Una riflessione del presidente di DOCOMOMO Italia alla luce delle recenti modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
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Il cosiddetto “Secolo breve” è, oggi, in primo piano finanche nei programmi TV e nella scuola dell’obbligo. Dovrebbe sollecitare norme di tutela adeguate sulla sua produzione in campo artistico e architettonico. E invece, l’articolo 175 della legge 4.8.2017 n.124, con il 171 e il 176, introduce modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio avulse da ogni organica riconsiderazione della legge.
In Italia (unica nazione al mondo!) dal 2011 vigeva una duplice limitazione temporale al vincolo sui beni immobili: 50 anni dalla realizzazione dell’opera, se di proprietà privata; 70, se di proprietà pubblica. Col risultato che opere pubbliche di eccezionale valore, note in tutto il mondo, realizzate tra gli anni ’40 e ’60 del ‘900, sono senza tutela. Si pensi, per fare solo un esempio, ai capolavori di Pier Luigi Nervi: non sono tutelati i padiglioni del Valentino a Torino; non le strutture romane delle Olimpiadi del ’60. Tutte opere pubbliche. Ma come si era potuto collegare la natura contingente e puntuale del regime di proprietà, con quella pubblicistica e collettiva dell’interesse culturale?
Ebbene, con l’ultima legge n. 124/2017 è stato ulteriormente modificato il comma 5 dell’art. 10 del Codice, estendendo il limite di 70 anni ai beni immobili di proprietà privata. Scompaiono, così, i 50 anni della ‘legge Nasi’ (1902: 115 anni fa!) escludendo tutto il secondo Novecento. Come se, nel frattempo, l’informatica non avesse rivoluzionato i tempi e i modi dell’informazione e della ricerca, consentendo procedure più rapide e non l’allungamento ma l’accorciamento della prospettiva storica.
Ma non basta. Si introduce nel comma 3 dell’art. 10 del Codice, con la norma d)bis, una nuova categoria di beni: le «cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione». Si noti che la qualifica «eccezionale», finora attribuita a due sole categorie di beni (raccolte librarie private e collezioni o serie di oggetti a chiunque appartenenti), sembra qui analogamente riferita al rapporto tra l’opera e «l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione», considerando, evidentemente, quest’ultimo una sorta di gigantesca collezione o serie di beni di cui l’opera in questione può essere qualificata come parte inscindibile. Per tale categoria viene, inoltre, riproposto il limite dei 50 anni dalla realizzazione che, con la morte dell’autore, ne condizionerebbe la tutela. Ma, a parte l’assurdità per cui i 50 anni sono abbondantemente trascorsi e l’autore è defunto da prima del Medioevo per i manufatti archeologici, resta poco chiara la coesistenza di due formulazioni dell’interesse “relazionale”: l’una, d), più generica; l’altra, d)bis, più specifica, con alcune incongruità e nuovamente con limiti alla tutela. Ma, soprattutto, restano tutti i dubbi interpretativi derivanti dalle misteriose qualifiche dell’interesse culturale: semplice, particolarmente importante, eccezionale, che fanno pensare a diverse modalità di tutela e valorizzazione.
Urge, dunque, una semplificazione e una chiarificazione della normativa che includa anche un’attenzione di tutela per le opere dell’intero Novecento.
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Immagine di copertina: le pessime condizioni in cui versa il Palazzetto dello Sport di Roma progettato da Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi per le Olimpiadi del 1960
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architettura del 900 a rischio , docomomo
Last modified: 17 Ottobre 2017