Seconda puntata del report, a cura di Maria Paola Repellino (China Room), sugli interventi nei tessuti consolidati delle metropoli asiatiche
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PECHINO. Negli ultimi anni si è sentito molto parlare di hutong. Mentre Pechino si espande ad un tasso annuale del 7% (+2.772 kmq annui tra il 2000 e il 2010), il suo centro, ancora caratterizzato da circa 20 kmq di tessuto di case a corte, si trasforma a velocità minori. Grandi firme dell’architettura internazionale, chiamate a riflettere sul futuro di questi luoghi, si susseguono nella produzione di letture che ne indirizzino le macro-trasformazioni; basti pensare ai numerosi lavori che hanno insistito sul tassello di Qianmen East, attorno a Xianyukou Hutong, tra cui le vision elaborate rispettivamente da URBANUS e MVRDV, che mettono in luce due approcci profondamente differenti: la prima immagina una trasformazione in grado di operare a più scale con l’intento di diminuire la densità del costruito, la seconda accosta spazi ed edifici iconici che poco hanno a che fare con questi luoghi, restituendone un aspetto accattivante.
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Ciò che più colpisce di questa sovrapposizione d’immagini, è il progressivo passaggio da rigide politiche calate dall’alto ad una pluralità di approcci: nell’ultimo decennio, il cuore storico è stato infatti il banco di prova per meccanismi di cambiamento che hanno disvelato un’articolata interpretazione del concetto di conservazione. Di fatto, questi luoghi si presentano come un oggetto tanto denso e complesso da riassumere in sé molte delle dinamiche della città cinese e della sua costruzione estremizzandole, motivo per cui si rivelano così significativi da osservare. Appare dunque interessante leggere le trasformazioni di questi tessuti come insieme di storie – o quelle che Carlo Ginzburg definirebbe “spie” – che si affiancano, e talvolta sovrappongono, sollevando riflessioni più ampie riguardanti possibili strategie operative. Gli hutong sono stati oggetto di molteplici interventi: dalla “pulizia” delle stratificazioni informali alla demolizione e ricostruzione progressiva di alcune aree, spesso nella conservazione dell’aspetto formale ma con un cambiamento nella destinazione d’uso. In questa cornice iniziano a distinguersi tuttavia numerose sperimentazioni alla piccola scala ad opera di una nuova generazione di architetti: negli ultimi anni progettisti sia cinesi sia internazionali si sono immersi in questa realtà, trasferendovi la loro stessa “bottega”, studiandone peculiarità spaziali e pratiche d’uso. All’interno di queste aree così complesse, in cui l’obiettivo principale è (o dovrebbe essere) la garanzia di raggiungimento di condizioni di vita minime, emerge la questione dell’housing. La seguente selezione dei progetti intende mostrare la capacità d’interventi minuti d’inserirsi silenziosamente all’interno della riflessione sull’abitare, declinando possibili risposte a problemi diffusi della città cinese e mostrando il ruolo fondamentale dell’architetto in questo momento storico.
Attraverso la sperimentazione di strategie progettuali differenti, i progettisti reinterpretano l’idea delle tradizionali case a corte, facendo emergere molteplici valori dello spazio e delle pratiche che lo investono. Se da un lato i progetti di PAO (People’s Architecture Office) mostrano la volontà d’insinuarsi in modo minuto nell’esistente, proponendo di densificare anziché demolire parte del tessuto, i progetti di B.L.U.E. Architecture Studio e Zhang Yue propongono un ripensamento delle pratiche d’uso dello spazio domestico e del suo conseguente disegno: il primo incentrando la propria attenzione sulla specificità del singolo luogo, il secondo elaborando un prototipo ripetibile. Infine, il progetto di BaO si propone non come oggetto fisico ma come strumento di accompagnamento delle trasformazioni, come manuale d’uso, al fine non solo d’incentivare un corretto recupero dal basso, ma soprattutto di stimolare una presa di coscienza del valore di queste porzioni di città.
Gli hutong mostrano così un parziale cambiamento di direzione, una molteplicità di sforzi nel ripensamento della città a partire dalla micro-scala. Le fragilità e le problematiche che li caratterizzano diventano dunque sfida e allo stesso tempo opportunità di ricerca, a partire proprio dalla riprogettazione degli spazi dell’abitare.
Immagine di copertina: uno degli “urban carpet” realizzati dallo studio Ramoprimo, in mostra in occasione di eventi temporanei assieme ad altre 7 tele facenti parte del progetto Instant Hutong (2009); l’azione mira a sensibilizzare residenti e progettisti attraverso un’attenta mappatura del tessuto storico, aprendo il dibattito rispetto al tema dell’abitare
Mrs. Fan’s Plugin House
Anno:
2016
Progettista: People’s Architecture Office
Committente: Mrs. Fan
Luogo: Changchun Jie, Pechino
Struttura prefabbricata, economicamente accessibile e sostenibile a livello energetico, inserita nel tessuto storico sostituisce parzialmente gli spazi residenziali esistenti aggiungendovi nuove funzioni domestiche quali la cucina e il bagno, in precedenza esterne e condivise. La sua forma articolata dichiara una rottura con il contesto e risulta quasi in contrasto con la semplicità degli spazi interni, ma la motivazione è data dalla volontà di garantire l’accesso alla luce naturale e la circolazione dell’aria per l’intero cortile, esito delle negoziazioni tra i diversi abitanti. La Plugin House diventa così modello di sperimentazione dei luoghi dell’abitare: riproposto con diverse declinazioni in numerosi cortili, ribalta il consueto punto di vista sulla rigenerazione di questi tessuti mostrando come densificare anziché demolire è una possibile risposta.
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Private House Nanluoguxiang Hutong
Anno:
2015
Progettista: B.L.U.E. Architecture Studio
Committente: Privato
Luogo: Doncheng Qu, Pechino
In questo progetto la riorganizzazione degli spazi domestici avviene a seguito di un ripensamento del modo di vivere la casa e diviene emblema del cambiamento di abitudini della società. L’oggetto di arredo diventa fulcro della distribuzione dello spazio abitativo minimo e permette una sperimentazione compositiva nei volumi, sfruttandone in modo innovativo altezze interne e aperture zenitali. Un simile approccio si può riconoscere anche nei progetti White Pagoda Temple Hutong Courtyard Renovation (2018) e Dengshikou Hutong Residence (2016), sempre a Pechino. Il concetto di spazio condiviso caratteristico della tipologia tradizionale a corte cinese viene reinterpretato e portato all’interno; anche nell’open space i singoli familiari riescono a trovare la loro privacy e intimità, suggerita da un’inedita relazione tra la persona e lo spazio abitato.
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Maximize the Minimum
Anno:
2017
Progettista: Zhang Yue
Luogo: Baitasi, Pechino
Il progetto, avviato a partire dal 2014 e presentato in un primo momento in occasione della Beijign Design Week del 2017, consiste nella messa a punto di una serie di abitazioni modulari frutto di un processo di progettazione partecipata della durata di alcuni anni. Si tratta di un lavoro di esplorazione delle dimensioni minime, incentrato sul ripensamento dello spazio domestico che cambia al cambiare della società; anche qui si ha una reinterpretazione degli elementi in condivisione posti nella corte, che diviene filtro tra il sistema del vicinato e il micro-mondo interno. Il fine ultimo è avviare un’operazione di sostituzione incrementale del tessuto fatiscente degli hutong, non alterandone la morfologia e agendo sul piano della razionalizzazione dell’intervento, coinvolgendo attivamente la comunità.
—The Ping Fang BookAnno:
2018
Progettista: BaO
Committente: –
Luogo: Baitasi, Beijing
Questo piccolo manuale è il risultato di un processo di ricerca avviato alcuni anni fa, con la finalità di mettere a sistema una serie di nozioni e indicazioni pratiche per incentivare l’auto-costruzione in un’ottica di recupero di alcune porzioni di tessuto. L’interesse di questo lavoro emerge appieno nel confronto tra queste linee guida e quelle imposte dai regolamenti di conservazione del tessuto storico: se queste ultime si focalizzano sul mero aspetto estetico-tipologico del costruito, le indicazioni fornite da BaO ragionano invece sulle tecniche costruttive tradizionali con l’intento di preservare un know-how locale, calando le pratiche d’intervento tradizionali in una cornice di azioni dal basso. Appare dunque interessante lo sforzo intelligente di semplificazione e divulgazione di saperi che rischiano altrimenti di perdersi, riportando al centro dell’attenzione non solo il patrimonio materiale ma anche quello immateriale che connota questi luoghi.
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cina , cronache cinesi , pechino , rigenerazione urbana
Last modified: 3 Luglio 2024