Visita all’edizione 2019 del Festival Internazionale dei Giardini (fino al 3 novembre). Prix de la création alla partecipazione italiana di studio Lineeverdi e Francesca Cosmai
CHAUMONT-SUR-LOIRE (FRANCIA). Non fatevi ingannare dall’immagine del romantico castello sulla Loira, il Festival Internazionale dei Giardini è dalla sua nascita, nel 1992, luogo del contemporaneo, dell’invenzione, della novità e della provocazione nell’arte dei giardini. Inizia proprio con il tema «il piacere» nel 1992 passando attraverso «l’erotismo in giardino» del 2002 o «i peccati capitali» del 2014, quando la progettazione del paesaggio sembra “vietata ai minori”, ai «giochi in giardino« del 2006 o ai giardini in movimento «Mobiles» del 2007, dove tutto è gioco e l’imperativo è tuffarsi nelle superfici morbide e accoglienti dove sentirsi bambini.
Ogni anno si contendono i 25 lotti (circondati da una fitta siepe e distribuiti nel giardino del castello) architetti, paesaggisti, artisti e botanici da ogni parte del mondo, spesso giovani progettisti per cui il Festival diventa una finestra aperta sul futuro della professione, partecipando al concorso internazionale. Negli anni è cresciuta, per dimensioni e qualità degli interventi, l’area del parco dedicata a giardini e installazioni permanenti, riservate a paesaggisti e artisti importanti e destinata a diventare una collezione di paesaggi e sensazioni, tecniche d’intervento e qualità botaniche destinate a durare nel tempo e soprattutto a far comprender come l’architettura del paesaggio abbia diversi approcci e sensibilità. Come un’enciclopedia di tecniche, scelte botaniche e invenzioni che diventano ispirazione per parchi e giardini urbani. Il «Giardino della pioggia» di Kongjian Yu (Turenscape) del 2013 rimanda ai suoi più grandi e innovativi progetti, legati a temi, oggi urgenti, della sostenibilità e adattabilità ai cambiamenti climatici, pur nella poesia del luogo e nella forma accogliente dello spazio.
2019: «Giardini del paradiso»
Per l’edizione 2019 (visitabile fino al 3 novembre), la “carta verde”, come la wild card del tennis, quest’anno è andata a Bernard Lassus, 90 anni, già vincitore del Premio Jellicoe (il “Nobel” per gli architetti del paesaggio) che ha immaginato per Chaumont il «Giardino delle ipotesi», un luogo di colore e gioia, un giardino che è scultura e luce, natura viva e prospettiva, dove ci s’interroga sulla luce tra gli alberi (non sull’ombra, come sembrerebbe più consueto).
E all’opposto, nei 25 giardini scelti dalla giuria, molti progettisti e realizzatori sono giovanissimi e provengono da scuole di paesaggio e di giardinaggio assai differenti, che si sono cimentati con il tema «Giardini del paradiso». Il paradiso è diversamente interpretato, come luogo d’ispirazione solitaria e meditazione o di condivisione e diversità: l’ascolto della natura nel «Giardino che canta», dove immergersi nella stanza verde ascoltando gli uccelli, o «Elixir floral» in cui perdersi tra i profumi delle aromatiche, il vento e l’acqua. Poi il giardino si trasforma in scultura e un grande nastro di Moebius è un percorso impossibile attraverso piante dall’origine antica, quasi una promessa del proprio «Paradiso senza fine», e ancora un «Giardino sospeso», una struttura di tubi continui che ci fa meditare sul bisogno fisico dell’uomo di circondarsi di piante anche quando l’ambiente urbano sembra non offrire più alcuno spazio. E poi si raccontano i temi attuali dell’ambiente compromesso nel «Giardinoeterno», dove meditare sulla ricchezza del mondo verde contrapposto e in lotta con le materie inquinanti, e dove è solo apparente la bellezza dei sacchetti viola, quasi fossero fiori, che invitano a pensare al futuro del pianeta.
Italiane vincenti
L’Italia è ben rappresentata in questa edizione con «Tutte le Strelitzie vanno in paradiso», di studio Lineeverdi (Stefania Naretto e Chiara Otella, agronome paesaggiste) e Francesca Cosmai (architetta paesaggista). Descritto come una visione ingenua del paradiso, tra soffici nuvole su cui passeggiare, rivela invece un aspetto decisamente “sexy” con la scelta botanica, netta e attraente, di un fiore tra i più appariscenti e geometrici, la Strelitzia, che pare un uccello del paradiso (il suo nome comune), dalla sfrontata bellezza ed il sicuro richiamo sui visitatori, accanto ai Banani dalle grandi foglie dall’effetto dirompente di natura ad un tempo elegante e selvaggia, vero frutto proibito del giardino dell’Eden secondo Linneo (Carl Linnaeus, 1707-1778, botanico svedese noto per aver introdotto la nomenclatura delle piante con genere e specie) che lo chiamò Musa paradisiaca. Una scelta botanica sicura e netta, due sole specie, così come netti sono i colori, bianco/verde/arancio. Una scelta essenziale e razionale che rende invece estremamente coinvolgente e pieno di passione il piccolo giardino del paradiso, dove perdersi sdraiati sulle nuvole e immersi tra cielo azzurro e foglie dal verde intenso, tra sole e gradevole ombra, ognuno nel proprio personalissimo e privato paradiso. E la passione italiana ha contagiato la giuria d’oltralpe: il giardino ha infatti conquistato il riconoscimento più prestigioso, il Prix de la creation. Semplice e affascinante.
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paesaggio , premi
Last modified: 24 Giugno 2019