Inaugurata il 4 maggio la prima edizione della BAP, Biennale d’architecture et de paysage; laboratori e installazioni sulle sfide delle metropoli contemporanee
VERSAILLES (FRANCIA). A new biennale is born! O forse sarebbe meglio dire: une nouvelle biennale vient de naitre! Si, perché l’ultima nata nell’ormai affollatissimo panorama globale delle biennali d’architettura si tiene in questi giorni. BAP, Biennale d’architecture et de paysage, è stata inaugurata nella città alle porte di Parigi il 4 maggio e chiuderà i battenti alla vigilia della festa nazionale, il 13 luglio. La necessità di trovare un elemento di caratterizzazione in un’offerta internazionale ormai vastissima è individuata nel tema, che si propone di associare architettura e paesaggio, e nel luogo, Versailles, che offre siti storici di grande valore, con una proposta curatoriale quale possibile modello per il presente.
Il commissario generale della Biennale, François de Mazières, sindaco di Versailles e già presidente della Cité de l’Architecture, infatti, ha sottolineato come la città che oggi amministra fu creata dal nulla per volere di Luigi XIV combinando armoniosamente architettura e natura, concepita con una visione olistica che dovrebbe servire come fonte d’ispirazione per i progettisti di oggi.
Una premessa, questa, che suggerisce un modo di guardare al passato che ricorda abbastanza da vicino i propositi della fortunata esposizione del 2017 sulla Parigi di Haussmann in cui gli architetti di LAN indagavano la “rilevanza di un modello di città”. Peccato che nel caso della BAP l’intento non vada troppo oltre i proponimenti.
Il programma della Biennale si articola su 4 siti principali: tre siti storici – la Reggia di Versailles, l’antico ospedale reale, il frutteto reale -, cui si affianca l’ex ufficio postale.
La Petite Écurie, impianto monumentale seicentesco un tempo scuderia ed oggi sede dell’École nationale supérieure d’architecture de Versailles, rappresenta il fulcro della rassegna. Si entra nel complesso passando sotto un’installazione di Didier Fiúza Faustino, “Lampedusa”, una grande boa di salvataggio appesa, che in un punto di transito obbligato si propone come monito del dramma nel Mediterraneo. Il percorso espositivo curato da Djamel Klouche è stato pensato come una promenade tra passato e futuro. Si inizia attraversando la Galerie des Sculptures et des Moulages, collezione del Louvre delle copie in gesso di opere classiche oggi ospitata tra le maniche monumentali dove un tempo erano ricoverati i cavalli e le carrozze della corte. Si passa quindi alla sezione “Augures”, che nelle intenzioni del curatore dovrebbe essere un laboratorio in cui 23 studi internazionali propongono nuove pratiche progettuali che siano d’auspicio (da qui il titolo della sezione) per la futura “metropoli climatica”. Tuttavia, ad un proposito così tangibile raramente i 23 invitati – tra i quali Baukuh, Fosbury Architecture, Kuehn Malvezzi – rispondono con pratiche, appunto, che riescano ad andare oltre le accattivanti installazioni e illustrazioni.
La cappella dell’antico ospedale reale, complesso neoclassico recentemente restaurato, ospita invece una sicuramente più concreta, forse un po’ troppo celebrativa, rassegna dei numerosi interventi urbani ed architettonici realizzati ed in programma a Versailles. Fotografie, disegni e maquettes illustrano iniziative a diverse scale: da operazioni di agopuntura urbana, spesso riabilitazioni o nuove realizzazioni di verde pubblico, sino ai grandi progetti urbani che mirano a fare di Versailles uno dei poli maggiori della metropoli del Grand Paris.
Ed il Grand Paris è proprio il protagonista dell’esposizione “Horizon 2030″. Nell’ex ufficio postale di Versailles, in procinto di essere ristrutturato e in un’atmosfera di “attesa”, sono messi in mostra i modelli ed i disegni delle 68 future stazioni del Grand Paris Express, la rete di metropolitana che dovrà implementare il trasporto pubblico dell’agglomerazione attorno a Parigi.
Infine, nel Potager du Roi, già orto e frutteto a servizio della Reggia ed oggi sede dell’École nationale supérieure de paysage de Versailles, Alexandre Chemetoff ha curato “Le goût du paysage”. Il tema, il rapporto tra paesaggio, produzione alimentare e sperimentazione, è certamente di grande attualità ed avrebbe potuto scaturire risultati e contenuti ben più interessanti dei 25 ritratti di agricoltori che operano nell’Ile de France.
L’evento mostra sicuramente una capacità di mettere a sistema un vasto network istituzionale composto dal Comune, dalla Regione Ile de France, dalla Reggia di Versailles, dal Louvre, dalle scuole di architettura e di paesaggio di Versailles e dalla Societé du Grand Paris. Tuttavia, questo affollamento istituzionale è forse anche indicativo degli intenti autorappresentativi di alcune delle esposizioni.
Certamente le premesse indicate da de Mazières, ovvero come i principi alla base della progettazione di una città concepita più di tre secoli fa possano essere un modello per le sfide delle metropoli attuali, sono di grande interesse, in particolar modo se si considera l’esigenza di originalità e di caratterizzazione in un sovraffollato panorama globale di eventi simili. Sfortunatamente il tema sembra, però, soprattutto ridursi ad approfittare delle eredità fisiche di quel passato, sfruttate come suggestive scenografie, mentre la messa in questione dei principi e delle pratiche si arena spesso in risultati scontati o sotto le attese.
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Biennale d'architecture et de paysage , francia , mostre , paesaggio
Last modified: 25 Maggio 2022