Nell’ambito della collaborazione con DOCOMOMO Italia, riflettiamo sulle opportunità e i rischi nel restauro e riuso dell’edificio sotto tutela progettato negli anni sessanta da Giuseppe Davanzo (nel frattempo celebrato da una mostra allo IUAV)
PADOVA. Siamo alla vigilia del risveglio della Bella Addormentata? Il sonno è stato lungo per la ”reggia delle vacche” progettata e realizzata dall’architetto Giuseppe Davanzo (1921-2007) nel 1965-68: è adagiata in un angolo periferico della città, assediata da tangenziale, ferrovia, vecchi gasometri, serbatoi dell’acqua, ha funzionato poco come foro boario, funzione per la quale era nata. Tagliata fuori dall’economia, s’è guadagnata subito quell’ex davanti a foro boario senza diventare altro. La sua articolata composizione è servita ad ospitare piccoli uffici, la sede di un’associazione e le due grandi piramidi dell’edificio principale sono diventate magazzino del Comune. Ha dormito invecchiando quella che l’Iuav di Venezia in un suo dossier ha definito gibigianna, ovvero «donna che ostenta charme ed eleganza». Sta per compiere cinquant’anni, non le hanno fatto alcun lifting, il cemento composto con perfezione innovativa comincia a mostrare qualche ruga. Ma rimane bella. Così bella che a suo tempo erano fioccati premi: nel 1966 quello «per un’idea architettonica» al progetto, nel 1969 il Premio In/Arch; nel 1979 il MoMA di New York ha chiesto la documentazione dell’opera per il suo archivio di Modern Architecture. Così bella che nel 2008, in pieno abbandono, assediata perfino da estemporanei rifugi rom, la Soprintendenza allora guidata da Guglielmo Monti la sottopose al vincolo monumentale: «Elemento di qualificazione attiva ed episodio di altissima emergenza panoramica nell’ambiente urbano circostante definito in modo totalmente inedito», «presenza macroscopica esaltante»… Un vincolo apposto facendo le capriole, perché l’edificio era giovane, meno di mezzo secolo, ed era difficile sfruttare il diritto d’autore. Ma innovativo nella sostanza, caso unico in Italia: appigliandosi alla lettera D del comma 3 dell’articolo 10 del Codice dei Beni culturali, si sottolineava anche la peculiarità di un’opera decisa e realizzata dall’amministrazione pubblica, insomma un esempio di buon governo. La ”cattedrale”, come la chiamano ora, è sempre rimasta di proprietà comunale. Anche oggi, dicono in Soprintendenza, di fronte a quel vincolo «ci dobbiamo mettere sull’attenti», «bisogna conservare la demanialità, capire i margini sulla destinazione». Perché, appunto, oggi c’è una possibile destinazione.
S’è fatta avanti la multinazionale francese Leroy Merlin con un progetto per farne un suo centro commerciale. Più che il progetto, pesano sulla bilancia della decisione i 32 milioni offerti per il restauro, la riqualificazione dell’area, la sistemazione della viabilità. Non era mai successo, negli ultimi decenni. Attorno a quell’oggetto architettonico sconosciuto ai padovani se non per un’occhiata frettolosa correndo in tangenziale erano nate idee, perfino un convegno nel 2014, perfino divertissement utopici di architetti fantasiosi. Una ”città dei ragazzi” a sfondo commerciale, un museo dell’architettura, una cittadella della musica (a fianco sorge un tendone/struttura temporaneo ma stabilizzato per concerti, il Gran Teatro Geox): tutte parole rimaste a mezz’aria, in assenza di fondi da investire. È chiaro che Leroy Merlin è apparsa come la salvatrice della patria. Tanto che la precedente amministrazione civica (sindaco Massimo Bitonci, leghista) dice sì in men che non si dica. Cade Bitonci, ma i due commissari prefettizi che lo sostituiscono approntano a massima velocità un bando che ha un’unica concorrente e ovviamente un unico aggiudicatario: Leroy Merlin. Per cinquant’anni avrà la concessione dell’area e in cambio investirà i suoi 32 milioni. Ma come?
Di qui i problemi che a propria volta hanno fatto nascere il Comitato Cattedrale Davanzo, cittadini che immaginano soluzioni diverse, o perlomeno concordate. Nel silenzio ufficiale di Leroy Merlin, il Comune prova a spiegare il proprio sì, ma non convince del tutto. Molti i punti di contrasto, a cominciare dal concetto generale di ”bene comune” totalmente ignorato. «Si svende una proprietà pubblica ad un privato per mezzo secolo», è la critica base. Per poi entrare nei dettagli: al restauro sono destinati solo 9 milioni, il resto ad una nuova viabilità per consentire accesso e deflusso, ma non è chiarissimo chi pagherà queste opere. Secondo le stesse cifre fornite dalla multinazionale, in 50 anni il profitto andrebbe per il 70% al privato e solo per il 30% al Comune. Senza contare i riflessi negativi sul piccolo commercio, l’impatto ambientale, i nuovi flussi di traffico attirati dal centro commerciale, lo stravolgimento della vita di alcuni quartierini contermini: siamo in una zona dove, accanto a dinosauri industriali abbandonati, ci sono ancora aree verdi e campi agricoli. E dove sono finiti tutti gli alati discorsi sulle periferie da risanare?
Sullo sfondo, anche qualche problema politico: a Padova ora amministra una giunta di centrosinistra, sindaco Sergio Giordani, vicesindaco Arturo Lorenzoni. Quest’ultimo è stato decisivo al ballottaggio con la sua Coalizione Civica, un rassemblement trasversale ma decisamente connotato a sinistra. Ora, è proprio una larga parte di Coalizione Civica a non vederci chiaro nell’operazione Leroy Merlin. D’altra parte è difficile, senza investitori alle spalle, mettere in piedi un progetto alternativo. Si dovrà mediare, ma sulla mediazione pesano la volontà politica e la ”potenza” economica. Un’emanazione del Comune, l’agenzia Agenda 21, nata per promuovere la partecipazione dei cittadini ai grandi progetti, ha organizzato 11 incontri pubblici. «Ma non per discutere – dice il Comitato Cattedrale -, solo per spiegare quel che era già deciso». Le conclusioni di Agenda 21, peraltro, danno indicazioni precise al Comune: no al sovrappasso così come progettato, una difesa e implementazione del verde molto più decisa, spostamento del tendone per concerti, creazione di un distretto di economia solidale… Un ruolo dovrà averlo anche la Soprintendenza, chiamata ad un compito difficile e delicato. Il Comune tira dritto. Per la paura di perdere Leroy Merlin giunge ad ipotizzare l’arrivo di fondi per una linea del tram tutta da inventare, che così pagherebbero in parte il famoso sovrappasso: «Un altro regalo ai privati», sospettano i detrattori.
L’omaggio dello IUAV
In questa partita complicata ma d’importanza vitale per l’ex foro boario, s’inserisce quasi per caso l’omaggio che l’Università IUAV di Venezia fa a Davanzo, suo docente. Una mostra nell’ex Cotonificio a Santa Marta («Il foro boario di Bepi Davanzo. Metrica di un’architettura sospesa», a cura di Roberta Albiero, Giovanni Mucelli e Martina Davanzo; spazio Gino Valle, fino al 13 aprile), racchiude nella penombra di un gioco di faretti tutto il percorso progettuale dell’ex foro boario: 120.000 mq di spazi e 35.000 mq edificati tutti in una stanza. Il fascino della composizione modulare di Davanzo, ispirata ai tendoni da circo o a quelli delle fiere rurali, ma realizzata con rigorosissima razionalità geometrica, ha affascinato i ragazzi dell’Atelier di sostenibilità ambientale. Ne hanno riprodotto anima e scheletro in pregevoli modellini in 3D, ne hanno immaginato un futuro che mette insieme artigianato ed e-commerce. Martina Davanzo, figlia di Giuseppe ed architetta a sua volta, non ha usato mezze parole: «La ”cattedrale” va salvata dall’arroganza del presente. C’è l’incapacità di capirne il valore e quindi di salvaguardarla. L’attuale occasione di recupero è un bene per un verso, ma un grande rischio dall’altro. L’amministrazione deve essere consapevole di rappresentare i cittadini e quindi la proprietà del bene». La mostra ha il patrocinio del Comune di Padova. Ma, all’inaugurazione, da Padova non è venuto nessuno.
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docomomo , padova , restauro
Last modified: 30 Marzo 2018
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[…] Photo Credits: Paolo MazzoSource: Veneto Vox, Il Giornale dell’ArchitetturaTER73 […]