Stefano Bernini, vicesindaco e assessore all’urbanistica di Genova riflette sulle criticità della regia pubblica nelle trasformazioni urbane. Con lui il Giornale apre un ciclo di inchieste sulle città metropolitane
—Genova città policentrica, fin dalla crisi del Porto negli anni ottanta si è confrontata con il suo fronte mare. Oggi, dopo il fallimento del concorso di idee “Blueprint” nato da una sorta di masterplan di Renzo Piano e regalato alla città, intervistiamo il vicesindaco e assessore all’urbanistica Stefano Bernini. Classe 1960, laureato in Economia, una lunga militanza nel PCI e poi DS occupandosi di temi legati all’economia e al lavoro, Bernini dal 2007 al 2012 è stato presidente del Municipio VI. Con lui facciamo il bilancio sulle trasformazioni urbane della Superba attuate dalla Giunta del sindaco Marco Doria. Questo rappresenta il primo appuntamento di una serie di interviste agli assessori all’urbanistica delle città metropolitane.—Genova è una città complessa e opaca nel rapporto tra politica e potere, ha vissuto della rendita statale per molti decenni. Come è cambiato questo rapporto nel tempo?Era la sede delle partecipazioni statali e il grande cambiamento si è avuto nella riduzione del loro peso economico. Così si è frantumato un sistema che era basato sulla manifattura e sulla ricerca tecnologica. La città ha sentito questo cambiamento. Abbiamo fatto un passo da gigante dal punto di vista turistico, ma non possiamo dimenticare che l’industria tecnologica può mantenere forte la città in termini di servizi e qualità della vita, d’altronde non si può vivere di solo turismo e porto…Proprio il rapporto tra politica ed economia ha nel porto la sua manifestazione più eclatante, soprattutto per l’impossibilità per qualsiasi nuovo investitore ad entrare nel porto di Genova per la resistenza di un oligopolio di imprenditori che impedisce ogni apertura verso il mercato e la concorrenza. Questo aspetto è legato a una città che ha preferito la conservazione di certi schemi politico-economici piuttosto che puntare sull’innovazione.—Questo aspetto del conservatorismo è evidente in ogni fase della storia della città. Forse è mancato un progetto politico di lunga visione. Negli anni Ottanta il sindaco Fulvio Cerofolini, difronte alla crisi del porto avviò un processo di trasformazione urbana, i cui benefici li vediamo ancora oggi…I benefici e anche le criticità irrisolte, soprattutto nell’area portuale ovvero aver mantenuto alcune attività che, essendo poco disponibili alla concorrenza-come dicevo prima- non fanno nulla per investire in un avanzamento tecnologico. Poi tutto questo è strettamente connesso alla pianificazione di una città. Durante l’elaborazione del PUC mi sono accorto che ne’ la parte politica ne’ quella economica erano interessate al processo di disegno della città. In questo senso il Blueprint è esemplare. Hai un problema che riguarda le riparazioni navali, in quanto provocano inquinamento? Come affronti il conflitto urbano tra una attività produttiva che alimenta una criticità e chi ci abita sopra (nel quartiere di Carignano), soprattutto se è la classe dirigente della città? Una possibile soluzione è limitare il problema dell’inquinamento, oppure fare fumo e incaricare un architetto famoso, Piano, così tutti sono contenti… —All’inizio lei non era in sintonia con il Blueprint…Il Blueprint nasce come una risposta mediatica a un problema. Invece di affrontare il problema e le relative soluzioni, costruisco intorno una immagine che possa aumentare il gradimento della città. È sbagliato! Gli abitanti dei quartieri intorno all’area di concorso non sono interessati affinché Piano gli disegni un canale navigabile, invece le attività delle riparazioni navali hanno realmente necessità di spazio. La risposta che fornisce Piano di ridisegnare quella parte di città, ha costi elevati e non tiene in considerazione che costruire un canale, innaturale per la costa ligure, necessità di tecnologie e risorse per il ricambio dell’acqua, quindi la ritengo sbagliata. Questo progetto è stato ideato da una vecchia classe dirigente (all’epoca era presidente della Regione Claudio Burlando sostenitore del Blueprint) con la certezza che un progetto redatto da Piano avrebbe messo tutti d’accordo. Di fatto lo Yacht Club è rimasto nella stessa area, sono sorti comitati contro l’inquinamento, e le riparazioni navali hanno preso accordi con il porto di Marsiglia. Inoltre non puoi fare un concorso di idee basato su un disegno con limiti così stringenti perché i grandi architetti non partecipano…—Però in Europa si agisce così, si fa un masterplan…Sì un masterplan ma con i soldi, qui invece hanno fatto un masterplan senza sapere chi farà le opere pubbliche…—Genova è una città dove le grandi trasformazioni urbane sono state il risultato di un progetto politico sostenuto anche dai governi: Colombiane (1992), G8 (2001) e infine la Capitale Europea della Cultura (2004). Oggi cosa manca all’azione politica locale perché venga accolta a livello nazionale dal governo?Ci sono meno risorse, ma quasi tutte le risorse date dal governo sono andate al dissesto idro-geologico. Il problema é riuscire a connettere una visione della città e di conseguenza la priorità degli investimenti, con l’esigenza di mantenere una buona qualità del sistema urbano. Non siamo riusciti a compensarla bene per meccanismi di conservazione. Forse uno degli errori fatti è stato rispondere ai grandi problemi del dissesto positivamente, senza rispondere in modo adeguato alla manutenzione ordinaria del territorio, anche se è diverso da municipio a municipio.—È evidente che c’è una crisi nella regia pubblica delle trasformazioni urbane che riguarda non solo Genova ma l’intero paese. Al di là del mero aspetto economico è un problema politico, come si può uscire da questa stagnazione?Le risorse sono decrescenti, quello che possiamo fare sono i project financing con i privati. A Genova abbiamo la Società per Cornigliano che è pubblica, nata per gestire la trasformazione dell’area dell’acciaieria Riva e le risorse vengono spese avendo una idea di città. La scelta fatta è far convivere le residenze con l’industria, insieme alla realizzazione della strada a mare che collega il nodo autostradale con il ponente della città, liberando altre zone dal traffico riqualificandole.—Il Blueprint è il terzo progetto che riguarda il fronte mare di Genova: il Piano Regolatore Portuale del 1998 di Stefano Boeri, l’Affresco sempre di Piano del 2004 che doveva essere la base del nuovo PUC. Sono state opportunità per lo sviluppo della città che non si sono concretizzate. Quale scenario ci aspetta adesso?Queste grandi visioni legate alla fascia costiera non sono facilmente trasformabili in azioni concrete. Le proprietà delle aree nel tempo hanno subito una sopravvalutazione del valore di mercato che oggi il mercato stesso non può più pagare. —Il concorso di idee è stato un fallimento, nessun vincitore è stato proclamato. Così ora chiunque abbia un finanziatore, potrà proporre al Comune un progetto anche speculativo senza nessuna regia pubblica e richiamando solo sulla carta le indicazioni di Piano…Spero sia possibile per qualcuno che ha un finanziatore e realizzi un progetto.—La mancanza di risorse è stata la ragione per cui è stato fatto un concorso di idee e non un concorso internazionale di architettura…È quello che avrei preferito io! Il presupposto del concorso internazionale era non avere il Blueprint, o meglio non con limiti così stretti. La ragione dei miei contrasti con Piano era proprio sulla rigidità del suo disegno. —La rigidità del Blueprint è stato criticata dai partecipanti al concorso di idee, soprattutto nei metri quadri destinati alle residenze (11.000 mq)… Già il masterplan è una sorta di speculazione, non si riesce mai a fare un progetto di trasformazione urbana senza le residenze?
Probabilmente questa volumetria è stata imposta da Spim Genova (la società comunale per la gestione degli immobili che ha gestito il concorso). Il PUC gli dava già queste possibilità, ponendo le basi affinché il Comune acquistasse le aree della Fiera, oggetto del Blueprint, accendendo un mutuo con la BNL nella previsione di attuare un progetto di trasformazione urbana attraverso il project financing. Dopo, Burlando, ha chiamato Renzo Piano ma non sono partiti dai bisogni della città…
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Infatti il Blueprint non sarà oggetto di dibattito, non è questo il problema della città…
Volerlo creare come problema della città è stato l’errore di questa amministrazione.
Però io l’avevo detto.
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Rimangono ancora molti nodi irrisolti della città, dalle periferie ai trasporti. Lei ha ereditato l’assessorato all’Urbanistica dalla giunta Vincenzi, che bilancio fa di questi cinque anni?
Ho ereditato un PUC pieno di criticità, dove la gran parte di chi dibatteva poneva questioni ambientali, era il periodo in cui l’ex sindaco Vincenzi era indagata per l’alluvione. Il percorso di ascolto ha consentito di avere una componente strategica della pianificazione, liberando dalla presenza industriale la parte più abitata, senza però togliere produttività. È un disegno che sta andando avanti attraverso i finanziamenti del CIPE per riqualificare e costruire nuove stazioni della ferrovia metropolitana a ponente del porto. Sicuramente è più difficile intervenire nella parte di Levante della città, storicamente luogo residenziale di eccellenza, dove però recuperiamo l’ex Ospedale psichiatrico di Quarto sempre con funzioni sanitarie pubbliche, ridisegnando tutta l’area anche dal punto di vista infrastrutturale, evitando speculazioni che la giunta regionale di Burlando aveva previsto con la cartolarizzazione degli immobili.
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genova , renzo piano , rigenerazione urbana
Last modified: 27 Aprile 2017