Giovanni Caudo, già assessore alla Trasformazione urbana della capitale, riflette su come sia cambiata la proposta urbanistica e su quale sia la sua pubblica utilità
Serve un nuovo stadio per il calcio a Roma? No. Oggi, tuttavia, gli stadi, come il gioco del calcio, non sono più quelli di una volta. Lo stadio è come un centro direzionale per una multinazionale. Lo stadio di proprietà è un fattore della produzione indispensabile per le società che vendono calcio. Ogni aiuto pubblico dato in virtù della sola fede calcistica si traduce in un aiuto a un soggetto privato. Non si tratta qui di dare un giudizio sull’evoluzione o involuzione del gioco più seguito dagli italiani, ma al momento il contesto è questo.
L’intervento normativo del 2014 a favore delle società di calcio, in base al quale i comuni possono attivare procedure amministrative (non solo urbanistiche) più spedite per la realizzazione d’impianti sportivi, mette a totale carico del privato la realizzazione degli stadi, ma il soggetto pubblico ne deve sancire il pubblico interesse. È evidente, per come sono oggi le compagini proprietarie delle squadre di calcio, per lo più in mano ad azionisti che spesso nulla hanno a che fare con il territorio, che questo interesse vada ricercato in precisi e circostanziati fattori che non si risolvono nello stadio, anzi si può affermare che a rigore la norma esclude che il solo impianto possa costituire ragione sufficiente per sancire il pubblico interesse.
L’impostazione che ha portato alla stesura della delibera 132 del 22 dicembre 2014 con cui l’Assemblea Capitolina sancì il pubblico interesse della proposta della Roma nell’area di Tor di Valle, s’inquadra in questo contesto. La dichiarazione venne condizionata a una patrimonializzazione per l’ente pubblico in infrastrutture d’interesse generale, non solo necessarie allo stadio, e al raggiungimento di standard qualitativi, come il vincolo che fissava la soglia del 50% di spettatori che dovevano raggiungere l’impianto con i mezzi di trasporto pubblico su ferro e, ancora, alla realizzazione del parco fluviale sul Tevere, previsto dal PRG e mai attuato. Il solo ammontare della patrimonializzazione economica per il Comune era di circa 200 milioni: prolungamento della linea della metropolitana (50 milioni), riqualificazione delle stazioni ferroviarie, collegamenti e accessi pedonali alle stazioni, compreso un ponte ciclopedonale sul Tevere (circa 30 milioni), nuove infrastrutture stradali d’interesse generale, escluse quelle a servizio del solo stadio e dei parcheggi (circa 120 milioni) e, infine, la messa in sicurezza idraulica dell’area del quartiere di Decima, adiacente al fosso di Vallerano (circa 10 milioni). A questi si aggiungevano i contributi del costo di costruzione per circa 40 milioni. Erano previsti lo svincolo con l’autostrada Roma-Fiumicino, un nuovo ponte sul Tevere, l’asse di collegamento con l’area di Tor di Valle e la riunificazione dell’Ostiense con via del Mare. Nell’insieme, un telaio di strade con due svincoli con il Grande raccordo anulare che avrebbero contribuito a ridurne il congestionamento del tratto sud.
In questi giorni si è tornato a parlare di approvazione del progetto stadio (la variante al PRG) secondo la nuova proposta modificata dall’attuale amministrazione, e in particolare dalla stessa sindaca Virginia Raggi, in base all’accordo con il proponente privato siglato nel febbraio 2017. L’accordo si basava sul taglio di cubature, invise alla nuova amministrazione; in particolare, i tre grattacieli disegnati da Daniel Libeskind [visibili nell’immagine di copertina, corrispondente a una precedente versione del masterplan], per una più sostenibile, si disse, edilizia per uffici e attività commerciali di altezze più consone. Ma il dispositivo urbanistico con cui era stata condizionata la proposta (la suddetta delibera del 22 dicembre 2014), per riconoscere il pubblico interesse prevedeva uno stretto legame tra l’edificabilità aggiuntiva che veniva concessa e le opere pubbliche che erano poste a totale carico del privato, oltre agli oneri dovuti per legge. Un legame che si concretizzava anche nel vincolo di contestualità tra la messa in esercizio dello stadio e la realizzazione delle infrastrutture di trasporto previste (compreso il prolungamento della metropolitana).
Il nuovo progetto ha comportato una progressiva cancellazione delle opere pubbliche e dei vincoli di contestualità, e quindi anche delle obbligazioni a eseguire tali opere e non solo a contribuire ai costi a carico del privato. La delibera con cui, nel giugno 2017, l’Assemblea Capitolina ha approvato la nuova dichiarazione di pubblico interesse, ha sancito una consistente riduzione della patrimonializzazione pubblica (scesa a circa 85 milioni) e degli obblighi per il privato, il quale mantiene comunque una cubatura superiore a quella consentita dal PRG. Si può discutere o meno se persista il pubblico interesse nella nuova proposta ora in fase di approvazione. Di certo è che oggi sono evidenti i contributi pubblici che dovranno essere apportati a carico dei contribuenti, anche dei tifosi della Lazio, per il completamento di opere infrastrutturali considerate indispensabili anche dal recente studio predisposto dal Politecnico di Torino. Opere pubbliche che contribuiscono in maniera determinante alla valorizzazione di un investimento tutto privato i cui azionisti potranno (legittimamente) incassare i plusvalori conseguiti e lasciare la proprietà ad altri. Uno stadio fatto bene, viene da chiedersi per chi. Non certo per la città.
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rigenerazione urbana , roma , stadi
Last modified: 5 Marzo 2019
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