Peter Behrens nel 150° anniversario della nascita: artefice del suo presente o patriarca proiettato nel futuro? L’architetto tedesco viene ricordato da tre mostre nel Nordreno-Vestfalia
COLONIA. «Geboren am 14. April 1868 in Hamburg. Im Übrigen Autodidakt» [Nato ad Amburgo il 14 aprile 1868, più che altro autodidatta] è l’umile a se stesso scritto una volta da Peter Behrens per presentarsi al grande pubblico.
Come non amare l‘artista-tuttofare amburghese non affetto, come il più dei suoi consimili, da manie di onnipotenza? Alleskönner -factotum dell’arte alias alleskünstler– ma mai insopportabile tuttologo à-la Eco, di squisita riservatezza e dall’aspetto fisico di un Buddenbroock, il suo è uno di quei nomi che fanno tremare (di piacere) le vene e i polsi agli amanti di architettura e del periodo storico a cavallo fra i due secoli XIX-XX. Molto, moltissimo di quello che associamo alla fioritura delle arti tutte nel principiare del Secolo breve lo si deve a lui, pioniere dello Jugendstil tedesco e della moderna disciplina del design industriale: dal celeberrimo bacio fra due giovani esseri dalle capigliature fuse in un silvestre abbraccio, alle suppellettili eleganti dei servizi da the o da sherry o le posate Art Nouveau, dal colossale “tempio del progresso e del lavoro” Turbinenfabrik per AEG, alla Casa dell’Artista-Haus Behrens per la Künstlerkolonie sulle colline di Darmstadt, fino alla scritta germanica ma non troppo (“Dem deutschen Volke”) sul frontone del Reichstag a Berlino e allo spettacolare, quasi sacrale Peter-Behrens-Bau nell’Industrienpark Höchst a Francoforte. Pittore, architetto, artigiano, designer, tipografo, scrittore, intellettuale, Behrens è stato figura emblematica di un periodo storico di incredibili varietà e ricchezza artistiche, eppure meno noto ai più rispetto ai “quattro maestri” (e di tutti loro messi insieme assai più simpatico!), ben tre dei quali furono tuttavia suoi allievi e giovani collaboratori: Mies, Le Corbusier e Gropius. Tanto prolifico quanto misterioso, forse per la grande varietà di un’attività pressoché onnisciente; o forse per la sua assai movimentata ma discreta biografia, chiusasi miseramente, in maniera piuttosto incomprensibile per un uomo della sua importanza. Capace di farsi amare – senza volerlo, come il grande Furtwängler – persino dal Führer, che pendendo dalle labbra del pupillo Albert Speer, del nostro assoluto ammiratore, poté chiudere un occhio persino di fronte alla sua liason amorosa con Else Oppler-Legband, assai famosa artista-architetta ebrea, scampata grazie al suo aiuto all’Olocausto.
Di lui ci rimangono scritti di notevole bellezza e profonda cultura filosofica (nietzschiano della prim’ora), quadri di giovane pittore, esercizi di Gesamtkunstwerk per eccellenza e di neonato design.
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Le mostre
Tre mostre lo celebrano oggi in Germania
– fra Colonia, Oberhausen e Krefeld, nel Nordrhein-Westfalen – a mo’ di prologo all’imminente giubileo (1919-2019) del Bauhaus e in seno al progetto coordinato “100 jahre bauhaus im westen. Gestaltung und Demokratie. Neubeginn und Weichenstellungen im Rheinland und in Westfalen” e di tributo al suo predecessore, per molti padre ispiratore.
La più importante e ricca delle tre, all’interessante Museum für angewandte Kunst-Köln (a due passi dalla cattedrale di Colonia), è, senza tema di cadere in eccessive lodi, strepitosa: espone 230 oggetti di grande bellezza – molti inediti – in 8 sale tematiche, fra dettagli tipografici di logo e monogrammi e caratteri di neo-invenzione behrensiana, disegni e dipinti, progetti di architettura amatoriale di successo dei primi anni e design industriale ante-litteram, strumenti musicali e mobilia, carta da parati e tovaglie, tutto il mondo della AEG-Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft per cui lavorò -factotum creativo dal 1907- progettando bollitori elettrici, lampade, radiatori, manifesti e poster, articoli di cancelleria e francobolli pubblicitari. Focus della mostra è la produzione di passaggio dallo Jugendstil alla Neue Sachlichkeit (1894-1914) dove solo le architetture non possono (giocoforza) essere presenti in corpo, ma ovunque accompagnano il pubblico nel percorso attraverso le sale, con la pluricitata opera prima, l’Haus Behrens (1901) alla colonia di artisti di Ernst Ludwig von Hessen a Darmstadt o la Tonhaus “in der Kölner Flora” (1906, Colonia) entrambe progettate “im Sinne harmonischer Gesamtkunst”, fra celebri “caffettiere che ridono” e preziosi dettagli di introversione domestica nordica.
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Invece, la seconda mostra, a Oberhausen – “Peter Behrens – Kunst und Technik. Ausstellung zum 150. Geburtstag” – all’Industriemuseum LVR (edificio centrale dell’ex GHH progettato da Behrens stesso nel 1920-25), diventerà parte integrante della collezione stabile del museo, con disegni autografi e modelli in legno realizzati dagli allievi della Peter Behrens School of Arts-Hochschule Düsseldorf.
Infine, la terza mostra (“Das Praktische und das Ideale – Peter BEHRENS”), al Kaiser Wilhelm Museum-Kunstmuseen Krefeld, è incentrata sulla produzione grafica del maestro amburghese.
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Ecco che quel mite e schivo autodidatta – altresì «powerful, profound, serious genius» per Le Corbusier – ottiene finalmente giustizia più nell’organica presentazione di un’opera omnia grandiosa per risultati e dimensioni che nel forzato tentativo di attribuirgli a tutti i costi la paternità di qualcosa a venire: nella fattispecie, il Bauhaus. Perché definire Behrens esponente di un’età di passaggio, patriarca di una nuova generazione, quando fu interprete massimo e raffinato del proprio presente? Behrens fu sì maestro di molti nomi noti ma anche e soprattutto co-fondatore del Deutscher Werkbund; fu a fianco di Hermann Muthesius nel definire una nuova dimensione estetico-pratica dell’architettura domestica; partecipò al miracolo della Repubblica di Weimar; fu il primo vero e proprio corporate designer di tutti i tempi; successe a Hans Poelzig in qualità di preside della facoltà di architettura berlinese; lavorò alacremente e con passione, mai dicendo una parola sulla questione razziale – come tutti gli altri, nessuno escluso, fecero –; amò e praticò Nietzsche, ma senza scadere mai in tensioni distruttrici o dissacranti in un superomismo che si presterebbe altrimenti ad interpretazioni altre della sua attività, operando «sotto il segno apollineo dell’organizzazione industriale… [quale premessa] di una nuova totalità, di nuova classicità, di conservazione della Kultur, potenziata dal suo assorbire l’antitesi della Zivilisation» (Manfredo Tafuri e Francesco del Co, 1992).
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17 marzo – 1 luglio 2018
#alleskönner
Peter Behrens zum 150. Geburtstag
makk–Museum für angewandte Künst Köln (Museo per le arti applicate, Colonia)
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dal 28 aprile 2018
Peter Behrens – Kunst und Technik. Ausstellung zum 150. Geburtstag
LVR Industriemuseum Oberhausen (Oberhausen NRW)
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18 maggio – 14 ottobre 2018
Das Praktische und das Ideale – Peter BEHRENS
Kunstmuseen Krefeld – Kaiser Wilhelm Museum (Krefeld NRW)
– Casabella CONTINUITÀ 240 (06/1960): Numero dedicato a Peter Behrens. Con saggi e testi di Ernesto N. Rogers, Vittorio Gregotti, Silvano Tintori, Aldo Rossi, Matilde Baffa e Luidi Airaldi. Rozzano, Editoriale Domus, 1960.
– Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co, Architettura contemporanea, Milano, Electa, 1992.
– Stanford Anderson, Peter Behrens. 1868-1940, Milano, Electa, 2002.
– Hartmut Frank und Karin Lelonek (Hrsg.), Peter Behrens: Zeitloses und Zeitbewegtes. Aufsätze, Vorträge, Gespräche: 1900–1932, München • Hamburg, Dölling und Galitz Verlag, 2015.
Per chi mastica il tedesco, un interessante contributo online per i 100 anni dell’iscrizione, firmata Behrens, del Reichstag: https://www.tagesspiegel.de
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allestimenti , bauhaus , design , germania , mostre
Last modified: 20 Aprile 2018