Visita al padiglione londinese firmato quest’anno dalla messicana Frida Escobedo, tra sobrietà e anonimato
LONDRA. Nell’antica tradizione inglese la Summer House (letteralmente “casa estiva”) era un piccolo edificio costruito nel parco intorno alla casa principale con l’intento di creare un’oasi di ristoro, un luogo ameno in cui ripararsi dal caldo estivo. Essendo un luogo non insito di una propria specifica funzione, era spesso occasione di sperimentazione architettonica, una folie, un capriccio, un padiglione.
È questo il Serpentine Pavillion per i londinesi, nel cuore di Hyde Park e a pochi passi dalla Summer House dedicata alla Regina Caroline. Inaugura segnando l’inizio dell’estate ed è di tutti e per tutti, come ha dichiarato Hans Ulrich Obrist direttore artistico della Galleria Serpentine, almeno per i prossimi quattro mesi prima che sia venduto una volta dismesso. Negli anni scorsi i bambini si sono arrampicati sulle grandi pietre del padiglione di Smilijan Radic e rotolati sugli scivoli in legno di Francis Kéré, gruppi di persone hanno bevuto birra sui cubi di Sou Fujimoto, letto libri all’ombra del mondo ipogeo immaginato da Herzog & de Meuron e Ai Weiwei, sorseggiato tè nella meditativa corte di Peter Zumthor.
Che succederà quest’estate? Probabilmente tutti proveranno a camminare sull’acqua, come ha fatto a piedi scalzi l’architetta messicana Frida Escobedo durante l’inaugurazione alla stampa. É il più giovane architetto ad approcciarsi a questo incarico, e la seconda donna a capo di uno studio dopo Zaha Hadid, che nel 2000 inaugurando il primo Serpentine Pavilion disse «This legacy should never end» (“Questa eredità non dovrebbe mai finire”).
Escobedo, al suo primo incarico nel Regno Unito, ha regalato alla Serpentine un padiglione elegante e sobrio: una corte delimitata da muri semitrasparenti realizzati con una gelosia di tegole in cemento, e coperta nel centro da un tetto ricurvo rivestito di materiale scuro e riflettente. Sul lato nord ovest un sottile specchio d’acqua che termina, come il tetto, secondo la direzione del meridiano di Greenwich, su cui si basa l’angolo di rotazione dell’intero padiglione. Punto d’incontro dello spazio messicano e del tempo inglese, il padiglione gioca su un equilibrio discreto di forma e materiali, lasciando il resto alla luce solare e agli elementi naturali del parco che s’intravedono attraverso le pareti e i pochi selezionati varchi di accesso. L’esercizio formale della corte, a tratti accademico, non ha niente a che vedere con gli spazi complessi dei padiglioni dei primi anni, che probabilmente godevano però di un budget maggiore e non avevano il vincolo di riuso strumentale alla vendita del “pezzo d’arte” dopo l’esibizione. Anche la scelta del motivo decorativo della gelosia, caro all’architetta e già esplorato nel padiglione progettato per il Museo Experiemental El Eco, nella Casa galleria Tallera e nel blocco residenziale Mar Tirreno, ha poco della curiosità sperimentale di alcuni esempi precedenti, tra cui il padiglione di Bjarke Ingels, per citarne uno. A porre l’accento su questa mancanza di slancio e innovazione molti già insinuano che il padiglione verrà oscurato senza troppo sforzo dal grande intervento “Barrels and The Mastaba” dell’artista Christo, inaugurato proprio questa settimana: un’enorme piramide di 7.500 barili blu e rossi alta 20 metri che galleggia a pochi passi dal Padiglione, nel centro del lago Serpentine. Potrebbe essere vero, ma questi paragoni lasciano il tempo che trovano davanti all’approccio di Escobedo, abituata a plasmare spazi che sono isole di riflessione con gesti ben più moderati, quasi silenziosi. Il Serpentine Pavilion d’altronde è solo una piccola folie e, per quanto possiamo provare a tirarne le somme dal punto di vista architettonico, il suo vero successo verrà dettato dal numero di bambini che a fine estate si saranno divertiti a saltare nell’acqua della sua corte.
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Last modified: 20 Giugno 2018
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