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Francesca PetrettoWritten by: Progetti

Bauhaus Museum a Dessau, come il monolito di Kubrick

Bauhaus Museum a Dessau, come il monolito di Kubrick

Nella seconda capitale della più famosa scuola del moderno, visita al nuovo museo progettato da addenda architects. Un intervento contraddittorio, con un allestimento che trascura le implicazioni politiche

 

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DESSAU (GERMANIA). Lentamente si avvicina con la fine dell’anno anche quella delle celebrazioni mondiali per il primo centenario del Bauhaus: nei mesi di settembre e ottobre la sua seconda capitale, oggi Dessau-Roßlau, ne diventa regina grazie all’apertura del nuovo museo progettato da addenda architects e all’appuntamento classico della Triennale der Moderne. Solo Berlino manca all’appello delle tre capitali: l’apertura del suo nuovo museo che affiancherà il Bauhaus Archiv chiuso per restauro è prevista, molto ottimisticamente, nel 2023. Nell’attesa che si chiuda il ciclo, freschi della visita a Weimar, siamo andati in Sassonia-Anhalt, laddove si svolse la più lunga stagione di vita del primo Bauhaus, dal 1925 al 1932: non avremmo potuto aspettarci niente di più diverso dall’intervento là compiuto da Heike Hanada e colleghi.

 

L’edificio che basta a se stesso

Gli architetti impegnati a Dessau partivano senz’altro avvantaggiati, potendo operare in un contesto pressoché privo dei vincoli storici che invece legavano il progetto di Weimar e dialogare liberamente col celeberrimo complesso architettonico di Walter Gropius

situato nel quartiere occidentale delle Siedlungen residenziali, al di là della stazione dei treni. Il nuovo museo sorge altresì di qua dalla stazione, nel cuore dell’Innenstadt, ovvero in un lotto donato gratuitamente dalla Municipalità alla Bauhaus Stiftung, che è committente dell’opera, tra il parco cittadino e alcuni anonimi Plattenbauten socialisti. Perciò è difficile trovare collegamenti tra i due poli lontani, ma non si può imputare alla loro distanza la scelta di straniamento per questa architettura: a Dessau manca un piano di ri-disegno cittadino in funzione del nuovo ovvero di una sua integrazione nel preesistente e non c’è traccia di assi da rispettare o da reinventarsi, né di percorsi urbani di guida per i visitatori occasionali. L’edificio progettato su una griglia modulare (2,1 m) è come il monolito nero di Kubrick piovuto dal cielo e sembra voler bastare a se stesso.

Non bisogna dimenticare che il giovane studio catalano addenda architects di González-Hinz-Zabala aveva convinto la giuria del concorso internazionale (2015) con una proposta che prometteva poche spese per scelte progettuali moderne, leggibili e a basso costo, citando il celebre motto miesiano «less is more» in un capovolto, più spendibile «more with less». Molto à la Bauhaus dunque, almeno nei contenuti. Fatto sta che il Mies del padiglione di Barcellona citato dai progettisti come riferimento anche visivo per il disegno dei prospetti non è propriamente “Bauhaus”… Il risultato è contraddittorio: un tutto vetrato che rifuggendo da ogni possibile dialogo con l’intorno e persino dai topoi formali dell’architettura Bauhaus per antonomasia può richiamare al massimo i curtain wall del già citato edificio gropiusiano del 1926.

I suoi architetti lo chiamano «una casa nella casa», composto da un involucro finestrato continuo a tutta altezza per le superfici fuori-terra (ad eccezione del tetto verde) che contiene una black box, una struttura a ponte sospesa e autoportante per l’esposizione ed insieme la salvaguardia delle collezioni. La seconda casa è proprio questa scatola nera (99 x 18 m) che galleggia 5 metri sopra la testa dei visitatori del “palcoscenico aperto” al piano terra (un’area polifunzionale trasparente, con hall, biglietteria, caffetteria e bookshop e 600 mq per attività pubbliche), poggiando unicamente sui due vani-scala a nord e a sud della sala principale; la prima casa è il tutto contenuto dalle facciate a tripli vetri (571 finestre in totale) con telaio autoportante.

 

La mostra permanente

Per l’allestimento di «Versuchsstätte Bauhaus. Die Sammlung» (Siti sperimentali Bauhaus. La collezione) nella black box, lo studio addenda ha passato il testimone a un team composto da tre curatori e uno scenografo. Con un totale di circa 49.000 oggetti la collezione di proprietà della Stiftung di Dessau è la seconda più grande raccolta Bauhaus al mondo, caratterizzata da opere che riguardano precipuamente le attività della scuola e i prototipi dei suoi frequentatori. Perciò la mostra non espone (solo) le famose icone di design dei maestri, quanto piuttosto il lavoro di studentesse e studenti, le tappe più significative del loro apprendimento sotto la loro guida, le scelte progettuali in corsi, seminari ed esami, il rapporto docente-studente con la scelta di alcuni celebri binomi chiave (circa mille pezzi in tutto). Una spettacolare scenografia industriale progettata su misura da Detlef Weitz trova e reinterpreta colori e forme in grado di far spiccare ogni manufatto nella sua singolarità all’interno del volume nero che, oltre a fargli da sfondo, lo isola letteralmente dal mondo esterno.

 

«Isolamento» ed «estetica» vs politica

Le prime due sono forse le parole chiave che descrivono l’intero progetto, dalla costruzione in vetro e cemento armato che si isola dall’esterno tanto da voler quasi sparire (ci si può letteralmente guardare attraverso), al concept di una mostra che vuole stupire il gusto – riuscendoci meravigliosamente – senza troppo raccontare. Una Biennale veneziana di qualche anno fa riportava nel titolo un disperato appello per gli architetti delle città che suonava così: «Less Aesthetics, More Ethics!». È ingiusto affermare che a Dessau si è puntato solo sull’apparenza e quasi niente sui contenuti? Il fatto è che i contenuti scelti, davvero notevoli e spesso inediti, sembrano sospesi in un non-tempo senza storia, perché si è deciso di evitare il tema dei temi del Bauhaus, scomodo ma necessario, la vexata quaestio di quest’anno celebrativo in Germania: politica, sì o no?

Consapevoli i curatori e la direttrice della Stiftung Claudia Perren che parlare di politica avrebbe potuto scatenare, di questi tempi e col vento che soffia nei Länder tedeschi orientali, indesiderate e poco edificanti polemiche sul colore politico del Bauhaus, han deciso di raccontare in tal senso il minimo salariale. In maniera molto accattivante, si lascia l’ingrato (impossibile) compito agli oggetti, puntando forse su un pubblico poco informato da erudire per gradi o al contrario preparatissimo che ha già passato il modulo di storia politica e sociale e deve affrontare il laboratorio artigianale? Dove sono le questioni di genere? Dove le lotte politico-estetiche fra i maestri e i problemi della scuola col regime nazifascista? Come si può spiegare, tralasciando i fattori umani e sociali che l’hanno generato, e riportando solo quelli artistici, il metodo Bauhaus? Mille pezzi esposti su 49.000 fanno presagire che ci saranno in futuro molti altri allestimenti: non ci resta che sperare.

La carta d’identità del progetto

Committente: Claudia Perren, direttrice e presidente della Stiftung Bauhaus Dessau, Dessau-Roßlau
Progetto: addenda architects (Roberto González, Anne K. Hinz, Cecilia Rodriguez, Arnau Sastre, José Zabala), Barcellona
Project management: BAL Bauplanungs und Steuerungs GmbH: Stefano Magistretti
Architetti del paesaggio: Roser Vives de Delàs, Patricia Pérez Rumpler
Superficie lorda: 5.513 mq
Dimensioni edificio: lunghezza 105 m, larghezza 25 m, altezza 18 m (black box: lunghezza 99 m, larghezza 18 m; peso totale 2.400 tonnellate)
Superficie sale espositive: piano terra 600 mq, primo piano 1.500 mq 
Superficie utile totale: 3.500 mq
Superficie tetto: 1.500 mq
Area lotto: 5.670 mq

Progetto di allestimento della mostra «Versuchsstätte Bauhaus. Die Sammlung»
Curatori: Regina Bittner, Dorothée Brill, Wolfgang Thöner
Scenografie: Detlef Weitz (chezweitz)
Costo: 28 milioni (divisi al 50% tra il Land Sachsen-Anhalt e il Bund)

Cronologia

1925-1932: dopo una prima fase a Weimar, la Bauhaus Schule si sposta a Dessau
1926: viene costruita la scuola su progetto di Walter Gropius
1928: Hannes Meyer diventa direttore
1930: Meyer viene allontanato per le sue idee marxiste; Ludwig Mies van der Rohe assume la direzione
1932: chiusura della scuola e trasferimento a Berlino

1976: in piena era socialista, viene effettuato il primo acquisto per la collezione della Bauhaus Stiftung Dessau in occasione della riapertura dell’edificio originale come centro scientifico e culturale della DDR

1994: viene fondata a Dessau dal governo federale tedesco la Bauhaus Stiftung Dessau con sede nell’edificio storico della scuola a Dessau-Roßlau nella Sassonia-Anhalt; la fondazione conta oggi circa 60 dipendenti

1996: gli edifici Bauhaus di Dessau diventano patrimonio mondiale Unesco

2014: dopo una lunga fase di consultazioni, la Stiftung Bauhaus Dessau ottiene la promessa di Land e Bund per il finanziamento della costruzione di un nuovo museo in città
marzo 2015: concorso internazionale di architettura, vinto a dicembre da addenda architects barcelona
dicembre 2016: posa prima pietra
maggio 2017: inizio cantiere

8 settembre 2019: inaugurazione alla presenza della cancelliera Angela Merkel

Web: bauhaus-dessau.de

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 29 Ottobre 2019