A cent’anni dalla nascita di Giancarlo De Carlo, rimane esemplare la sua coerenza tra pensiero critico, democrazia e progetto
Giancarlo De Carlo (Genova 1919 – Milano 2005) è stato uno dei protagonisti dell’architettura del Novecento. Membro del Team X (il gruppo fondato da Alison e Peter Smithson e sostenuto dallo storico Reyner P. Banham) ha fondato la sua ricerca sulla coerenza tra pensiero critico, democrazia e progetto. Dopo la militanza nei partigiani, sarà il movimento anarchico con Carlo Doglio a metterlo in relazione con il critico letterario Carlo Bo, anch’egli ligure, divenuto rettore della Libera Università di Urbino nel 1947. Bo ha rappresentato il committente ideale per De Carlo, come lo fu Federico da Montefeltro con l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini.
La visione di De Carlo è totale, dalla didattica allo Iuav, a Yale e Genova alla collana editoriale del Saggiatore, dalla fondazione dell’ILA&UD (un laboratorio di progettazione con la partecipazione delle università internazionali sul tema del progetto nei centri storici), alla rivista «Spazio&Società». L’opera decarliana, basata sulla partecipazione dei fruitori a Urbino, Rimini e Terni, ha avuto il merito di ripensare il rapporto tra antico e moderno in un contesto storico potente come quello urbinate.
Nonostante la vastità della sua produzione architettonica, l’opera di De Carlo è legata indissolubilmente a Urbino, dove ha operato per quarant’anni. Fin dal Piano regolatore del 1964 De Carlo definisce l’importanza, nell’elaborazione delle norme d’attuazione, della forma della città e del progetto. Una posizione chiara contro gli urbanisti dello zoning, Luigi Piccinato e Giovanni Astengo, suoi antagonisti anche allo IUAV, fautori della separazione disciplinare tra architettura e urbanistica. I suoi capolavori urbinati come la Facoltà di Magistero (1968-1976) e il Collegio del Colle (1961-1966) dimostrano la capacità di De Carlo nel leggere la storia e le sue stratificazioni, dall’età romana all’Ottocento, partendo dall’analisi dell’opera architettonica di Francesco di Giorgio, sia nel Palazzo Ducale sia nella chiesa di San Bernardino. In entrambi i progetti l’architetto genovese riproduce, in una scala diversa e con un linguaggio autonomo, la sezione del centro storico urbinate con alcuni elementi chiave come la rampa e i continui cambi di visuali sul paesaggio. Ma l’idillio con Urbino finisce nel 1973 quando il PCI e l’amministrazione comunale Magnani non rinnovano l’incarico a De Carlo, per attuare, sotto la spinta dei costruttori locali, i Piani particolareggiati previsti dal suo stesso piano ma attuati da altri, senza la sua stessa forza progettuale. Così il problema è la preservazione del paesaggio anche con le nuove edificazioni. Il suo sostituto è individuato nel gruppo coordinato da Carlo Aymonino (Luciano Semerani, Gianugo Polesello, Gianni Fabbri, Raffaele Panella, Costantino Dardi), incaricato di attuare i Piani particolareggiati, il cui esito progettuale, non esaltante, fu la costruzione del Peep di Mazzaferro, una replica in piccolo del Gallaratese. Nonostante questo progetto Aymonino non è riuscito a scalfire la normativa di tutela paesistica definita da De Carlo nel PRG del 1964. Dopo il fallimento di Aymonino viene chiamato Leonardo Benevolo che ha il merito di salvaguardare il paesaggio urbinate e di costituire l’Ufficio del Piano che, purtroppo, genera il quartiere della Piantata, un esempio della deriva postmoderna che lo stesso Benevolo riconoscerà come traccia negativa del suo operato. De Carlo ritorna ancora a Urbino per il secondo PRG nel 1994, ma la lezione urbinate viene applicata in altri progetti: il Piano particolareggiato del centro storico di Rimini (1970-1972), come variante al Piano del 1965 di Giuseppe Campos Venuti; le residenze IACP di Mazzorbo (Venezia, 1979-1995); il recupero del quartiere genovese di Prè (1981-1983) e del borgo ligure di Colletta di Castelbianco (Savona, 1994-1998).
Un discorso a parte riguarda la partecipazione dei cittadini ai progetti. In questo senso l’avanguardia è rappresentata dall’elaborazione del primo PRG urbinate con il coinvolgimento diretto della popolazione, per proseguire con il Piano di Rimini, raggiungendo il culmine nella progettazione partecipata al villaggio Matteotti (1969-1974) realizzato per gli operai dell’Acciaieria Terni, diretta dal 1965 al 1975 da Gian Lupo Osti, che già a Genova con Italsider aveva avviato collaborazioni con intellettuali e artisti. «L’idea di De Carlo – afferma Stefano Zara, dirigente dell’acciaieria Terni – era costruire coinvolgendo i futuri assegnatari. Egli era un personaggio estremamente difficile e tendenzialmente scavalcava i sindacati a sinistra […]. Una prima cosa importante è stata l’assegnazione, che è avvenuta con molto anticipo rispetto alla costruzione delle case stesse. Attraverso l’analisi sociologica fatta da Domenico De Masi sapevamo che la maggior parte erano operai-contadini […]. Uno dei vincoli dati al progetto era avere molto verde». De Carlo propone varie soluzioni e, con l’aiuto dei sindacati e dell’acciaieria, organizza una mostra per presentare il progetto agli abitanti che devono scegliere tra le opzioni da lui proposte. Un’idea di partecipazione molto diversa dalla strumentalizzazione odierna, perseguita prevalentemente per generare consenso elettorale.
Qual è dunque l’eredità di De Carlo? Indubbiamente rimane la sua capacità di leggere la storia di un luogo in tutta la sua complessità, per introiettarla nella sua idea di architettura senza rigurgiti reazionari, con l’obiettivo di realizzare un desiderio, che si fa necessità, di democrazia e libertà al servizio dell’intera comunità.
Le fotografie a corredo dell’articolo (tranne quella di copertina e quella © Archivio Unirub) fanno parte della donazione dell’autore all’Università Iuav di Venezia per implementare il Fondo De Carlo
De Carlo tra libri e convegni
Due le monografie in uscita in occasione del centenario della nascita. Il primo titolo è Giancarlo De Carlo: l’architetto di Urbino, una pubblicazione in due volumi sul rapporto tra la città dei Montefeltro e l’artefice della sua rinascita. A cura di Emanuele Piccardo, ed edito da plug_in (pagine 368+116, euro 40), si avvale dei saggi di Gianluca Annibali, Laura Baratin, Franco Bunčuga, Andrea Canziani, Lorenza Comino, Alice Devecchi, Francesca Gasparetto, Lorenzo Mingardi, Marco Scarpinato, Andrea Vergano. Per festeggiare il centenario si terrà a Genova l’11 dicembre (ore 18, Giardini Luzzati) la presentazione del libro insieme ad amici e collaboratori di De Carlo. Il secondo libro è Valori e visione di Giancarlo De Carlo, a cura di Antonietta Iolanda Lima (edizioni Quodlibet, pagine 340): attraverso i contributi di numerosi autori, una ricognizione sull’intera biografia dell’architetto genovese, interrogandosi sulla portata del suo magistero e sulla credibilità della sua proposta creativa. Sempre a cura di Antonietta Iolanda Lima, il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania organizza il convegno «Giancarlo De Carlo scomodo e necessario», in programma il 5 dicembre nell’Auditorio che, all’interno del Monastero dei Benedettini, porta il nome di De Carlo in quanto l’architetto dedicò 25 anni della sua vita professionale in un cantiere che permise alla comunità catanese di riappropriarsi di uno dei luoghi della sua storia. Consulta il programma. Un terzo volume, a cura di Clelia Tuscano, Giancarlo De Carlo. La città e il territorio. Quattro lezioni (Quodlibet 2019, pagine 216, euro 16), raccoglie invece il breve e inedito corso di congedo dalla carriera accademica che l’architetto genovese tenne nel 1993 nell’Università della sua città: quattro dissertazioni, tra loro organiche, in cui si ripercorre il rapporto fra il territorio (e il paesaggio) e le città nel corso dei secoli, avvalendosi anche dello sguardo della letteratura.
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Last modified: 28 Novembre 2019