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Written by: Progetti

Ri_visitati. La fabbrica Solimene attende il Ponte degli Angeli

Ri_visitati. La fabbrica Solimene attende il Ponte degli Angeli

Perfettamente in funzione, per l’opificio ceramico a Vietri sul Mare si profila l’ipotesi di una connessione ambientale con il borgo storico secondo il progetto originario di Paolo Soleri

Il passato

L’edificio Ceramiche Solimene, realizzato a Vietri sul Mare (Salerno) tra il 1952-56 e modulato sul ritmo e il passo di un coro di pini secolari posti alle sue spalle, è un volume danzante nato dai rapporti intensi fra le intelligenze del committente Vincenzo Solimene e del progettista Paolo Soleri (1919-2013) che, come afferma Antonietta Iolanda Lima, fa suo «l’ideale organico innestandolo su un DNA da scienziato». L’incontro tra i due, avvenuto a fine anni ’40 del secolo scorso, è da letteratura. Il giovane Soleri aveva scelto di lasciare alle spalle l’esperienza americana presso lo studio di Frank Lloyd Wright, per plasmare indipendentemente forme organiche mediante l’apprendimento della lavorazione ceramica nella nativa Italia. Il giovane committente sceglieva avventurosamente di non realizzare un progetto di cui già deteneva le approvazioni – un ordinario capannone industriale monoblocco – per rischiare invece la nuova strada rappresentata, mediante un modello in creta, dal giovane architetto torinese. Le due indoli impudenti e tenaci sposano il progetto di un opificio di atipica perfezione.

Il cuore interno è animato dal serrato dialogo fra la struttura arborea e la rampa continua che distribuisce le funzioni principali dei quattro stadi di lavorazione ceramica, sviluppandosi in lunghezza ed incapsulando un grande invaso centrale a tutt’altezza, sormontato da un lucernario atto anche alla raccolta delle acque piovane. La copertura a spiovente invertito verso il lucernario prevedeva la messa in opera di un giardino pensile utile anche come scambiatore termico, come le aperture posizionate in modo da garantire il funzionamento organico e passivo degli ambienti interni. L’invaso centrale, alto quindici metri e modellato dalla luce zenitale, respira involucrato dalla struttura di grandi alberi, tronchi e rami rastremati che obbediscono alle leggi della statica ed esplicitano gli sforzi nella loro morfologia. Il tetto a spioventi invertiti, come nella Cappella di Ronchamp, canalizza l’acqua piovana in pochi punti centrali, per poi conservarla e riutilizzarla. La sezione trasversale del cuore centrale ha le stesse inclinazioni e proporzioni dello spazio allungato dell’antro della Sibilla a Cuma, sicuramente noto a Soleri. In facciata, le curve delle volte amalfitane si trasformano in absidi, mentre le cupole maiolicate tipiche della zona si trasfigurano in pelle verticale.

La gioiosa facciata esterna a moduli conoidali convessi è un blocco strutturale organico e continuo. Come le volte romane e bizantine realizzate a partire da tubi fittili, gli elementi sinuosi sono strutturali. Si combinano ferretti d’acciaio e tubi ceramici, a riprendere concettualmente l’idea dell’«opus moderno» dei blocchi sperimentati da Wright nelle case californiane degli anni venti.

Si rivela compiuta a Vietri l’operazione complessa e coraggiosa di una difficile fusione fra le idee rivoluzionarie di Wright, rinvenibili negli spazi unici a tutt’altezza, luminosi e fatti di potente struttura, quelle di Antoni Gaudí, e l’antica tradizione italiana, barocca e romana. A questo va aggiunto lo straordinario apporto della componente locale artigianale, esplicitata nel trattamento onirico della facciata. Una veste che è «super mosaico», o «super opus reticulatum» reinterpretato tridimensionalmente a partire dai cilindri cavi in ceramica color terra. L’impatto potente desunto dalla tradizione romana viene stemperato, e reso paesaggisticamente integrato, dalle tinte marrone e verde degli smalti brillanti cotti in loco.

La fabbrica Solimene appare in linea con l’avanguardia europea e americana di Wright, Le Corbusier, Utzon e Saarinen, ma è testimone altresì di una reinterpretazione attuale, snella e ideativa di una storia estetica e tecnologica tutta italiana, e di una materializzazione monumentale del delicato artigianato locale. É una personale reinterpretazione dell’architettura organica che scardina le reiterazioni formali e strutturali dei seguaci del Bauhaus, per sognare una nuova architettura nella quale uomo e natura sono riuniti dalla produzione manifatturiera.

Il presente

Vincolata nel 2006 dalla Soprintendenza

, la fabbrica, che rappresenta uno spazio organico dalle caratteristiche estremamente originali nel panorama dell’architettura italiana della modernità, è facilmente visitabile. Gli eredi Solimene hanno mantenuto l’attualità delle funzioni per le quali fu edificata, seguitando la produzione e vendita di oggetti ceramici. Al contempo hanno implementato l’auspicabile funzione espositiva di uso pubblico mediante la conversione all’uopo di alcune aree e l’accettazione, in alcuni casi e su richiesta del Mibact, di eventi durante i quali la rampa produttiva diviene galleria-museo.

L’edificio sembra ben resistere all’usura del tempo, grazie all’amore ed alle cure costanti dei proprietari. La struttura principale, in calcestruzzo armato, appare in buone condizioni. Alcuni elementi fittili della facciata sono stati sostituiti nel corso degli anni, mentre alcuni altri andrebbero sostituiti perché degradati; grazie all’intelligente strategia organica e modulare del progetto originario, si tratta di un’operazione semplice e poco costosa.

Intervento delicato si è invece rivelata l’aggiunta, qualche anno fa, dell’ascensore che occupa discretamente uno dei lati corti del vuoto interno. Altre piccole modifiche ed adeguamenti hanno riguardato di tangenza l’uso produttivo ed in maniera maggiore gli ambiti di esposizione e vendita. Per esempio la doppia porta di servizio che si affaccia verso la strada principale, pensata originariamente per l’ingresso di piccole autovetture, è adesso destinata all’accesso pedonale dei visitatori: si rende ancor più interessante in questo modo la possibilità di fruizione democratica dell’opera, anche in relazione alla visibilità dei prodotti in mostra, e la moltiplicazione – grazie al doppio accesso – dei flussi pedonali del piano terra.

Il futuro

Necessario, per la sua importanza conclamata, immaginare e programmare il domani di un’opera il cui progetto riuscì ad essere predittivo del futuro, pur veicolando il passato ed i suoi saperi. Pur nel prosieguo della sua originaria funzione produttiva ed espositiva, appare tuttavia importante potenziare la sua vocazione pubblica. In tal senso, è auspicabile che si concretizzi l’ipotesi di realizzare il Ponte degli Angeli, straordinario collegamento-mirador pensato dallo stesso Soleri per la connessione organica tra il percorso semi-pubblico interno dell’opificio e il belvedere pubblico della parte antica di Vietri alta. Un ponte-promenade multifunzionale, tra pubblico e privato, tra spazio e paesaggio; una delicata scultura che unisce le esperienze progettuali dei suoi macro ponti – purtroppo rimasti sulla carta – con il paziente lavoro artigianale delle mani che modellano in creta un oggetto urbano dalle forme fluide, antesignano d’icone contemporanee come, ad esempio, i percorsi fluttuanti di Zaha Hadid. Il profilo della massa organica immaginato da Soleri mediante il modello e i disegni prospettici conservati negli archivi della Fondazione Arcosanti, potrebbe costituire un nuovo stimolante tassello moderno-contemporaneo in un contesto storico e paesaggistico di straordinaria mediterranea bellezza.

* L’articolo è l’esito della ricerca “Arquitectura para la democracia” condotta da Luca Bullaro presso la Facoltá di Architettura della Universidad Nacional de Colombia, sede Medellín (Gruppo di ricerca: Transepto)

Autore

  • Luca Bullaro e Pamela Larocca

    Luca Bullaro è nato a Palermo, dove si laurea in Architettura presso la locale Università degli studi, conseguendo poi il dottorato di Ricerca in Progettazione architettonica, in cotutela con la UPC di Barcellona, oltre al master “Arquitectura: Critica y Proyecto” presso la ETSAB di Barcellona. È docente presso l'Universidad Nacional de Colombia a Medellín. Vince numerosi concorsi e premi in Italia e all’estero, fra i quali il concorso internazionale “Misterbianco Città Possibile”, il Premio europeo di architettura sacra della Fondazione Frate Sole, il concorso internazionale “Boa Vision” per la riconfigurazione di piazza Papireto a Palermo, il "Premio Quadranti - Vaccarini", la menzione d'onore "Spazi ed infrastrutture pubbliche" come finalista della Medaglia d'oro all'architettura italiana della Triennale di Milano, il concorso per la realizzazione della "Plaza Fundadores" della UPB di Medellín, Colombia. Ha esposto a Ferrara (“Premio Biagio Rossetti", Museo dell’Architettura, 2003), a Roma e Barcellona ("NIB-ICAR 2004, Esposizione itinerante dei progettisti italiani Under 36"), a Catania e Chicago ("Sicilia Olanda", 2007), a Palermo ("SiciliArchitettura", 2006; "Nuove generazioni di architetti in Sicilia", luglio 2009; "Sicilia Olanda II", gennaio 2010), alla Triennale di Milano (Medaglia d’oro all’architettura italiana", maggio 2009); nell’ambito della Design week di Istanbul (giugno 2009) e alla "VI Bienal Europea de Paisaje" di Barcellona (settembre 2010). Ha presentato i suoi progetti a Catania e Roma, Alicante e Barcellona, Manizales, Cali e Bucaramanga, Santiago del Cile e Valparaiso, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Città del Messico e L'Avana. Pamela Larocca è architetta e designer, specializzata al MIT Chicago in Land Use Readjustment, laureata nel 2005 presso la Facoltà di Napoli Federico II. Consegue l’Mphil in Studi Urbani e Progettazione in Contesti sensibili presso lo Iuav di Venezia, grazie al master biennale ‘Obiettivo qualità’. Collabora con la Triennale di Milano e svolge attività pubblicistica per riviste IN/Arch e Webzine quali Exhibart, e trascorre un breve periodo a Buenos Aires. Si trasferisce a Londra, dove è designer presso Urban Future Organization ed Imagination, e nel 2008 partecipa al Tinag_Independent Urbanism Festival in veste di ideatrice del GIGA Pavilion - Golden ideas for Urban Underused spaces. Nel 2010, con un'idea di mobilità ecosostenibile e marketing territoriale per i Campi Flegrei, vince come capogruppo il premio Nazionale Eugenio, Accessibilità e Mobilità alternativa. Nel 2014 ottiene l'Holcim for Sustainability Award Aknowledgement in Africa Middle East per il progetto Coop Community Building and Urban Remediation nel quartiere di Kora, Kigali. Nel 2017 partecipa alla Biennale di Architettura di Pisa e nel 2018 vince il Premio internazionale Cities of Future Challenge, bandito da Unesco e R.I.C, per la regione Oceania, con il progetto prototipale Ecoflood_the New Noah Ark

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Last modified: 4 Marzo 2019