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Pietro MezziWritten by: Città e Territorio

Climate change/2. Come si attrezzano gli Stati Uniti

Climate change/2. Come si attrezzano gli Stati Uniti

Le strategie e i piani di resilienza urbana a New Orleans, New York e Boston: processi innovativi capaci di connettere saperi e competenze utili a definire dei progetti modello

 

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Nel 2011 il Natural resource defence council, organizzazione non governativa americana, pubblicava il rapporto Thirsty for answers: preparing for the water-related impacts of climate change in american cities sul fenomeno dell’innalzamento del livello del mare negli Stati Uniti. Già allora lo studio metteva in guardia dai rischi d’inondazione delle aree costiere più vulnerabili e individuava dodici centri costieri maggiormente a rischio: New York, Boston, San Francisco, Los Angeles, Miami, New Orleans tra quelli più importanti. A qualche anno di distanza, alcune di queste grandi città hanno cominciato a mettere in pratica una serie di azioni di prevenzione allo scopo di aumentare la resilienza dei loro territori costieri urbani contro i rischi d’inondazione. Più recentemente, il National climate assessment ha prodotto una relazione sugli impatti del clima negli Stati Uniti, mettendo in evidenza, regione per regione, alcune delle possibili conseguenze. Lo studio indica come nel nord-est degli Usa, in circa cinquant’anni, si sia assistito a un aumento delle precipitazioni del 70%, mentre i ricercatori dell’Nca prevedono che il livello globale del mare aumenterà tra 30 e 120 cm entro il 2100. Nella regione sud-est, invece, l’innalzamento del livello marino produrrà un’accelerazione dell’intrusione di acqua salata nelle falde di acqua dolce. Nel Midwest, lo studio ha registrato una riduzione del 20% dell’estensione invernale del ghiaccio dei grandi laghi rispetto al valore registrato negli anni ’70. La regione delle Grandi pianure ha già assistito a episodi di precipitazioni più frequenti e intensi, che hanno determinato l’erosione del suolo. In Alaska, infine, il ghiaccio marino artico si è ridotto a circa la metà rispetto al livello del 1979.

Dopo Katrina, New Orleans cambia rotta

Il 23 agosto 2005 l’uragano Katrina si abbattè su New Orleans

, gli argini dei numerosi canali non ressero e la città fu sommersa dall’acqua. Al termine dell’uragano si contarono 1.836 vittime e danni per 81 miliardi di dollari. Quella data ha segnato la svolta in materia di gestione delle acque urbane di una delle più importanti deltacities al mondo. Qualche anno dopo Katrina, il Disaster recovery unit della Louisiana finanziò lo studio The Greater New Orleans Urban Water Plan per dotare l’area metropolitana  – un milione di abitanti – di una strategia globale, integrata e sostenibile di gestione delle risorse idriche a partire da alcune zone della metropoli. Il piano fu sviluppato da Waggonner&Ball Architects, uno studio di architettura di New Orleans e da un team di esperti olandesi e americani. Il risultato fu la redazione di un piano strategico di lungo periodo, il primo del suo genere negli Stati Uniti.

Il masterplan affronta tre questioni fondamentali: le inondazioni causate dalle forti precipitazioni, il fenomeno della subsidenza dovuto all’estrazione delle acque meteoriche, il cattivo uso delle risorse idriche. Il piano definisce anche gli impatti economici, le priorità, le fasi di intervento, gli strumenti finanziari e, infine, i potenziali partner delle singole operazioni. Il piano generale, la cui attuazione è stimata in oltre sei miliardi di dollari, prevede la realizzazione di sette progetti dimostrativi in tre differenti zone: Orleans, Jefferson e St. Bernard Parishes.

Il primo (Canal Street Canal) si concretizza in una chiusa azionata manualmente di un piccolo canale nei pressi di Old Metairie. Il successivo (Lakeview Flooting Street), nell’area di Orleans Parish, prevede un ridisegno della strada con capacità di stoccaggio delle acque in eccesso e il bilanciamento dei livelli di falda. Lafitte Blueway prevede la realizzazione di un parco lineare, il Lafitte Greenway, e la riqualificazione di un canale fatiscente nella zona di Mid-City a Orleans Parish, con lo scopo di stoccare le acque e ricaricare la falda. Il quarto progetto (Elmowwod Fields and Water Lanes) si concentra su un’area industriale con grandi parcheggi asfaltati e scarsa vegetazione e prevede di ridurre il deflusso delle acque dal centro commerciale con impianti di fitodepurazione, pavimentazioni permeabili, piantumazione di alberi e realizzazione di tetti verdi. Eastern Water Walk, il quinto progetto, integra il sistema di raccolta delle acque piovane e propone un boulevard verde quale spina dorsale principale dell’intera zona. Il corridoio verde centrale diventa così un percorso ciclopedonale e lo spazio per la raccolta delle acque piovane. Forty Arpent Canal Zone prevede il ridisegno generale della strada per lo stoccaggio delle acque piovane, il bilanciamento dei livelli di falda e la stabilizzazione delle infrastrutture più critiche. L’ultimo dei sette progetti, The Mirabeau Water Garden, sempre a Orleans Parish, misura più di 100.000 mq e prevede la raccolta delle acque dal sistema di drenaggio e la sua conservazione per l’uso ricreativo.

A distanza di qualche tempo dal varo del masterplan, procedono – anche se più lentamente del previsto – le attività di progettazione. In particolare quelle legate agli interventi nel distretto di Gentilly Resilience, che ha usufruito di un contributo di 140 milioni di dollari, e quelle della seconda fase di Mirabeau, oltre alle attività di coinvolgimento di gruppi di interesse attorno ai singoli progetti. Su tutte queste partite, il nuovo sindaco, il democratico Mitch Landrieu, ha costituito un suo team di collaboratori che ha il compito di seguire direttamente l’avanzamento delle opere.

New York, Rebuild by Design

Due giorni dopo il disastro prodotto dall’uragano Sandy del 29 ottobre 2012

, che sconvolse l’intera costa orientale statunitense e poi si abbatté sulla metropoli americana inondando strade, tunnel e metropolitane, lasciando la città al buio e facendo danni per oltre 63 miliardi di dollari, la Municipalità convocò i ricercatori della New York University e stanziò 200.000 dollari per integrare le loro ricerche al tema della resilienza urbana. Fu così che la Grande Mela iniziò ad affrontare gli effetti indotti dai cambiamenti climatici. Nel giugno 2013, il dipartimento di Housing and Urban Development (HUD) degli Stati Uniti varò Rebuild by Design, un’organizzazione il cui scopo è la cooperazione di istituzioni locali e federali, università, enti di ricerca e attori locali. In breve tempo è stato bandito un concorso che ha portato alla selezione di dieci progetti; sei dei quali, esattamente un anno dopo, nel giugno 2014 sono stati premiati e finanziati con i fondi federali sostenuti dalla città di New York e dagli stati di New York, New Jersey e Connecticut. Fondi che prevedono 930 milioni di dollari per le zone di New York, New Jersey e New York City e che sono compresi nei 2,5 miliardi di dollari riguardanti gli interventi nella regione dove Sandy ha colpito più forte.

L’esperienza di Rebuild by Design ha avuto indubbio successo e vasto apprezzamento, tanto da essere utilizzato come modello per altri processi simili: la collaborazione tra progettisti, ricercatori, governi locali e cittadini delle diverse comunità ha infatti generato un processo creativo innovativo, capace di connettere saperi e competenze utili a definire in concreto la resilienza urbana. «Big U» è il nome del progetto vincitore, predisposto da un folto team capitanato dai danesi BIG (Bjarke Ingels Group). Si tratta di una protezione continua attorno Manhattan, tra la 57^ e la 42^ strada, lunga dieci miglia, che ricomprende una delle zone più vulnerabili della città, in cui vivono 150.000 persone. Con questo progetto (denominato Bridging Berm), il Lower Est Side di Manhattan si trasformerà in parco, promenade e spazio giochi. Per lo sviluppo della proposta sono a disposizione 335 milioni di dollari stanziati dallo HUD. La conclusione degli interventi su Bridgeport è prevista nell’aprile del prossimo anno, su Manhattan un mese dopo, a maggio.

Il secondo progetto, che si concentra a Hoboken, nel Lower Hudson (New Jersey), ha un titolo eloquente: «Resist, delay, store, discharge». È opera degli olandesi OMA (premiato con 230 milioni). Sono previsti interventi infrastrutturali e di difesa delle coste, opere idrauliche per rallentare il flusso delle acque, un circuito d’infrastrutture verdi per immagazzinare e dirigere l’acqua in eccesso, pompe di sollevamento e percorsi alternativi per favorire il drenaggio. La fine dei lavori è prevista per maggio 2019.

Il progetto del team MIT CAU+ZUS+Urbanisten interviene nella zona di Meadowlands nel New Jersey. La proposta progettuale (150 milioni di dollari) si concentra su Little Ferry, Moonachie, Carlstad e Teterboro. Attraverso l’integrazione del sistema dei trasporti e il miglioramento delle condizioni ecologiche, il progetto trasformerà il bacino di Meadowlands da luogo rischioso a spazio di qualità. Fine prevista dei lavori, primi del prossimo anno.

«Living with the bay» è il progetto proposto da Interboro Team, un piano di resilienza per la contea di Nassau a Long Island (125 milioni). Prevede una serie di misure per mettere in sicurezza i residenti e aumentare la qualità economica, ecologica e sociale della zona. La conclusione degli interventi è prevista tra maggio 2019 e dicembre 2021.

Il team Landscape Architecture ha proposto «Scape», un progetto per il quartiere di Tottenville nello Staten Island a New York City (60 milioni). L’obiettivo è ridurre i rischi, riportare buone condizioni ambientali e creare una zona resiliente. L’ultimo dei sei progetti premiati (20 milioni) è «Hunts Point Lifelines», del team PennDesign/Olin. Per Hunts Point, quartiere del South Bronx a New York, il termine dei lavori è previsto per gennaio 2020.

Infine, con i fondi del concorso nazionale sulla resilienza, bandito nel 2016 dall’HUD, è stato finanziato il Lower Manhattan Coastal Resiliency, un progetto di protezione costiera per ridurre il rischio di alluvioni a Lower Manhattan. Esteso lungo la costa da Montgomery Street all’estremità di Battery Park City, per giungere al progetto di riqualificazione del waterfront cittadino ci sono voluti anni di studi; il termine dei lavori è previsto per luglio del prossimo anno.

Boston Living with Water

Già oggi Boston deve fare i conti con l’innalzamento delle acque dovute all’alta marea

. In preparazione dei cambiamenti climatici, nel 2014, due anni dopo il disastro di Sandy, il sindaco della città, Martin J. Walsh, bandì un concorso internazionale di progettazione, il Boston Living with Water, per dotare la città di progetti capaci di contrastare l’innalzamento del livello delle acque e contro le inondazioni. Al concorso parteciparono 50 gruppi di progettazione internazionali, che affrontarono anche il tema del futuro delle aree costiere, in particolare di tre zone critiche della città: il Prince Building, il Fort Point Channel e il Morrisey Boulevard, strada di accesso alla penisola di Columbia Point. Tre i team premiati nel 2015; tra questi il progetto «Total Approach Resilient» del gruppo di progettazione italiano Thetis di Venezia che, in collaborazione con lo studio Proap dell’architetto João Nunes di Lisbona, ha lavorato sulla trasformazione del Morrisey Boulevard, zona soggetta ad allagamenti in concomitanza di maree eccezionali. La proposta ha puntato a trasformare il sedime viario esistente in un’infrastruttura multifunzionale: la strada diventerà una barriera fisica a protezione dell’abitato in cui localizzare alcune funzioni di servizio come parcheggi, cisterne di stoccaggio dell’acqua, volumi tecnici. Il progetto interviene sull’adiacente penisola di Columbia Point con la rimodulazione degli argini e la riqualificazione ambientale e morfologica della fascia costiera. É anche prevista la gestione sostenibile delle risorse idriche attraverso il ciclo integrato delle acque, la fitodepurazione dei reflui urbani, l’utilizzo di tetti verdi e il contenimento delle superfici pavimentate. Gli altri due progetti vincitori hanno riguardato, rispettivamente, gli interventi su Fort Point Channel e Prince Building: il primo, dal titolo «ReDeBoston 2100», progettato da ArchiTerra di Boston; il secondo, «Prince Piers Building», degli architetti Stephanie Goldberg e Mark Reed, sempre di Boston.

 

Autore

  • Pietro Mezzi

    Architetto e giornalista professionista. Per anni ha lavorato all’interno di redazioni di testate specializzate nel settore delle costruzioni. Attualmente come freelance scrive per riviste di architettura, design, edilizia e ambiente. È co-autore del libro “La città resiliente” (Altreconomia; 2016) e autore del libro "Fare Resilienza (Altreconomia, 2020)

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Last modified: 8 Giugno 2020