Il 19 gennaio prende avvio il programma della Capitale Europea della Cultura: intervista al direttore generale Paolo Verri
Torinese, classe 1966, laureato all’Università Cattolica di Milano, Paolo Verri è stato direttore editoriale per varie case editrici e poi a Torino direttore del Salone Internazionale del Libro (1993-97), dell’Associazione Torino Internazionale per lo sviluppo del Piano strategico (2000-06), e del Comitato Italia 150 (2007-11). Dal 2011 al 2014 ha guidato la candidatura di Matera [in copertina, uno scorcio notturno; foto di Luca Lancieri] a Capitale Europea della Cultura per il 2019. Contemporaneamente, ha diretto il palinsesto eventi ed i contenuti espositivi del Padiglione Italia dell’Expo Milano 2015. Il 17 ottobre 2014, con la designazione di Matera a Capitale Europea della Cultura, Verri è nominato direttore generale della Fondazione Matera-Basilicata 2019, ente che cura l’attuazione del programma di candidatura di Matera 2019 e che resterà in essere fino al 31 dicembre 2022. Abbiamo incontrato Verri a pochi giorni dal 19 gennaio, giorno inaugurale degli appuntamenti in programma nel corso del 2019.
Matera 2019 viene 15 anni dopo Genova 2004, esperienza molto positiva all’epoca, anche se ora la città ligure si trova alle prese con ben altri, drammatici problemi: come vedete dal capoluogo della Basilicata il futuro, i prossimi 15 anni o ancora meglio i prossimi 1000 anni come recita uno dei vostri temi?
Sono due esperienze molto diverse che accadono in due momenti molto diversi per l’Europa. Genova era associata a Lille, cioè al momento di uscita dal mondo industriale ed era basata sulla riqualificazione urbana. Per Genova era il momento di conclusione di un percorso avviato con le operazioni di riqualificazione dei Rolli, del porto… Matera vive un momento molto diverso, quello della vittoria del turismo culturale come meccanismo che permette alle città di essere dispositivi cognitivi più che dispositivi fisici. È significativo che il titolo di Capitale della Cultura sia andato al Sud, è la prima volta che succede: noi siamo molto orgogliosi, anche perché in questo caso il Sud è riuscito a mettere a frutto il riconoscimento ricevuto. Abbiamo saputo tenere la barra dritta – sappiamo dalle esperienze delle Olimpiadi di Torino 2006 e dell’Expo Milano 2015 che i momenti di crisi ci sono sempre – e la dimensione urbana di una città piccola e compatta al vertice di un triangolo composto da Bari e Taranto ha consentito di lavorare sul tema dell’immateriale piuttosto che del materiale; ovvero, lavorare più sui cittadini che non sulla città. Il nostro modo di prepararci ha visto il grandissimo coinvolgimento dei cittadini e il piacere nonché il dovere di renderli protagonisti. Solo nel caso della cerimonia inaugurale oltre 6.000 abitanti saranno coinvolti direttamente nella preparazione di tutti i materiali, gli allestimenti, le performance; e sarà così per tutto l’anno. La grande differenza fra Genova e Matera è questa: da una parte si è lavorato sulla città dall’altra sui cittadini. Questo è il nostro punto di orgoglio e i cittadini sono stati coinvolti sin dal 2013 con una grande attitudine a sentirsi parte, a dialogare, a dibattere e anche a criticare, nel caso.
Matera parte da una preesistenza ambientale ancor più che architettonica, un paesaggio abitato straordinario, che però era stato addirittura additato, sbagliando, come una vergogna; un concetto che voi ribaltate radicalmente e con coraggio.
Abbiamo assunto questo tema come universale e non locale. Non abbiamo mai ceduto alla tentazione molto contemporanea dell’iperlocalismo, per il quale si deve innanzitutto affermare di essere i più belli. Abbiamo cercato di capire, come in altre capitali delle edizioni passate, per esempio Wroclaw 2016, come ragionare sui nostri punti di debolezza, anziché su quelli di forza e di capire come la cultura possa illuminare le difficoltà del momento contemporaneo. Non a caso il tema della vergogna è diventato la più bella delle vergogne: orgogliosi del cambiamento da un lato e, dall’altra parte, consci che quella che nel 2011 era una tendenza, è ora una drammatica realtà. Il tema dei muri, ben individuato in anticipo dal nostro comitato scientifico – e devo ringraziare in particolare Franco Bianchini e poi dal punto di vista artistico Joseph Grima -, i muri che prima hanno chiuso i Sassi, poi hanno diviso l’Europa ed oggi tornano prepotentemente nella Storia, dal Nord America ad altri luoghi. La costruzione simbolica di un muro nella città nella seconda metà di luglio dimostrerà che la città compie una grande riflessione sul contemporaneo nella sua dimensione universale e non locale.
Scorrendo temi e programmazione dell’anno che si apre il 19 gennaio, si nota come si voli molto alto, quasi fossimo a Venezia per una Biennale, o a Kassel per “Documenta”. Come si riesce, partendo da queste vette, a comunicare poi a tutti, materani, italiani, europei, riuscendo a farsi capire da tutti come è d’obbligo per una Capitale della Cultura?
L’accessibilità della cultura in generale è un tema molto chiaro in Europa, e ci ha fatto lavorare sul principio della co-creazione. Vale a dire come si riesce a far capire i temi ai cittadini non facendo filosofia, ma coinvolgendoli nel lavoro. Il Purgatorio di Dante per riflettere sul più importante poeta italiano, la Cavalleria rusticana nei Sassi con la regia di Giorgio Baseglio Corsetti, col teatro San Carlo di Napoli, ma anche tutto il percorso nella Cava Paradiso coordinato da Grima: sono tutti progetti che non vengono realizzati da qualcuno in vitro e che poi cercano un pubblico nel vuoto pneumatico, ma che anzi sono fatti insieme ai cittadini. Di solito c’è un grande distacco fra il pubblico e la programmazione, in questo caso è il pubblico che fa la programmazione. Per la dimensione nazionale è stato un poco più facile perché dal 2014 abbiamo ricevuto una grande attenzione mediatica, ad esempio 14 pagine sul “New Yorker” che ci hanno aperto strade meravigliose, nonché report molto positivi. Auspichiamo che il livello sia alto perché il nostro compito, nonostante tutto, è quello di fare da laboratorio: non possiamo assumerci il diritto di rifare il verso a città di altro tipo. Matera ha 63.000 abitanti, la Basilicata 430.000: tutto quello che succede non può essere paragonabile agli eventi di città come Berlino o Londra. Quello che c’interessa è fare arrivare questa città in anticipo sui tempi. Quando festeggiamo il 50esimo dello sbarco dell’uomo sulla Luna e lo facciamo con Brian Eno e i Subsonica, facciamo in modo che i ragazzi capiscano che lo studio dell’immensamente grande e dell’immensamente piccolo è la vera sfida del contemporaneo, quindi lo facciamo per mettere in grado soprattutto i giovani di arrivare in anticipo e di cogliere le tendenze per tempo. Per noi il tema della co-creazione e dell’allargamento del pubblico è stato centrale fin dall’inizio. Credo che una delle scelte più riuscite, che si ripeterà in tutta la Basilicata, è quella di de-istituzionalizzare la cultura e fare in modo che essa esca dai luoghi deputati. In tal senso il grande dibattito che verte sul fatto se a Matera ci debba essere un grande teatro stabile o meno dimostra, invece, che in un territorio vitale la cultura non la fanno le istituzioni, ma i cittadini. La risposta alla domanda del come si faccia a coinvolgere il pubblico è: si parte dal pubblico, il pubblico non deve essere il punto di arrivo ma quello di partenza; le istituzioni non devono essere i luoghi nei quali portare il pubblico, ma sono le istituzioni che devono andare verso il pubblico. Noi abbiamo portato, grazie a Marta Raguzzino direttrice del polo museale della Basilicata, il dipinto di Carlo Levi nelle case delle signore di Serra venerdì scorso; abbiamo portato Virgilio Sieni a lavorare insieme agli anziani della città per raccontare Pier Paolo Pasolini. Quindi la cultura come dispositivo che anima dei saperi e delle competenze che sono latenti in ciascuno di noi e che la cultura è capace di attivare.
Possiamo dire in una parola che il segreto è la partecipazione?
Sì, ma in questo momento nel quale tutti ne parlano, non deve diventare un simbolo vuoto. Il tema della partecipazione è valido se biunivoco: da un lato chi se ne occupa deve mettere in moto un dispositivo di apertura e chi partecipa dev’essere consapevole di farlo. Io raffiguro un po’ dantescamente, sulla base della tradizione dello stilnovo, un avvicendamento di dialogo amoroso, come del resto diceva Roland Barthes, fra chi progetta e chi accoglie. Dev’esserci la capacità di tessere una rete, di tendere dei lacciuoli amorosi per coinvolgere il pubblico, ma ci deve essere la disponibilità, ma anche l’onestà intellettuale da parte di quest’ultimo di lasciarsi coinvolgere. Sieni, nelle sue Variazioni Goldberg, fa vedere che il pubblico viene accompagnato dal movimento del regista, però poi le persone che sono sul palco devono fare questo movimento. Il mio invito è che gli stessi cittadini non aspettino le istituzioni ma che dicano: agiamo insieme. Nessuno ha un sapere preconcetto: qualcuno, l’istituzione culturale, deve aprire la porta e dire: questo è il luogo dove lavoriamo; poi la gente deve interagire. Questa è la partecipazione.
Uno sguardo al programma: i temi
I-DEA, progetto curato da Joseph Grima, si occupa dell’analisi e della rappresentazione della ricca storia culturale, artistica e antropologica della regione Basilicata attraverso mostre e progetti di ricerca ispirati all’archivio. Nel 2019 verranno allestite numerose mostre multidisciplinari curate da artisti internazionali, il primo dei quali sarà Mario Cresci. Con sede nella Cava Paradiso a Matera, I-DEA rappresenta il nodo centrale di una rete che si estende nel resto della città, attraverso la Regione Basilicata e oltre. Si adatta all’estrema diversità del patrimonio della regione: piuttosto che condensare la storia in una narrativa oggettiva e lineare secondo la tradizionale strategia della “collezione permanente” tipica dei musei, I-DEA cerca di includere la varietà, l’instabilità e la soggettività inerenti al concetto attuale di identità regionale. Per capire cosa è I-DEA il modo più semplice è immaginare un archivio degli archivi in crescita. La Basilicata è una regione di collezionisti, e durante gli anni numerose persone, associazioni di cittadini, organizzazioni private, istituzioni pubbliche e fondazioni hanno costruito archivi unici che riguardano ogni aspetto della cultura italiana e meridionale, dal suo patrimonio musicale all’oggettistica per turisti e dal cinema del 20° secolo agli attrezzi per l’agricoltura. I-DEA è un progetto che si ispira al Rolywholyover A Circus, una “composizione per museo” creata dal compositore, scrittore, filosofo e artista visivo John Cage. Uno degli ultimi progetti su larga scala ideato da Cage prima della sua morte, Rolywholyover A Circus, ha trasformato il Philadelphia Museum of Art in un ambiente dove l’arte, le rappresentazioni, le proiezioni di film e video, le letture e i programmi speciali sono in continuo cambiamento. Gli elementi esposti non appartenevano al museo ma erano stati presi in prestito da circa 30 musei nel raggio di 30 km di distanza da Filadelfia e la loro disposizione cambiava secondo un algoritmo ideato da Cage. L’avvio del progetto, condiviso e realizzato insieme all’Università della Basilicata, è stato il convegno internazionale Food for art svoltosi nell’autunno 2017. A partire da quel momento si sono mappati archivi e collezioni a Matera, in Basilicata e anche fuori regione: un modo insolito per apprendere qualcosa in più sui luoghi e la loro storia. Si è visitata una serie di archivi e collezioni e se ne sono stati scoperti degli altri, cercando sempre di capire qual è il significato di un archivio o collezione nel tempo e nello spazio. Inoltre, gli esiti della ricerca sugli archivi – condotta in maniera congiunta da Matera 2019 e dall’Università della Basilicata – prenderanno forma di mappa on line di open-data, contribuendo a rendere disponibili sempre più collezioni della regione di interesse demo-etno-antropologico. L’Università sta conducendo un’azione che si concentrerà in particolare sui Sassi, avviando una raccolta di testimonianze degli ultimi cittadini in grado di raccontare l’esodo verso i nuovi quartieri che darà luogo a una produzione culturale specifica durante il 2019.
Open Design School: un laboratorio internazionale al servizio della comunità e della scena creativa
L’Open Design School è uno dei progetti fondamentali di Matera 2019, ideato e curato da Joseph Grima. È un laboratorio di design dove, attraverso la sperimentazione e l’innovazione interdisciplinare, si progetta e si realizza il sistema di tutti gli allestimenti che verranno utilizzati nel corso dell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura. È importante sottolineare che, a dispetto del nome, l’Open Design School non è una “scuola”, ma un luogo in cui l’apprendimento avviene tra pari, in un processo di scambio creativo continuo tra arte, scienza e tecnologia. Quanto allestito sarà quindi il frutto del dialogo fra le necessità espresse dalla scena creativa lucana e dai suoi partner europei con le migliori tendenze del design contemporaneo. I partecipanti all’ODS hanno diversi background professionali e sono selezionati, di volta in volta, attraverso call internazionali: i gruppi, che si creano intorno ad un progetto specifico, sono costituiti da ⅓ di partecipanti locali, da ⅓ di italiani e da ⅓ di stranieri. La sede di Open Design School è il Casino Padula, nel Rione Agna Le Piane, luogo utilizzato già in candidatura e di forte impatto simbolico in quanto ubicato in un quartiere periferico con il quale si è costruito e rafforzato un fruttuoso dialogo tra cittadini e progettisti. Open Design School progetta, prototipa e realizza sistemi aperti, basati su una matrice open structure, in modo da definire una sorta di “sistema lego” di elementi che possono essere assemblati in diversi modi per creare, di volta in volta, strutture specifiche per diverse installazioni. La “scuola” è essa stessa un sistema “aperto” all’esterno attraverso diverse modalità di partecipazione: la comunità, infatti, può contribuire in vario modo al processo messo in atto attraverso la partecipazione a laboratori (il sabato pomeriggio con cadenza bisettimanale), talk con esperti di varie discipline quali designer -artisti – makers – architetti – curatori- ecc. (il venerdì sera con cadenza bisettimanale), open review, ossia momenti in cui il gruppo di lavoro presenta i risultati delle ricerche settimanali per accogliere feedback (il venerdì pomeriggio con cadenza bisettimanale). Tutte queste iniziative hanno attraversato i 48 mesi di preparazione dell’anno da Capitale; nel 2019 continueranno ancora queste attività e ad agosto, la Scuola ospiterà un Summer Camp internazionale con sessioni su design, education, autocostruzione, talk e workshop.
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arte contemporanea , beni culturali , mostre , partecipazione
Last modified: 9 Gennaio 2019