Profilo di Arata Isozaki, vincitore del premio Pritzker 2019: ironico sperimentatore che non teme il cambiamento
Occidente-Giappone/Giappone-Occidente: Arata Isozaki che sperimenta architettura indagando i principi architettonici propri del mondo occidentale, dove la geometria dei volumi assume forme e significati che si allontanano dall’architettura tradizionale giapponese. Isozaki introduce nel mondo occidentale, attraverso mostre e testi, concetti peculiari alla cultura giapponese. Si pensi al Japan-ess, pubblicato da MIT Press nel 2006; oppure a Katsura. La villa imperiale, pubblicato da Electa nel 2015 con l’amico Francesco Dal Co; o ancora alla mostra del 1978 “MA: Space-Time in Japan” itinerante in molte città tra cui Parigi e New York. Recentemente egli è tornato a sottolineare l’importanza della relazione tra gli spazi, degli “spazi di mezzo”, così utili a percepire lo spazio attraverso il tempo. L’architettura tradizionale giapponese in forte relazione con la natura, nel variare delle stagioni e cogliendo gli attimi si confronta con l’architettura monumentale, che staglia forti e chiare ombre. Un’architettura con forme pure e geometriche.
Isozaki che per sperimentare non teme il cambiamento, sempre affrontato con la giusta dose ironica. Quando fonda il suo studio a 32 anni nel 1963, i suoi primi edifici furono influenzati dal Metabolismo e dalla lunga esperienza di lavoro con Kenzo Tange. Edifici brutalisti, come testimonia un suo primo successo, la Biblioteca della prefettura di Oita, realizzata nel 1966 nella sua città natia. Struttura in cemento armato a vista, ipotizzata per un edificio che possa “crescere” nel tempo. Si trattava infatti di una trave sospesa a cui collegare parti di edificio crescenti. Un’idea di end-less architecture che tornerà come tema ispiratore in altri progetti.
Il confronto con l’Occidente spinge Isozaki ad esplorare il Postmoderno. Nel 1974 realizza il Museo di arte di Gunma, dove il programma funzionale degli spazi espositivi, la distribuzione verticale, gli uffici amministrativi e l’illuminazione interagiscono con una maglia cubica da cui deriva tutto il progetto. Cinque anni dopo inaugura poi il MOCA, Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
Negli anni ’80, la ricerca architettonica continua con forti connotazioni d’influenze ed interpretazioni legate al mondo classico dell’architettura italiana. Basti pensare a Tsukuba Center Building del 1983, un complesso architettonico che comprende un hotel, una sala per concerti, uno spazio informativo, un centro commerciale e un ambiente ricreativo. Il tutto incluso in un progetto urbanistico che prevede soluzioni architettoniche con ponti pedonali sopraelevati ed una piazza di accesso all’edificio principale: il progetto di uno spazio pubblico con chiaro riferimento alla piazza del Campidoglio di Roma, ma capovolta, un tentativo di decostruire un sistema unificante proprio dell’architettura occidentale classica creando un mondo frammentario. Quello che definisce lui stesso un eclettismo schizofrenico. Per poi raggiungere equilibri formali più sobri con l’Art Tower di Mito del 1990, dove l’espressione geometrica e scultorea assume il valore di simbolo per la città. Molti i progetti che seguono. Per ricordarne alcuni, nel 1995 inaugura la Sala concerti di Kyoto, nel 1999 il Nara Centennial Hall, nel 2002 Il palasport olimpico di Torino [nella foto di copertina], firmato con Pier Paolo Maggiora; mentre nel 2008 vince il concorso per la stazione di Bologna, con Andrea Maffei.
Isozaki indaga sempre i rapporti tra architettura e geometria, architettura e scultura, architettura e matematica. Così, anche in uno dei progetti più recenti, l’odierna torre Allianz in Citylife a Milano, s’ispira alla Endless Column di Constantin Brancusi, mentre l’impostazione planivolumetrica delle residenze riprende il modello matematico di Penrose. Ma Isozaki va anche ricordato come promotore e direttore d’iniziative di sviluppo urbano, quali Kumamoto Artpolis, progetto nato nel 1988 nella sua Kyushu.
Il mio percorso formativo e professionale ha più volte incrociato Isozaki, sia con un’osservazione diretta delle sue opere sia attraverso un coinvolgimento derivante dalla partecipazione alla condivisione di progetti. Alcuni ricordi: Isozaki che introduce nel 1996 la serie di conferenze internazionali, da lui ideata, alla Nihon University dove, da studente di PhD, facevo parte dell’organizzazione. Isozaki che parla di architettura in un modo affettato, della sua ricerca teorica che ha influenzato moltissimi architetti di tutto il mondo. O ancora, l’esperienza straordinaria dei workshop di progettazione per Citylife con Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid e Maggiora. Momenti di confronto sull’impostazione urbanistica dell’intero complesso e, a seguire, vari incontri per sviluppare l’iter progettuale dei singoli gruppi di edifici. Isozaki sempre un po’ super partes con una visione del mondo sempre filtrata da una sottile pellicola d’ironia verso il mondo e se stesso.
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giappone , premi , premio pritzker
Last modified: 15 Marzo 2019