Per il giurista, i principi affermati si basano su argomentazioni fragili, in contrasto con la Costituzione: secondo l’articolo 36 il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro
La sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. V, n. 4614 del 3/10/2017), riconosciuta la legittimazione attiva degli Ordini professionali quali enti esponenziali della categoria unitariamente considerata nei confronti degli atti che si assumano lesivi dell’interesse istituzionale della categoria, ha accolto il ricorso del Comune di Catanzaro contro l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro ed altri, affermando la legittimazione attiva degli Ordini professionali quali enti esponenziali della categoria unitariamente considerata nei confronti di “atti che si assumano lesivi dell’interesse istituzionale della categoria”.
Il principio di diritto affermato è quello che: “la gratuità finanziaria, anche se non economica, del contratto si riflette sulla procedura di selezione, che non può non esservi in concreto adattata”. In conseguenza di quanto precede, “la sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro o di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica: il motivo che muove quest’ultimo è l’utilità costituita ex novo dall’opportunità di spendita dell’immagine, cioè la creazione di un nuovo bene immateriale”.
Tuttavia, le argomentazioni della sentenza del Consiglio di Stato a favore della tesi della possibile “gratuità” dell’attività professionale degli architetti e di altri ordini professionali in qualche modo collegati a tale professione appaiono molto fragili e deboli da sostenere. In particolare deve, infatti, tenersi in considerazione l’esistenza e la necessaria tutela di un principio generale e preminente quale quello desumibile da una corretta valutazione dell’art. 36 della Costituzione. Al comma 1 viene infatti disposto che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”: una disposizione assoluta e priva di qualsiasi limitazione, trattandosi di un diritto insuscettibile d’interpretazioni riduttive. Alla luce di tale principio generale deve, pertanto, essere valutata la particolare situazione del caso di specie: complesse e difficoltose attività di studio di problematiche tecniche, redazione di progetti, confronti “in loco” con la realtà naturalistica, dispendi economici e di energia già solo per la presentazione dei progetti, indipendentemente dall’esecuzione dei lavori programmati, una volta ottenuto l’affidamento del lavoro stesso.
Ne consegue l’assoluta inaccettabilità dell’(unico) esempio concreto addotto dalla commentata sentenza per sostenere la tesi contraria: ossia quello della “sponsorizzazione”, che non sarebbe un contratto a titolo gratuito, in quanto “alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro e di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica”. Ma il paragone con le sponsorizzazioni (sportive, di singole manifestazioni teatrali o culturali, di specifici prodotti, ecc.) appare francamente inaccettabile, dato che in quel caso si tratta di singoli e ben determinati eventi. Il che nulla ha a che vedere con il lavoro (ampio e profondo) richiesto per la redazione di un Piano generale urbanistico di un’importante città capoluogo di regione come Catanzaro. Non senza dimenticare che la Calabria è affetta da un alto livello di abusivismo urbanistico, e quindi la redazione di tale piano risulta essere un compito professionale di notevole difficoltà.
In conclusione, quindi, il principio affermato dalla sentenza deve essere fortemente e decisamente criticato per diverse ragioni. In primis perché la decisione del Consiglio di Stato appare in contrasto o con l’art. 36 della Costituzione e con tutte le norme civili, amministrative e penali a tutela di qualsiasi forma di lavoro. L’argomentazione che richiama il fenomeno delle sponsorizzazioni sportive attiene inoltre a un tipo di attività che nulla ha a che vedere con la specifica attività di alto carattere professionale quale quella per cui è stato fatto ricorso (a norma di legge) al bando pubblico. Si ha infine l’impressione che a sostegno della decisione giurisdizionale si sia voluto dare un valore soltanto simbolico di tipo esclusivamente “politico”, come tale inaccettabile in sede giudiziaria.
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equo compenso
Last modified: 13 Dicembre 2017