Cartoline dalla settimana conclusiva del PIDA, il Premio Internazionale Ischia di Architettura, che ha festeggiato il decennale con incontri di livello e proposte di ricostruzione
ISCHIA (NAPOLI). Non solo un pretesto per ritemprare il corpo con una parentesi balneare, sfruttando anche i parchi termali e annessi. Approdare nell’isola al largo del Golfo di Napoli per partecipare agli eventi della tre giorni che ha coronato l’edizione 2018 del Premio Internazionale Ischia di Architettura è una buona occasione per ritemprare lo spirito, spesso assai vacillante nella sua fede architettonica. È stata infatti palpabile la percezione di un’autentica e sana passione.
Gruppo
Innanzi tutto, la passione degli organizzatori dell’omonima associazione culturale PIDA, presieduta dall’architetto ischitano Giovannangelo De Angelis e giunta al suo decimo anno di attività. Lo dimostra da un lato il tentativo di coinvolgere la popolazione nella partecipazione agli eventi e, dall’altro, di stimolare gli amministratori locali, come nella tavola rotonda che ha discusso (evitando la proverbiale autoreferenzialità degli architetti) di programmi e procedure, a fronte delle necessità di ricostruzione post sismica. In realtà, dati gli effetti estremamente localizzati dell’evento del 21 agosto 2017 (2 ettari nella frazione Maio di Casamicciola e null’altro, sostanzialmente), un’occasione per ragionare di governo del territorio – di cui, invece, il generale caos isolano lascia trasparire un gran bisogno.
E poi, la tenacia degli organizzatori nel trasformare in pubbliche arene d’incontro locations straordinarie non facilmente accessibili: come il Castello Aragonese a Ischia Porto e il Castello del Piromallo a Forio, dove abbiamo avuto di apprezzare un sensibile e garbato intervento di recupero firmato di recente da Andrea Mattera, uno dei “bracci operativi” del PIDA.
Protagonisti
Passione, ma anche orgoglio della modestia. Come nelle parole di Alessandra Chemollo (premio PIDA fotografia), con gli aneddoti legati ai suoi esordi professionali al fianco di un inatteso Manfredo Tafuri pignolissimo iconologo, e che lascia i suoi scatti “in pasto” al pubblico, affinché vi riconosca i significati dettati dalle proprie sensibilità. Ma che, altrettanto, ha interrotto collaborazioni professionali con architetti dall’ego ben strutturato (lo studio C+S, per non fare nomi), delusi se le foto non erano “su misura” in base alle attese.
O come nelle parole di Federico Spagnulo (premio PIDA carriera) che, a un rigore di metodo nella progettazione di alberghi, legato all’organizzazione degli spazi e alla loro distribuzione onde ingenerare nell’ospite – temporaneo – un’immediata sensazione di confidenza, contrappone un eclettismo formale nel “ritagliare” il vestito più consono al carattere di ciascun committente (spesso brand di catene alberghiere). E che ha ribadito il mantra della capacità manifatturiera e operativa italiana, insieme a quella dell’architetto di porsi come regista dell’intero processo.
Ha poi ispirato immediata simpatia Atsushi Kitagawara (premio PIDA internazionale), giapponese atipico nel suo animarsi e gesticolare, che ha presentato progetti per restituire spazi d’incontro, ovvero fondativi, per le comunità nipponiche provate da sismi devastanti. Lo stesso principio che ha guidato la presentazione, da parte dello studio MCArchitects, degli interventi per i centri di aggregazione nell’Emilia del post sisma. Con Ischia, Kitagawara ha stabilito subito una singolare affinità, comprendendone la storia e la geografia naturale e umana (compreso l’eccessivo traffico!), e invitando a ricostruire solo se necessario, secondo una visione prospettica di lungo periodo, con tecniche adeguate e aggiornate.
Giovani
Una trentina, di tre Università (Roma Tor Vergata, Napoli Federico II, Palermo) che, coordinati da alcuni docenti e stimolati da vari incontri e dallo stesso Kitagawara, hanno prodotto, in meno di sei giorni, rimarchevoli proposte di ricostruzione integrale dell’area terremotata, reinterpretando la morfologia insediativa dei luoghi e restituendo suggestioni non esclusivamente ripiegate sulla memoria, insieme a spazi pubblici densi di valenze collettive, magari profittando delle risorse termali. Una mano tesa offerta alle comunità locali, che le amministrazioni non dovrebbero lasciar cadere, al di là del singolo episodio della ricostruzione. Visioni possibili di un diverso assetto del territorio di cui l’isola pressoché intera avrebbe gran bisogno, soffocata com’è da un’elevata polverizzazione edilizia, e salvata solamente dalla lussureggiante macchia mediterranea, che ha per fortuna la meglio sulle infinite micro-cubature.
p.s. Per la cronaca, il Premio PIDA per la categoria alberghi è andato all’eccellente ma già altrove premiata Casa Riga con agriturismo a Comano Terme (Trento), che Franco Tagliabue e Stefania Saracino hanno concepito in ipogeo. Ma questa, alla fine, è la notizia meno interessante.
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premi , territorio fragile
Last modified: 23 Febbraio 2019