Riflessioni sulla sfida ambientale condotta dalla giovane attivista svedese, diventata un’icona planetaria
Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg detta semplicemente Greta Thunberg o Greta non ha bisogno di presentazioni: è la ragazza sedicenne svedese nota in tutto il mondo, da alcuni anni attiva sul versante dello sviluppo sostenibile e dei cambiamenti climatici dovuti a cause antropiche. È divenuta un’icona ambientalista, quasi una figura messianica, molto nota per i suoi incontri con alcuni grandi del pianeta fra cui papa Francesco e Angela Merkel e più recentemente per il suo vigoroso intervento all’apertura del Climate Action Summit, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite cui hanno partecipato decine di capi di stato e di governo. «Venite a chiedere la speranza a noi giovani? Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui si può parlare sono i soldi e le favole di eterna crescita economica. Come vi permettete?», ha tuonato Greta. Il 20 settembre ha guidato a New York lo sciopero mondiale per il clima. In diverse realtà europee e anche in Italia centinaia di migliaia di giovani si sono più volte mobilitati con scioperi e azioni dimostrative seguendo il suo esempio e i contenuti del suo messaggio. Si è parlato di una possibile candidatura di Thunberg al Nobel per la pace.
È autrice, insieme alla sua famiglia, del libro La nostra casa è in fiamme, pubblicato in Italia da Mondadori, in cui illustra il suo impegno per la difesa dell’ambiente. Quando aveva 13 anni le è stata diagnosticata la sindrome di Asperger; per via della sua notorietà molta attenzione è stata data ai sintomi da lei manifestati, talvolta usati in una sottile opera di discredito della persona e del suo pensiero. Viceversa altri hanno argomentato sostenendo che anche chi abbia una leggera disabilità che non compromette le capacità cognitive deve poter essere criticato (per le proprie idee) al pari di altri.
Si tratta di un personaggio talvolta divisivo, idolatrata da molti per le capacità comunicative verso il mondo giovanile di temi nevralgici per il futuro, ma bistrattata da chi invita a darle meno peso e ritiene che a monte vi sia una operazione mediatica orchestrata dalla famiglia in cerca di visibilità. Attorno a lei aleggiano alcune teorie complottiste che la vorrebbero strumento di una maxi operazione di marketing: il “chi c’è dietro Greta?” È un ritornello che risuona ciclicamente. Chi la ama e la segue afferma che i detrattori sono lacerati dal successo mondiale, viceversa sono state più volte evidenziate possibili incongruenze (es. bottiglia di plastica sulla barca con cui ha attraversato l’Atlantico) del suo stile di vita. Altre critiche, infine, hanno riguardato la legittimazione e la rappresentatività (democratica, istituzionale, culturale, scientifica) della ragazza a partecipare a forum, eventi e meeting internazionali. Recentemente, molto scalpore ha suscitato un articolo pubblicato dal quotidiano di area liberal «New York Times», in cui si critica la visione semplificata della influencer mondiale a proposito della crisi climatica. In tutta Europa sono prevalentemente gli ambienti conservatori a muovere posizioni politiche di dissenso. Sui social network non sono rari i casi di “gretafobia” fra i molti adulatori che la considerano una sorta di guru quasi intoccabile e la difendono a spada tratta.
Greta, nella sua semplice logica, porta argomentazioni che sono difficili da smentire e che appaiono perfino banali per chi, da diversi punti di vista e con diversi approcci, si occupa di sostenibilità. In sintesi ella dice: le risorse del pianeta sono limitate e la crescita non può andare avanti all’infinito. La popolazione non può continuare a crescere ancora (e con questo ritmo di aumento dei consumi) perché non ci saranno le risorse disponibili per tutti. Bisogna essere cauti, e solo politiche di equilibrio (e riequilibrio) a livello globale ci possono salvare.
È però ovvio che le risorse disponibili “limitate” vanno correlate alla tecnologia in uso per sfruttarle, e su questo non siamo in grado di fare previsioni per il futuro. Il messaggio di Greta è sicuramente condivisibile ed è un messaggio positivo per sensibilizzare le nuove generazioni a desiderare un mondo migliore. Il grande pregio non è stato solo parlarne, è stato spingere l’acceleratore su questo problema enorme e saperlo comunicare benissimo ad una generazione, la sua. Ma altro è dire «Le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando… Il mio messaggio è che vi teniamo gli occhi addosso». Si rischia di veicolare una religione dogmatica dell’ambientalismo, perfino diseducativa. Far credere che i cambiamenti siano possibili in tempi brevi è fuorviante, così come lo è non citare il ruolo dei Paesi in via di sviluppo: su questi temi tutto è complesso e può essere analizzato da diversi punti di vista. E che errore dimenticare alcuni benefici del progresso! Opportuno invece un richiamo ai giovani sulla necessità dello studio per acquisire una dotazione di strumenti che permettano di comprendere i reali problemi senza affidarsi a slogan che in processi reali di decisioni di politiche pubbliche di stati nazionali e governi locali potrebbero perfino apparire privi di senso, e senza lasciarsi abbindolare da catastrofismi che ciclicamente riappaiono.
Il rischio di un applauso acritico c’è, una mancanza di fiducia nelle capacità umane e nei progressi della scienza e della tecnica anche. L’auspicio è che milioni di adolescenti nel mondo non credano veramente che “siamo all’inizio di un’estinzione di massa”; è una frase che abbiamo già sentito più volte… Greta desidera un mondo migliore rispetto a quello che ha trovato: ma se rispetto ai nostri padri e nonni questo miglioramento stesse già avvenendo?
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compatibilità ambientale , Pianificazione , territorio fragile
Last modified: 26 Settembre 2019
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