A oltre 50 anni dalla concezione, uno sforzo di cooperazione internazionale tra Cuba, Italia ed Inghilterra (con la partecipazione di Norman Foster) cerca di recuperare e conferire un uso a un’opera emblematica, abbandonata prima del completamento
Il passato
Le Scuole nazionali di arte cubana sono, secondo diversi critici internazionali, la più grande realizzazione architettonica della rivoluzione castrista. Furono costruite sul luogo del famoso Country club de L’Avana, regno dell’alta borghesia nel ricco quartiere di Cubanacàn, poco distante dal centro de L’Avana, con l’idea forte di trasformare un simbolo del capitalismo e della ricchezza di pochi, in un centro educativo gratuito, aperto a tutti i cubani ed ai giovani dei paesi in via di sviluppo dei tre continenti, vicino e contrapposto ai luoghi dei simboli dell’imperialismo americano, la Florida e Miami.
Nel 1961, Fidel Castro, che voleva per Cuba la più bella accademia d’arte del mondo, commissionò il progetto all’architetto cubano, di nonni italiani, Ricardo Porro (1925-2014), il quale chiamò a collaborare due architetti italiani, Vittorio Garatti (1927) e Roberto Gottardi (1927-2017). Secondo la storica israeliana Gili Merin, essi furono guidati da tre principi base: integrare le scuole al carattere esuberante del paesaggio; utilizzare laterizio prodotto localmente che, a causa dell’embargo statunitense, era meno costoso dei materiali “moderni” ed importati come l’acciaio e il cemento; usare la volta catalana come elemento dominante, la cui configurazione spaziale sarebbe stata in netta contraddizione con l’architettura “capitalista” dell’International Style. Volte organiche color terra contro le scatole bianche uguali in ogni parte del mondo.
Furono costruite cinque scuole: danza moderna, arti plastiche, arti drammatiche, musica e balletto. Tutte condividevano un approccio simile nei confronti dei materiali, della morfologia e delle strutture portanti. Ognuna però rappresentava una diversa interpretazione del sito e del programma funzionale specifico. Fortemente legato alla topografia naturale, il complesso si presenta oggi come una saggia operazione olistica: utopica fusione fra architettura e paesaggio in funzione della nuova didattica artistica rivoluzionaria.
La Scuola di musica, progettata da Garatti, è una struttura a serpentina lunga oltre 300 m che doveva accogliere piccole sale per le prove. Il labirinto sinusoidale, che segue con delicatezza le curve di livello e che ricorda la relazione spazio-geografia del Collegio di Giancarlo De Carlo ad Urbino, avrebbe dovuto dialogare con le due sale per concerti e prove, purtroppo mai realizzate. Di Garatti è pure la Scuola di danza, realizzata solo in parte ed oggi pressocché abbandonata: un sistema di padiglioni coperti tra i quali si snodano percorsi intrecciati che favoriscono gli incontri, ispirato alla geometria delle fortificazioni italiane – il castello di Mondavio per esempio -, all’architettura “cristallina” di Gio’ Ponti e alle esperienze dell’espressionismo tedesco di Lyonel Feininger, Hugo Haring e Hans Sharoun. La Scuola di arti drammatiche, progettata da Gottardi, è dominata da un grande anfiteatro centrale, anch’esso non finito. Le aule, a pianta centrale e circolare, rivolte verso l’interno, creano un ambiente onirico, intimo ed accogliente. Sono dominate da ampie cupole rosse appoggiate solo su quattro punti, con una sorprendente leggerezza che fa pensare ai moderni archi dei palazzi di Brasilia od alle opere di Auguste Perret. Ombreggiati sentieri, come vicoli sinusoidali, accompagnati da muri in laterizio, seguono le curve di livello e collegano gli spazi pubblici esterni con le aule e l’auditorium centrale: una sorta di reinterpretazione rurale ed ecologica degli eleganti spazi fluidi di Francesco Borromini, nel dialogo sottile fra superfici concave e convesse. La Scuola di balletto, progettata da Porro, presenta una composizione dinamica di strade e cortili dalle differenti giaciture che convergono nella piazza centrale, coperta da un sistema di volte a raggiera frammentate, e con il suolo che si sviluppa su varie quote, a forma di stella in pianta. È, secondo il suo autore, il simbolo dell’esplosione drammatica dell’antico regime dittatoriale cubano. Protagonisti il sistema modulare delle spaziose aule -che ricorda le scuole di Hans Sharoun-, il contrasto fra linee spezzate ed inclinate e quello cromatico fra il bianco dell’intonaco – dalla texture rugosa – ed il rosso del laterizio. Testa e coda della scuola sono la piazza coperta e l’alto volume esagonale del teatro con la terrazza-belvedere, dalla quale si apprezza una didattica vista del complesso.
Porro adotta un approccio concettualmente simile per la Scuola d’arti plastiche, rielaborazione dell’architettura tropicale archetipica nel sistema di padiglioni ovali di varie dimensioni, coperti da cupole in laterizio, disposti intorno ad un patio centrale, e collegati da portici in curva che ben proteggono dalla pioggia e dal sole cocente. Ampie volte a botte, leggermente ribassate, poggiano su un ritmo costante di setti in laterizio che funzionano anche come brise soleil e che richiamano lo spazio organico del sottotetto della Casa Milá di Antoni Gaudí. L’idea delle aule a pianta centrale e delle coperture tridimensionali è una reinterpretazione delle malokas e dei tambos, strutture circolari tipiche dell’architettura vernacolare delle zone tropicali sudamericane; ma rimandano altresí al “continuum urbatettonico” – come lo definisce Bruno Zevi – dei coni petrei di Alberobello, ed alle tecniche costruttive romane usate nel Pantheon, nella Villa Adriana e nelle terme di Baia, a Bacoli.
L’entusiasmo che accompagnò l’inizio del grande cantiere cominciò a deteriorarsi con la crisi dei missili cubani del 1962. Le scuole non apparvero consone con la rivoluzione: si parlava di uno sperpero inutile di risorse. Il nuovo alleato di Cuba, l’Unione Sovietica, propugnava inoltre un altro tipo di architettura, pragmatica, anonima, economica e funzionale, in netta contrapposizione con tali progetti, ispirati all’architettura vernacolare tropicale ed alla moderna tradizione organica di Gaudí e Wright. Porro, Garatti e Gottardi, accusati di promuovere ideali di espressione individuale, furono etichettati come “borghesi” ed “elitisti” e costretti a lasciare il paese. La costruzione si arrestò completamente nel 1965 e negli anni successivi il bestiame e la vegetazione s’impossessarono del complesso. Si edificò successivamente, seguendo principi diversi, l’ultimo tassello del complesso, la Residenza degli studenti: una stecca prefabbricata in cemento armato, di matrice sovietica, colorata di azzurro, a creare un interessante contrasto con la natura e con la vicina architettura organica.
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Il presente
L’interesse per il complesso si deve al critico americano John Loomis che, con il libro Revolution of Forms (1999), porta le scuole di Cuba alla ribalta internazionale. Nello stesso anno José Villa, presidente dell’Unione nazionale degli scrittori e artisti cubani, dichiara che il complesso era «l’opera architettonica più importante della rivoluzione cubana». I fratelli Castro si convinsero così che fosse giunto il momento di completare il progetto: il ripristino delle scuole divenne una missione nazionale, guidata dallo stesso ministro della Cultura. I tre architetti furono invitati a L’Avana per un incontro in cui discussero varie ipotesi per il restauro. Nello stesso periodo il complesso risulta al primo posto della graduatoria che precede l’inclusione nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità. Ma il governo cubano, a causa della crisi finanziaria globale, sospende il restauro da poco iniziato, benchè l’architetto incaricato della conservazione dell’Avana, Mario Coyula, avesse affermato: «Nella maggior parte dei casi, l’architettura deve adattarsi ai bisogni umani, ma nei casi di opere architettoniche eccezionali, il bisogno umano dovrebbe adattarsi all’architettura». Il documentario Unfinished Spaces, diretto da Alysa Nahmias e Ben Murray, racconta la storia del progetto e nel 2014 è insignito del premio della Society of Architectural Historians quale migliore opera cinematografica sulla storia dell’ambiente costruito.
Tuttavia, per il sogno frustrato delle incompiute scuole cubane sembra ora presentarsi una nuova opportunità. Il ballerino cubano Carlos Acosta, stella del Royal Ballet di Londra, preparando il suo addio alle scene, nel 2011 ha costituito la Fondazione Acosta, finalizzata alla realizzazione di un Centro di educazione artistica che fondesse la danza classica alla contemporanea, riportando il balletto cubano al centro della scena internazionale. Colpito dalla potenza delle Scuole d’arte abbandonate, Acosta ha pensato che queste fossero il posto giusto per realizzare il suo progetto. Con l’appassionata collaborazione di Norman Foster, Acosta è riuscito a raccogliere più di due milioni di euro per avviarne il recupero. Per Foster, «le scuole sono espressioni importanti della ricerca di un’architettura che simboleggia i valori dell’identità cubana. La mia partecipazione al progetto di restauro ha l’obiettivo di rendere possibile un’importante iniziativa sociale e salvare una preziosa opera che rischia di essere distrutta». L’architetto britannico ha così sviluppato uno studio di fattibilità che prevede numerose azioni: una serie di opere ingegneristiche per evitare future inondazioni del vicino fiume Quibú; la riabilitazione delle strutture portanti; il cambio di destinazione d’uso di alcune aree (come per esempio lo spazio del laboratorio coreografico, che diventerebbe un teatro per grandi spettacoli di musica e danza); la trasformazione delle aule didattiche in alloggi per studenti o insegnanti.
Il Ministero della Cultura ha già dato il via libera per l’avvio delle prime opere ma Garatti, in una lettera a Raúl Castro, ha scritto di non essere d’accordo con le modifiche proposte: «Chiedo in qualità di progettista di difendere l’integrità delle Scuole d’arte nazionali. Ogni cambiamento deve essere delicato e non deve compromettere l’architettura originale». Durante la diatriba, l’Italia non è stata silente. Nel 2012 il presidente della Repubblica ha attribuito la sezione architettura del Premio De Sica a Porro, Garatti e Gottardi. È stato fondato il Comitato Garatti per il recupero della Scuola del balletto e musica e per la Scuola di arte drammatica. Infine, l’Ente di cooperazione italiana allo sviluppo, insieme al Ministero della cultura di Cuba, ha redatto il progetto per il restauro della Scuola di arti drammatiche.
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Il futuro
Oggi che Cuba si va faticosamente aprendo al mondo occidentale, appare finalmente possibile il completamento delle cinque scuole. Fondamentale per il recupero del complesso sarà il ruolo del Ministero della cultura cubano, di Foster, di Acosta e di Garatti, unico progettista sopravvissuto, i quali purtroppo non riescono ancora a trovare un equilibrio concettuale ed economico, nonchè un accordo, per dare il via libera all’urgente opera di restauro e completamento.
Naufragato il sogno di una società diversa, è storicamente doveroso salvare almeno l’architettura immaginata per quel sogno. In tale operazione l’Italia dovrebbe assumere un ruolo determinante: le scuole cubane sono fra le opere moderne che meglio rappresentano la nostra tradizione costruttiva e tettonica all’estero. Pensiamo per esempio all’importanza strategica e pedagogica della salvaguardia di un’opera che fonde architettura e paesaggio. Un complesso costruito quasi sessanta anni fa il cui concetto spaziale e dialogico appare di estrema attualità, tanto da poter essere considerato un intelligente modello d’intervento per le nuove generazioni di architetti sempre più attente al dialogo rispettoso tra natura e costruito.
Immagine principale: Vittorio Garatti, Scuola di danza (1961-65)
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Last modified: 13 Marzo 2023
[…] ai quali si aggiunge Roberto Gottardi, che presto prese la via di Cuba dove realizzò le memorabili Scuole nazionali d’Arte all’Avana, e Gae Aulenti, assistente di […]
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