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Elisa PegorinWritten by: Reviews

Lisbona, la Triennale della ragione

Lisbona, la Triennale della ragione

Report dalla quinta edizione della Triennale di Architettura, «The Poetic of Reason», a cura di Éric Lapierre

 

LISBONA. Fino al 2 dicembre, la capitale portoghese è presa d’assalto da una serie di esposizioni ed eventi ben più numerosi rispetto alle passate edizioni. Dopo «Urban Voids» (2007), «Let’s talk about Houses» (2010), «Close, Closer» (2013) e «The Form of Form» (2016), «The Poetic of Reason», curata dall’architetto e teorico francese Éric Lapierre, indaga il concetto di “ragione” in architettura, tentando di rispondere ad alcune questioni relative alla disciplina. Il radicamento nella ragione, e la razionalità come chiave per la comprensione, condivisibile da tutti (non solo dagli architetti), dovrebbero definire un’architettura funzionale alle nostre condizioni contemporanee e fruibile alla collettività. Sono cinque le esposizioni principali: una nella sede di Palácio Sinel de Cordes e le altre quattro presso il Centro Culturale di Belém (CCB), il Museo di Arte, Architettura e Tecnologia (MAAT), il Museo Nazionale di Arte Contemporanea (MNAC) e la Culturgest. In parallelo, la Fondazione Calouste Gulbenkian ospita il simposio «Talk, Talk, Talk» (28-30 novembre), insieme a ben dodici eventi collaterali. Attraversiamo dunque i vari “luoghi” della Triennale – che ha assegnato alla statunitense Denise Scott Brown (1933) il premio alla carriera – dove Lapierre ha collaborato con altri curatori, un team di ricercatori e docenti della Scuola di Architettura di Marne-la-Vallée (Parigi).

 

«Economy of Means» (MAAT – Central Tejo)

Estremamente ricca di contenuti, quasi ossessiva (tale l’obiettivo), la mostra centra l’indagine sull’utilizzo di un mezzo per molteplici fini, in un momento storico in cui le risorse devono essere utilizzate con maggiore coscienza, condizione necessaria della razionalità dell’architettura. Una densa narrativa – soprattutto figurativa con disegni, fotografie e plastici – illustra il senso del limite per gli architetti, inteso come riduzione delle risorse utilizzate. La mostra, “multisensoriale”, interseca uno spazio fisico in cui l’architettura viene letteralmente percorsa e calpestata, con rimandi locali e globali, architettonici e visuali. L’Economia dei mezzi è dunque essa stessa una categoria estetica, oltre che strumento progettuale. In tal senso, contribuisce a definire la “ragione” in architettura: l’economia della ripetizione (nell’edificio e nella città); l’economia del vuoto, legata alla concezione dello spazio; l’economia della misura; l’economia dei materiali; l’economia delle procedure. «Economia di significato – sostiene Lapierre – è la condizione possibile per cui l’architettura possa parlare. Misura, ritmo, ripetizione, tipo, eccezione, sistema, ordine, geometria, analogia, sono alcune delle sue parole; l’economia di mezzi ne è la grammatica; la poetica della ragione è il suo risultato».

 

«Natural Beauty» (Palácio Sinel de Cordes)

Curata da Laurent Esmilaire e Tristan Chadney, nell’antico palazzo di Campo Santa Clara, sede della Triennale, la mostra riunisce i progetti degli studenti che hanno partecipato al concorso Prémio Universidades insieme a opere di architettura dal XV secolo ad oggi. Poiché la comprensione di un progetto è inseparabile dalla “forma” espressa dal disegno, le opere sono distribuite nelle cinque sale come “gemelle” delle proposte degli studenti: gli edifici e i progetti, distanti nel tempo, rivelano caratteristiche comuni e, in tal senso, permettono di comprendere come una serie di concetti possano essere reinterpretati nel tempo. Per questo, la “ragione è nelle forme”, come il plastico funicolare di Gaudí è un’illustrazione paradigmatica delle capacità di un edificio di articolare la statica, la spazialità e la sua espressività. Così vale per quelle costruzioni in cui tutte le parti sono aggregate: dalla cupola di Santa Maria del Fiore di Brunnelleschi, passando per Buckminster Fuller con il padiglione all’Expo ’67, alle cupole geodetiche degli anni ’40, fino al più recente edificio Prada a Tokyo di Herzog & de Meuron, che diviene continuità tra struttura ed elemento costruttivo. Allo stesso modo sono presentati altri temi d’indagine come quello dello “stato limite” per risolvere le architetture con grandi vani; o il tema della coerenza dell’edificio nella combinazione tra elementi strutturali e non; o ancora il tema della ripetitività del sistema costruttivo.

 

«Agriculture and Architecture: taking the Country’s side» (CCB – Garagem Sul)

Il curatore Sébastien Marot tenta di tracciare un punto sulla situazione attuale del nostro mondo, innescando una riflessione sia retrospettiva – con esempi del passato – che prospettiva, sul legame tra l’agricoltura e l’architettura, che s’intersecano in un divario sempre più ampio, a partire dalla rivoluzione industriale. Lo scopo: imparare da scienziati agrari, attivisti e designer che hanno costantemente esplorato le conseguenze di un futuro di ristrettezza energetica, per la riprogettazione e il governo dei territori. L’agro-ecologia e la permacultura – base del pensiero di Rob Hopkins per la Città di transizione (2000) – hanno sviluppato concetti e strategie utili per immaginare una tecnologia post-industriale basata su un’economia radicale dell’energia e delle risorse materiali. E se considerassimo la permacultura come una specie di architettura?

 

«Inner Space» (MNAC)

Come agisce l’immaginazione durante la concezione di un’opera di architettura?

I curatori Mariabruna Fabrizi e Fosco Lucarelli cercano d’identificare i momenti in cui i due ambiti – interno e realtà esterna – interagiscono. Dalle cartografie delle geografie reali (di luoghi) o immaginate (Athanasius Kircher, Turris Babel, 1679), l’immaginazione è dunque la capacità di organizzare, strutturare e tradurre in altre forme la nostra esperienza del mondo, che può essere diretta o mediata dall’incontro di un soggetto con le immagini. Il percorso identifica due ambiti paralleli e strettamente intrecciati, che intervengono nella costruzione dell’immaginazione architettonica: quello collettivo e quello individuale. Se infatti la costruzione collettiva è evidenziata in trattati, fotografie, riviste, capaci di circolare tra le varie epoche, la costruzione individuale è incorporata nel modo in cui ogni architetto stabilisce i propri sistemi “razionali” per materializzare il suo universo visivo. L’obiettivo è identificare l’immaginazione come un territorio che può essere vissuto, attraversato e persino abitato. Lo spazio interno, come l’immaginazione architettonica, è in grado anche di nutrire altre discipline: dall’arte ai videogiochi, alla realtà virtuale, ai fumetti e alle indagini forensi.

 

«What is ornament?» (Culturgest)

A più di un secolo da Ornamento e delitto di Adolf Loos (1908), la mostra curata da Ambra Fabi e Giovanni Piovene pone la questione su cosa sia oggi l’ornamento: se esso sia parte integrante dell’architettura come nei secoli passati, o se sia considerato mera decorazione. Sei le sezioni, una per ciascuna sala: “Cornice”, “Colonna”, “Parete”, “Patterns”, “Contenitori” e “Fuochi d’artificio” (dai cavi elettrici, ai graffiti, alle pubblicità, sorta di elementi invisibili perché ormai assunti come “normali” artifici decorativi. Sullo sfondo la presenza-simbolo della rassegna, La «Tenda Bianca» di Franco Raggi (1980), versione ridotta della «Tenda Rossa», cabanon di tessuto con gli ordini vitruviani, esempio concettuale più famoso dei “paradossi costruttivi”. Il percorso attraverso le sale è inframmezzato dalla proiezione del film Ornamento e delitto (1973), prodotto per la XV Triennale di Milano da Aldo Rossi con Gianni Braghieri e lo stesso Raggi, restaurato dalla Cineteca di Bologna.

 

I dubbi meglio delle certezze

Lo sforzo (e lo sfarzo) curatoriali sono lodevoli, nonostante a volte sia difficile, senza una lettura previa o una preparazione specifica, riuscire a comprendere tutte le sfumature, talvolta troppo intellettualistiche o filosofiche e, dunque, forse un po’ distanti dal preambolo della “comprensione collettiva”. In generale, le cinque mostre principali – con vasta presenza italiana – pongono quesiti interessanti e quanto mai attuali, avvalendosi di una quantità notevole di materiali eccezionali tra disegni, modelli, fotografie, riproduzioni, video. È la Triennale più del dubbio che delle certezze: molti dei quesiti non presentano risposte univoche ma una molteplicità di aspetti, attenzioni, riflessioni, e atteggiamenti culturali per i quali sarebbe riduttivo “il lieto fine” di un’assertiva presa di posizione.

Web: trienaldelisboa.com

Autore

  • Elisa Pegorin

    Nata a Cittadella (Padova) nel 1981, nel 2007 si laurea in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia. Dal 2005 al 2020 vive e lavora a Lisbona e a Porto. Nel 2019 ottiene il Dottorato in Architettura alla Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto (Faup). Parallelamente all’attività di ricerca, studia arabo all'Universidade Nova di Lisbona (2012-15), lavora al Cairo (2010) e in un progetto di ricerca in Tunisia (2014). Nel 2016 è socio fondatore del laboratorio DUET_Designed in Italy/Made in Portugal che si occupa di design in collaborazione con giovani artigiani portoghesi. Oltre all’attività progettuale, i suoi ambiti di ricerca riguardano l’architettura moderna e contemporanea in Italia, Portogallo e nei paesi arabi. Attualmente è assegnista di ricerca all’Università IUAV di Venezia e collabora alla didattica al Politecnico di Milano

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Last modified: 7 Novembre 2019