Le riflessioni di Kant e altri sul grande sisma che sconvolse Lisbona nel 1755 non ci hanno insegnato nulla…
“Comincerò dalla storia dell’ultimo terremoto. Non intendo riportare la cronaca delle sofferenze che esso ha inflitto agli uomini, né fornire l’elenco delle città rase al suolo o degli abitanti sepolti sotto le macerie. Bisognerebbe mettere assieme tutto ciò che l’immaginazione può rappresentarsi di terribile per riuscire a farsi un’idea approssimativa dello sgomento che coglie gli uomini quando la terra sotto i loro piedi si muove, quando tutto crolla loro intorno, quando le acque sconvolte sin negli abissi completano la sciagura con le inondazioni, quando la paura della morte, la disperazione per la perdita completa di tutti i beni, e infine la vista di altri infelici abbattono anche gli animi dei più coraggiosi”. Con queste parole Immanuel Kant (Storia e descrizione naturale degli straordinari eventi del terremoto che alla fine del 1755 ha scosso gran parte della terra, 1756) descrive le “sorprendenti circostanze naturali che hanno accompagnato il terribile evento” del terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755, dalle quali si coglie l’universalità del dolore, dello sgomento e dell’assoluta incertezza che si vede impressa sui volti dei sopravvissuti al terremoto del 24 agosto 2016 del centro Italia.
La drammaticità di questi eventi non cambia con il passare dei secoli. Lo si scorge nelle immagini televisive in diretta da Amatrice come nei dipinti e nei disegni del Settecento di Lisbona. Così come non si è modificato, in duecentocinquant’anni, l’atteggiamento dello spettatore che, come già Lucrezio evidenziava ne La natura, non consiste nell’essere lieti dello spettacolo, ma nella tranquillità di non esserne coinvolti. La differenza fra le due tragedie è stata la velocità del propagarsi della notizia che all’epoca mise venti giorni per arrivare a Parigi e un mese e mezzo per giungere fino alla lontanissima Königsberg di Kant.
Malgrado la lentezza della diffusione delle informazioni, il terremoto di Lisbona è la prima catastrofe naturale ad assumere le connotazione di un evento globale. I maggiori intellettuali dell’epoca si sono espressi e hanno dato vita ad aspre polemiche morali e dispute scientifiche sulle ragioni e sulle conseguenze dell’evento. Il disastro di Lisbona segna profondamente il pensiero di Voltaire, contribuisce ad attenuare l’ottimismo di Rousseau e consolida l’approccio illuminista di Kant. La ricerca per dare una spiegazione all’evento porta a un profondo cambio di paradigma, inducendo ad individuare la ragione delle sofferenze nell’azione edificatoria dell’uomo e non nel suo atteggiamento morale negativo; con la conseguenza di guardare all’ambiente naturale, a cui l’essere umano risulta indifferente, con curiosità scientifica. Questa insensibilità da parte della natura verso l’uomo, settant’anni più tardi, viene evocata con forza da Leopardi nel Dialogo fra la Natura e un islandese, dove la Natura dopo aver chiarito che è un’illusione il pensare il mondo come una creatura per l’uomo afferma: “Finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvederei” (Operette morali).
Con il terremoto di Lisbona hanno avuto inizio due processi di rilevanza storica: il primo individuabile nel lungo crepuscolo della scienza antica; il secondo, non ancora concluso, consistente nel lento allontanamento dall’antropocentrismo. Kant, in uno dei suoi scritti sul terremoto, si pone il problema della necessità dei terremoti e dell’opportunità della costruzione di lussuosi palazzi, concludendo che “è l’uomo a doversi adattare alla natura, mentre egli pretenderebbe che avvenisse il contrario”. Questa presa di coscienza è ribadita anche da Rousseau (Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona, 1756) quando evidenzia le responsabilità dell’uomo per costruzioni inadeguate situate in luoghi a rischio e con organizzazioni urbanistiche che amplificano gli effetti del sisma. Le prese di posizione dei maggiori intellettuali del Settecento possono apparire banali constatazioni se non inserite nel contesto delle conoscenze scientifiche e delle convinzioni diffuse dell’epoca. L’approccio razionale al terremoto di Lisbona ha contribuito a diffondere lo sguardo sul mondo attraverso gli occhi della scienza; sguardo che invece fino ad allora si era basato, quasi esclusivamente, su credenze ed opinioni.
Risulta del tutto incomprensibile per quali ragioni le analisi degli effetti del terremoto, iniziate in epoca illuminista, non siano state considerate, nella loro totalità, nelle ricostruzioni neanche in ambito contemporaneo. Sembra persistere nell’uomo un ostinato fatalismo che gli nega l’importanza dell’esperienza. L’atteggiamento legato alle catastrofi che viene assunto in Italia è ancora quello denunciato da Kant, due secoli e mezzo fa, che consiste nell’essere “incuranti del destino che magari presto potrà abbattersi anche su di noi, ci abbandoniamo alla compassione piuttosto che alla paura quando apprendiamo della devastazione che ha causato vicino a noi quella stessa rovina che se ne sta celata in agguato anche sotto i nostri piedi” (Sulle cause dei terremoti in occasione della sciagura che ha colpito le terre occidentali d’Europa verso la fine dell’anno trascorso, 1756).
L’atteggiamento superstizioso di fronte agli eventi naturali che ha caratterizzato il passato, oggi è stato sostituito da un pessimismo ambientale, da una visione negativa del territorio e soprattutto dall’aspra polemica accusatoria – alimentata da mass media e social network – volta dalla ricerca di un capro espiatorio. Individuare il giusto approccio a queste tragedie non è possibile; tuttavia vi sono ambiti, apparentemente molto marginali, ai quali si può fare riferimento. È il caso del significato delle parole, che oltre ad essere importante a livello di toponomastica (spesso evidenzia il rischio di alcuni luoghi) può suggerire possibili soluzioni percorribili. La parola catastrofe è formata dall’etimo strépho il cui significato è anche quello di “girare”, “cambiare direzione”. Questa interpretazione induce a identificare il lemma non con il significato di fine intesa come annientamento ma nel senso di trasformazione, riadattamento.
L’occasione del cambiamento è data dalla ricostruzione a condizione che quest’ultima risulti il più possibile rapida e sostenibile a livello sia ambientale sia di costi. Una soluzione possibile la suggerisce ancora una volta Kant quando, nel medesimo scritto di cui sopra, a proposito del Perù e del Cile che sono fra i paesi al mondo più colpiti dai sismi, egli osserva “come, in quei luoghi, si segua la precauzione di costruire case a non più di due piani di cui solo quello inferiore in muratura, mentre quello superiore fatto di canna e legno leggero per non crollare sotto l’urto delle scosse”.
Kant non lo poteva sapere, ma le strutture in legno possono elevarsi fino a sette piani in assoluta sicurezza sismica, come è stato dimostrato da una tecnica nata in Germania e perfezionata in Italia, grazie alla collaborazione tra l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ivalsa) e la Provincia Autonoma di Trento. L’utilizzo del legno come materiale principale per la ricostruzione, oltre a garantire le caratteristiche di resistenza rispetto alle forze sismiche, potrebbe aprire interessanti prospettive economiche a livello locale legate alla selvicoltura.
È auspicabile che come il terremoto di Lisbona abbia risvegliato le coscienze e abbia contribuito all’”uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso” (Kant, Risposta alla domanda. Che cos’è illuminismo, 1784), i terremoti che si sono susseguiti in Italia recentemente inducano a cambiare prospettiva individuando la prevenzione e la pianificazione a medio e lungo termine quali principali linee d’intervento. Il passaggio dallo stato di costante emergenza alla programmazione potrà permettere d’investire sulla prevenzione anziché sulla ricostruzione. Si tratta, per il Paese, di una vera opportunità di attuare la rivoluzione copernicana di kantiana memoria.
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Last modified: 4 Febbraio 2017
[…] Il Giornale dell’Architettura – 04.02.2017 […]