Incontro con Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini: dagli esordi del loro sodalizio (non solo) professionale, alla recente apertura di una sede dello studio a Londra
Il vostro cammino comune è iniziato allo IUAV di Venezia ed è proseguito con un’attività progettuale che spazia dall’interior design alla scala urbana. Come si è sviluppata negli anni la vostra esperienza di architetti?
Quando parliamo della nostra avventura di architetti ci piace parlarne come di una danza, un ballo guidato dalla musica dell’architettura. Balliamo scambiandoci i ruoli e consentendo a ciascuno di sperimentare le proprie passioni e interessi. Restando in metafora, abbiamo imparato a ballare insieme all’Università di Architettura di Venezia, frequentando i corsi di Tafuri, Scolari, Gregotti, Secchi, Rossi, Pastor e altri; abbiamo vinto giovanissimi i primi concorsi di progettazione, iniziando a costruire completando il nostro primo complesso di residenze sociali a 28 anni, in seguito alla vittoria di un concorso. Queste prime esperienze ci hanno fatto comprendere che era possibile usare l’architettura per migliorare le esperienze quotidiane delle persone attraverso lo spazio, valorizzare la bellezza dei paesaggi che ereditavamo dal passato, rimettere in equilibrio l’ambiente e innovare investendo in nuove tecnologie e materiali. Ci siamo occupati di reinventare le scuole (sui nostri progetti costruiti sono state tracciate le nuove linee guida per la progettazione delle scuole in Italia), di disegnare spazio pubblico di qualità, di introdurre l’architettura contemporanea in contesti fragili e delicati come la laguna di Venezia, ridefinendo l’equilibrio tra paesaggio e costruito.
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TranslationArchitecture
Il vostro modo di intendere e fare architettura è racchiuso nel termine ‘TranslationArchitecture’. Come si può riassumere in poche parole?
A differenza delle altre arti, produrre architettura significa tradurre costantemente un concept, un’idea a tutti gli attori che devono essere necessariamente coinvolti nel processo della costruzione: il designer/architetto traduce il pensiero sullo spazio in disegni necessari alla sua costruzione, traduce il concept al committente che deve finanziarlo, traduce lo spazio in elaborati tecnici che rispettano le normative e devono essere approvati dagli organi competenti, traduce i propri disegni esecutivi agli attori della filiera costruttiva, dall’artigiano, all’industria, al costruttore, traduce il progetto alle persone che lo andranno ad abitare. In ogni traduzione si opera uno scostamento dal concept originale e il progetto si deforma, si arricchisce, si modella, mentre l’architetto è sospeso in questo equilibrio instabile, come un guardiano a difesa dell’idea, un’idea che resterebbe astratta e non testata se non venisse realizzata.
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Awards
Al di là dei molti riconoscimenti che avete ricevuto, quali sono stati i momenti che hanno segnato il passo?
I premi sono sicuramente un booster di energia che contagia il nostro lavoro, ma il nostro percorso è ricco di esperienze che ci hanno permesso uno sguardo critico verso il nostro lavoro: pensiamo alle esperienze di insegnamento americane al MIT, al confronto con metodi di lavoro più pragmatici, con lo studio inglese, non ultime le recenti esperienze sul mercato belga con la vittoria del concorso per le ex Scuderie reali di Tervuren. Riportando questi sguardi sul mercato italiano, siamo oggi in grado di offrire un prodotto diverso in equilibrio tra complessità e pragmatismo.
Aequilibrium
Per la Biennale 2016 curata da Alejandro Aravena avete realizzato l’installazione Aequilibrium, un percorso “perpetuo” aggrovigliato attorno ad una colonna. Cosa avete voluto dichiarare con quest’opera?Aequilibrium
è un nodo aperto tridimensionale, simbolo del ruolo che C+S attribuisce agli edifici pubblici per le comunità di riferimento: Public building for public good è infatti lo slogan che il curatore Aravena aveva scelto per definire il nostro lavoro, invitandoci a partecipare alla XVI Biennale di Architettura. La nostra ‘battaglia’ per rigenerare le scuole in Italia attribuisce alle scuole il ruolo di ‘nuove piazze’. La magia della parola Aequilibrium è la sua capacità di descrivere la stabilità tramite l’instabilità, come la città in cui siamo cresciuti, Venezia, un’invenzione sospesa tra terra e acqua. Aequilibrium è una struttura che trova l’equilibrio cercando lo sbalzo (il disequilibrio). Mentre si percorre l’installazione, i pesi si spostano da un lato all’altro, le tensioni rimbalzano, riportandosi al centro, in un gioco che ha la forza della semplice stabilità grazie al movimento. È un volume costruito da una molteplicità di piccole lastre che si saldano tra loro per bilanciare le tensioni in movimento. Sono le lastre, saldate tra loro, a costruire la forza di questa struttura. Come per le persone, è il loro tempo e skills a concorrere a costruire un nuovo possibile modello economico circolare in equilibrio con il pianeta.
Aequilibrium è sospesa, ma la sua spirale gioca in modo sensuale con le curve della possente colonna delle Corderie dell’Arsenale che pure segue, senza mai toccarla, tiene insieme la memoria e l’orizzonte spostando il punto di vista dello spettatore, che si arrampica, ma non scivola, può sedersi, sdraiarsi sul tappeto di sughero. Aequilibrium è un nodo aperto, una metafora del valore che abbiamo dato alle scuole, che sono per noi le nuove ‘piazze’ nel tessuto disgregato della città diffusa, spazi pubblici aperti, luoghi di aggregazione, di scambio per una società multietnica e multiculturale. Aequilibrium è un gioco. Metafora del valore ludico, esperienziale e di scoperta che le scuole devono avere per le comunità di riferimento e non solo per i bambini. Aequilibrium è un percorso perpetuo. Potrebbe continuare all’infinito come il ruolo dell’educazione nella costruzione della società. Aequilibrium è rossa: un nodo colorato, come le nostre scuole nella grigia metropoli orizzontale dello sprawl.
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Retrofit
Il recente progetto di conversione del Palazzetto dello sport di Bergamo nella futura sede della GAMeC/galleria d’arte moderna e contemporanea si basa sul concetto di ‘retrofit’. In che cosa consiste?
Con il termine retrofit si definisce l’attività di addizione di nuove tecnologie/funzionalità ad un sistema vecchio (sia esso un’automobile, edificio, ecc.), così da prolungarne la vita. Abbiamo ereditato dal passato edifici di dimensioni e strutture generose e che oggi con difficoltà potremmo permetterci di realizzare. Abbiamo risorse limitate e una nuova consapevolezza sul risparmio di suolo da costruire, in quanto proprio il suolo è una risorsa NON rinnovabile. Crediamo sia necessario valorizzare edifici antichi e sistemi urbani obsoleti in quanto spazi speciali a disposizione delle comunità, banche di energia e di materie prime, risorse invece che problemi da risolvere. Il retrofit è uno strumento resiliente per tradurre il passato più o meno recente e trasformarlo in una risorsa per la comunità.
La trasformazione del Palazzetto dello sport nella nuova GAMeC a Bergamo è una di queste eredità che si trasforma in potenzialità, alla scala urbana, alla scala architettonica e alla scala dell’esperienza fisica dei cittadini. Il progetto si concentra sulla possibilità di trasformare radicalmente la struttura interna dell’edificio demolendo le gradonate ma mantenendo invece intatta la cintura dei pilastri che descrivono e caratterizzano la forma ellittica dell’edificio. Il progetto diventa un ponte tra passato e futuro: da un lato mantiene una forte traccia delle strutture originali e dall’altro inventa un nuovo spazio per accogliere il museo di arte contemporanea. Le strutture interne esistenti verranno lasciate al grezzo mantenendo la materialità del cemento facciavista e le tracce delle sue trasformazioni. Il foyer è un free floor: uno spazio a disposizione per attività ricreative, commerciali ed espositive per piccole collezioni. All’interno, lo spazio esplode in altezza, definendo, con la sua materialità, il carattere del museo: le pareti con i mattoni originali riportati “faccia vista”, insieme ai segni dei tagli delle tribune e dei solai preesistenti, richiamano alla memoria dello spazio originale, che dialoga con il nuovo volume inserito al centro dello spazio: un volume sospeso che ospita le sale espositive dei piani superiori, accessibili grazie ad una scala monumentale. Il percorso museale si snoda in altezza attraverso le sale e apre alcuni scorci verso la città in un continuo spostamento tra l’interno urbano dello spazio a tutta altezza e la città di Bergamo. Il museo non è solo uno spazio espositivo, diventa una macchina per guardare la città da punti di vista inusuali. GAMeC diventa in questo senso lo strumento che trasforma la città di Bergamo in un museo di se stessa fino a giungere alla grande terrazza panoramica in copertura.
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Details
Avete curato lo sviluppo del progetto esecutivo del recupero del Fondaco dei Tedeschi a Venezia di OMA/Rem Koolhaas. In che modo avete interpretato il tema del dettaglio architettonico?
Il progetto per il Fondaco è stata una sfida: lavorare sul concept di OMA, che abbiamo fin dall’inizio considerato una risorsa per la città di Venezia, proprio per la sua capacità di offrire un percorso pubblico all’interno di un mall, un percorso che culmina in uno spazio per l’arte in diretto contatto con la terrazza che permette di guardare i tetti della città. Abbiamo scelto il ruolo di traduttori, nel vero senso del termine, e i dettagli erano quelle parole necessarie e sufficienti a mantenere il senso del racconto e contestualizzarlo nella materia e nella luce veneziana. Abbiamo lavorato con materie preziose quali l’ottone e la pietra, cercando nel dettaglio le soluzioni più esili per serramenti e ringhiere al fine di esaltare l’essenza di una città costruita con strutture sottili. Recentemente abbiamo completato la piazza del Palazzo del Cinema di Venezia, lavorando con le stesse materie alla scala urbana.
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Urban design
Parlando invece dei progetti alla scala urbana, recentemente avete vinto il concorso per l’area delle ex Scuderie reali a Tervuren, in Belgio. Come avete affrontato un tema progettuale così articolato?
Il progetto per Tervuren è molto importante per noi in quanto ci permette di testare in un contesto non italiano i temi della valorizzazione fisica tramite processi di ricucitura tra architettura e paesaggio, tra architettura e persone che la abitano. Un investimento complessivo di 60 milioni permetterà di trasformare le ex Scuderie reali e il parco in un albergo di lusso con spa, aree conferenze e spazi commerciali. Il progetto sviluppa inoltre tre nuovi complessi residenziali immersi nel verde, che viene completamente ridisegnato. Il rapporto tra antico e nuovo è stato risolto grazie all’inserimento di una serie di micro-piazze urbane, interamente pedonali, capaci di ricucire i diversi elementi del progetto e reinventare lo spazio pubblico come spazio di gioco, sosta, mercato, svago.
Siamo sempre stati interessati al rapporto tra nuovo e antico, e questo progetto ci permetterà di restituire ai cittadini di Tervuren una parte di città oggi interclusa. Siamo emozionati e onorati di poter lavorare con la comunità di Tervuren per prenderci cura delle risorse storiche, artistiche e paesaggistiche e restituirle agli abitanti.
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Plants
Gli impianti tecnologici e le infrastrutture spesso in Italia non sono progettati come temi architettonici, ma semplicemente come risposta a necessità funzionali. Il vostro impianto per il filtraggio dell’acqua realizzato sull’isola veneziana di Sant’Erasmo dimostra invece il contrario.
Venezia e la sua laguna sono terre inventate dagli uomini. Venezia è una bellissima infrastruttura di serbatoi d’acqua, i campi e campielli veneziani, necessari alla sussistenza delle comunità che vi hanno abitato per mille anni. Le decorazioni in pietra d’Istria che disegnano e impreziosiscono i campi veneziani tracciano il limite delle cisterne interrate e accolgono l’acqua, necessaria per bere e lavare. Non esiste decorazione a Venezia, ogni elemento è necessario e sufficiente. Persino i grandi architetti che disegnano per la città, Sanmicheli, Sansovino, devono diventare ‘proti’, dimenticando l’autorialità per diventare traduttori di un sistema fragile, in bilico tra terra e acqua. Nel disegnare le infrastrutture, gli edifici culturali, gli spazi pubblici e le darsene dell’isola di Sant’Erasmo, ci siamo sentiti un po’ ‘proti’. Il depuratore è il simbolo del valore dell’acqua in un’isola e una laguna che non ne hanno ed è disegnato in modo essenziale: quattro murature in cemento disattivato e colorato con la terra dell’isola per diventare un elemento di paesaggio. Non un elemento nascosto, una specie di ‘rovina intelligente’ che ora ospita un elemento tecnologico, ma che potrà nel futuro essere trasformato, allo stesso modo in cui oggi utilizziamo le chiese o i palazzi storici come musei o scuole.
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Education/Research
Prendendo in prestito le parole di Mies van der Rohe ricordate che «L‘educazione deve portarci da un parere irresponsabile a un vero giudizio responsabile. Se l’insegnamento ha uno scopo, è quello di impiantare una vera comprensione e responsabilità». In che modo l’insegnamento si rapporta alla pratica del progetto?
Gli studenti e i loro progetti diventano occasioni di riflessione e ricerca su temi importanti, con cui possiamo sperimentare nuove tecnologie. Recentemente abbiamo completato uno studio sulle potenzialità di sviluppo turistico della Riviera del Brenta, un progetto nato dalla collaborazione tra la UEL a Londra e la Soprintendenza Regionale del Veneto, Ministero dell’Ambiente. Un’altra collaborazione tra l’Università di Ancona, il nostro gruppo di lavoro e un’azienda leader nel settore dell’urban furniture ci ha permesso di sperimentare la costruzione di nuovi prodotti, utilizzando un nuovo materiale. In questo modo non ci pare vi sia alcuna discontinuità tra insegnamento, ricerca e pratica del progetto.
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London
Il baricentro del vostro lavoro e dell’attività didattica è proiettato verso una dimensione internazionale. Perché avete scelto Londra come sede del vostro nuovo studio, aperto nel 2016?
Londra è un nodo culturale importante con spazi pubblici e parchi di grande dimensione, con eventi quotidiani di rilevanza internazionale, con una popolazione multietnica e multiculturale, con ottimi collegamenti internazionali e intermodali con il nord Europa. Subito dopo l’esperienza americana al MIT, siamo stati chiamati in qualità di professori di ruolo alla UEL, dove siamo titolari del laboratorio Architecture and Heritage. Non ultimo, un altro tassello che ci ha spinto verso Londra è il modello educativo di grande valore e grande rispetto delle istituzioni, ideale per far crescere i nostri figli.
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Kids
E se un giorno i vostri figli vi dicessero che, da grandi, faranno gli architetti… quale sarebbe la vostra risposta?
Crediamo che i nostri figli saranno sempre degli architetti, al di là di quello che praticamente sceglieranno di fare: un architetto è sostanzialmente colui che trova una soluzione creativa per risolvere un problema coniugando bellezza e pragmatismo.
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Chi sono C+S Architects?
C+S Architects, lo studio di Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini con sedi a Treviso e Londra, ha costruito negli anni un portfolio di progetti che si confrontano con temi e contesti differenti a scala internazionale, lavorando sui temi della ricucitura urbana, dell’architettura e dell’interior, per clienti pubblici e investitori privati. C+S ha vinto una serie di concorsi di progettazione internazionali, tra i quali il restauro delle residenze e del parco di Leopoldo II a Tervuren in Belgio (2017), la nuova Galleria di arte moderna a Bergamo (2016), la riqualificazione dell’area della stazione di Chiasso in Svizzera (2014), il restauro dell’ex Manifattura tabacchi a Venezia con la costruzione della Cittadella della Giustizia (completata nel 2014), il complesso Policlinico a Milano (in costruzione), un complesso residenziale a Tokyo (2008), il parco della stazione di Bassano del Grappa con lo sviluppo immobiliare di residenze e servizi (2011) e molti progetti di scuole, che sono stati esposti alla XV Biennale di Architettura di Venezia. I lavori di C+S sono stati pubblicati a livello internazionale e presentati al Museo di Arte Moderna a New York, alla Triennale di Milano, alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine a Parigi, all’Architekturzentrum a Vienna e al RIBA a Londra. Hanno recentemente esposto in una personale al MIT a Boston. C+S Architects ha vinto il Premio Nazionale BigMat 2017 e il premio Architetto dell’anno per l’interior design 2017, il Premio speciale della Medaglia d’Oro dell’Architettura Italiana 2012 e il Premio In-Opera 2012, la selezione al Premio Europeo Mies van der Rohe nel 2009, il Premio Sfide 2009 del Ministero italiano dell’Ambiente, la Menzione d’onore al AR+D Award 2008. Cappai e Segantini hanno tenuto conferenze internazionali al Museo di Arte Moderna di New York, al MIT di Boston, a Cornell, Columbia e Syracuse University negli Stati Uniti, all’EPFL in Svizzera, alla TU Delft, a Cambridge, Bath e UEL nel Regno Unito, a Hasselt University in Belgio, all’IDEA-TOPS Award a Shenzhen, alla City Conference a Mosca e all’Università di Moritowa in Sri Lanka.