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Emanuele PiccardoWritten by: Professione e Formazione

Vito Acconci (1940-2017)

Vito Acconci (1940-2017)

Ha tentato lo sconfinamento disciplinare nell’architettura, ma rimarrà uno straordinario artista provocatore che ha contribuito a innovare il linguaggio dell’arte

 

Nato a New York e pioniere della body art, Acconci è stato un artista complesso fin dai suoi esordi sul finire degli anni sessanta come poeta sperimentale. La provocazione è stata centrale nella sua ricerca artistica. Egli ha sempre posto il suo corpo come medium, e il medium è il messaggio, scriveva Marshall McLuhan negli stessi anni. In uno dei suoi lavori più noti, “Following the piece” (1969), segue ogni giorno una persona a caso, scelta dalla strada, fino a quando non entra in uno spazio privato. «Una via d’uscita dalla scrivania dello scrittore per andare nella città», diceva l’artista, un modo di esplorare gli spazi urbani. Nel 1972 realizza alla Sonnabend Gallery di Soho la performance “Seedbed”, dove costruisce un falso piano ad angolo nel quale egli, seduto con un microfono, al passaggio delle persone si masturba, diventata nel tempo la pietra miliare della performance. Di fatto è interesse dell’artista newyorchese creare una destrutturazione della concezione dell’arte, fuori dal quadro e sempre più presente nella vita quotidiana.

La sua avanguardia è porre il proprio corpo come misura dello spazio e, come ha dichiarato nel 2016 al “New York Times”, «volevo che la gente attraversasse lo spazio in qualche modo, non avere persone davanti allo spazio, guardando qualcosa, inchinandosi a qualcosa». Questo atteggiamento sensoriale nel rapporto tra uomo e spazio, attraverso la performance, non ha mai avuto ripercussioni nell’architettura. Sono pochi gli architetti che, partendo da un approccio più artistico, riescono a introiettare nel progetto di architettura il punto di vista dell’artista, sicuramente più libero dai vincoli burocratici di un architetto, per poter esprimere il proprio linguaggio. In una intervista a Marc Santo sul portale Revel in New York, l’artista di origini italiane afferma che nella sua pratica artistica l’architettura è stata importante, soprattutto il messaggio degli Archigram in “Walking City” (1964) che lo ha convinto a lavorare nel contesto artistico.

L’attenzione verso lo spazio lo riversa nell’architettura fondando negli anni ottanta Acconci Studio. Questa nuova esperienza artistica segue un formalismo de-costruttivista che s’identifica in Mur Island, il ponte a forma di conchiglia realizzato per Graz capitale europea della cultura 2003 (nella foto a fianco). L’uso del digitale nei progetti di architettura se da un lato dimostra l’eclettismo di Acconci, dall’altro dimostra la debolezza nel controllo degli spazi troppo legati a un formalismo strutturale che nulla ha a che vedere, ad esempio, con le opere di Frank O. Gehry, dove l’uso del digitale avviene con maggiore consapevolezza ed efficacia. D’altronde lo sconfinamento disciplinare è sempre complicato, sia quando gli architetti ambiscono a ruoli più artistici, sia quando gli artisti producono architetture. Sono rari gli esempi efficaci: tra questi il gruppo dei Site, Didier Fiuza Faustino e Francois Roche.

Acconci rimarrà uno straordinario artista provocatore che, con le performance e il video, ha contribuito a innovare il linguaggio dell’arte.

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 2 Maggio 2017