André Corrêa do Lago, Carla Juaçaba, Gilberto Gil, Jaime Lerner, Marisa Moreira Salles, Oskar Metsavaht – oltre a Elizabeth de Portzamparc, Francis Keré e Solano Benites che saranno anche keynote speakers con Eduardo Souto de Moura. Stiamo anche completando le partecipazioni nazionali, e dall’Italia abbiamo appena ricevuto il presidente CNAPPC Giuseppe Cappochin che ha incontrato il suo omologo presidente dello IAB (Instituto dos Arquitetos do Brasil), Nivaldo Vieira Andrade, insieme al sottoscritto e ad altri componenti del Comitato scientifico e di quello esecutivo del Congresso. Aspettiamo a braccia aperte colleghe e colleghi da tutto il mondo!
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brasile , congressi
Last modified: 7 Gennaio 2020