La consigliera Cnappc, coordinatrice del Dipartimento Formazione, parla di 24.000 corsi registrati dal luglio 2014 con il 15% di iscritti che rifiuta l’obbligo, tra ulteriore sviluppo futuro della piattaforma imateria e necessità di approfondire il dialogo con Università e Ordini
La riforma dell’ordinamento professionale del 2011 per gli architetti ha aperto la strada all’obbligo di formazione continua. Non troppo benvoluto da una parte della categoria, il primo triennio si avvia alla conclusione ed è possibile tracciare i primi bilanci, seppur non definitivi, e descrivere uno stato dell’arte, le criticità e le previsioni per il futuro. Ne abbiamo parlato con Ilaria Becco, consigliera coordinatrice del Dipartimento Formazione e qualificazione professionale del Cnappc.
Alla chiusura del primo triennio di formazione obbligatoria, qual è la situazione complessiva degli architetti italiani? Quale bilancio si può fare, tra criticità e cose che invece hanno funzionato?
L’introduzione dell’aggiornamento obbligatorio è stata una delle novità più rilevanti all’interno della riforma attuata nel nostro ordinamento professionale a partire dal 2011: è infatti la modifica che più ha inciso sull’intero sistema, sull’attività degli iscritti, degli Ordini professionali e del Consiglio Nazionale degli Architetti. Come ogni cambiamento ha avuto bisogno di un periodo di avviamento e di rodaggio: siamo partiti all’inizio del 2014 senza un’adeguata organizzazione e con la difficoltà, da parte di molti iscritti, di comprendere le reali motivazioni che stanno alla base di un obbligo che, non dimentichiamo, ci deriva dalla legislazione europea ed è finalizzato a garantire la qualità della prestazione nell’interesse della collettività.
Sono state oltre 24.000 le attività formative registrate dal luglio 2014 sulla piattaforma nazionale, un numero che testimonia l’enorme lavoro da parte della rete degli Ordini territoriali per assicurare un’offerta formativa di qualità, a costi contenuti e diversificata per argomenti e tipologia di erogazione (attività frontali e formazione fad). Oggi il 70% degli iscritti ha acquisito tra il 50% e il 100% dei crediti richiesti con un 45% di colleghi che ha già raggiunto o abbondantemente superato il numero dei cfp obbligatori. Purtroppo c’è ancora un 15% di iscritti che rifiuta l’obbligo formativo ed è obiettivo comune cercare di mettere in campo tutte le iniziative possibili per ridurre il più possibile questi numeri entro la fine del semestre di ravvedimento previsto dalle Linee guida. Certo il percorso non è concluso e molti sono i passi avanti che possiamo/dobbiamo ancora fare e su cui il Consiglio nazionale, insieme a tutti gli Ordini, sta lavorando, ma ritengo, comunque, che il bilancio sia positivo.
A livello di Regolamento, dal prossimo triennio ci saranno modifiche e correzioni. Quali sono le principali novità?
Il nuovo Consiglio nazionale ha iniziato, subito dopo l’insediamento, un percorso di confronto con tutti gli Ordini italiani finalizzato a semplificare, in seguito all’esperienza del primo triennio, il sistema di regole che governano l’aggiornamento professionale continuo con proposte di modifica sia del “Regolamento per l’aggiornamento e sviluppo professionale continuo”, emanato in attuazione dell’articolo 7 del dpr 7 agosto 2012 n. 137 (entrato in vigore il 1° gennaio 2014), che delle Linee guida (entrate in vigore dal 22 gennaio 2014). Tra le principali modifiche proposte: la semplificazione delle procedure, la conferma del numero minimo di 60 crediti da acquisire nel triennio, l’omogeneizzazione dell’attribuzione dei crediti (1 ora = 1 cfp), la definizione di una procedura disciplinare semplificata per il mancato adempimento formativo. Le proposte di modifica del Regolamento per divenire efficaci dovranno acquisire il parere favorevole del Ministro della Giustizia e dovranno essere, successivamente, pubblicate sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia.
Molti architetti ritengono che il sistema dei crediti obbligatori, già in vigore da anni in molte parti d’Europa, sia una perdita di tempo, oltre che un altro balzello sulle spalle di una categoria duramente colpita dalla crisi. Dal suo punto di osservazione, nella pratica si è rivelato realmente efficace o necessita di correzioni? È stato in grado di rispondere alle esigenze della categoria?
Credo, come ho già sottolineato, che il bilancio di questo primo triennio, considerate anche le difficoltà operative iniziali, possa considerarsi positivo: è stato fatto un grande lavoro dalla rete degli Ordini e dal Consiglio Nazionale per garantire una proposta formativa ampia e di qualità che possa rispondere alle esigenze di tutti gli iscritti e assicurare la libertà di scelta affermata dall’articolo 1 del nostro Regolamento sulla formazione. Il percorso non è concluso, anche perché sono molti i passi avanti che dobbiamo compiere riguardo a diversi aspetti, a partire da quelli operativi fino a quelli sostanziali di controllo della qualità di corsi. Per quanto riguarda i primi, gli obiettivi a breve termine sono l’implementazione dei nostri strumenti di gestione della formazione (ad esempio della nostra piattaforma nazionale) con la finalità, da un lato, di favorire l’interscambio delle attività formative e culturali organizzate dai singoli Ordini in modo da sviluppare economie di scala tra i territori, e dall’altro trasformare la piattaforma in una potenziale vetrina della professionalità e delle competenze specifiche degli iscritti attraverso la pubblicazione del curriculum individuale della formazione.
Altro tema importante è quello delle relazioni con tutti gli altri soggetti che si occupano di formazione, a partire dagli altri Ordini dell’area tecnica, con i quali sarà necessario avviare un’azione di coordinamento per omogeneizzare i relativi Regolamenti e per individuare crediti formativi interdisciplinari, fino ad arrivare all’Università, per stabilire, attraverso apposite convenzioni, regole comuni di riconoscimento dei crediti formativi professionali e universitari. Il tema della qualità dell’aggiornamento è un tema culturale e credo che i risultati si potranno raggiungere, nel tempo, solo attraverso la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, iscritti, Ordini, Cnappc, enti terzi accreditati.
Serve una maggiore consapevolezza degli iscritti, che devono essere i primi ad operare una selezione; serve il serio lavoro degli Ordini, molti dei quali hanno già operato, sulla scorta del primo triennio, meccanismi più stringenti di selezione delle proposte formative (ad esempio non concedendo l’accreditamento alle proposte con contenuti commerciali); serve una maggiore responsabilità degli enti terzi e il ruolo di controllo del Cnappc sulla loro attività. Da questo punto di vista le nuove regole che il Cnappc ha approvato in questi mesi vanno in questa direzione e potranno contribuire a garantire maggiori controlli qualitativi, soprattutto sulle proposte di formazione a distanza, sulle quali è ancora maggiore l’esigenza di verifica considerato il potenziale bacino di utenza.
Le ore annuali sulla deontologia, sulle quali, obbligatorie e obbligatoriamente gestite dagli Ordini, è difficile fare delle scelte, spesso sono viste scollate da molte realtà di esercizio della professione. Dopo il primo triennio (e le prime 12 ore), non sarebbe meglio pensare di togliere l’obbligatorietà? O di cambiare le formule?
L’obbligatorietà dell’acquisizione di crediti formativi sulle materie deontologiche esiste per tutte le professioni intellettuali ed è stata prevista per assicurare un’adeguata conoscenza da parte degli iscritti delle norme ordinamentali; si tratta pertanto di un obbligo strettamente connesso alla necessità di garantire, anche attraverso il rispetto del codice deontologico, il corretto svolgimento della professione e, per il suo tramite, alla compiuta realizzazione del compito che la società affida all’architetto. Il codice deontologico non è uno strumento statico e risente delle novità normative a cui viene costantemente adeguato: il codice che noi oggi utilizziamo, ad esempio, è entrato in vigore a gennaio del 2014 ed è frutto del recepimento delle novità e delle disposizioni di legge introdotte con la riforma delle professioni attuata a partire dal 2011. Tale processo di adeguamento è continuo e costante in quanto legato alla produzione normativa in tema di professione; nasce, quindi, l’esigenza di mantenere anche per i prossimi trienni l’obbligo di acquisire i crediti nelle materie ordinamentali con il fine di assicurare un’adeguata consapevolezza da parte degli iscritti dei doveri connessi all’esercizio della professione.
I dati confermano come la grande maggior parte dei corsi sia gestita dagli Ordini professionali, con enti accreditati che si dividono l’altra fetta di mercato. Perché secondo lei si è creata questa situazione di apparente privilegio? È giusta?
Dall’analisi dei dati sulla piattaforma nazionale sulla quale vengono pubblicate tutte le proposte formative, la proporzione tra l’attività formativa organizzata dagli Ordini e quella organizzata dagli enti terzi è di circa l’80% a favore dei primi. Tale proporzione è specchio di quanto prevede la normativa che mette in via preferenziale in capo agli Ordini provinciali l’organizzazione dell’attività formativa. Non credo si possa parlare di privilegio, al contrario, gli Ordini territoriali si sono sempre occupati di aggiornamento professionale, anche prima dell’entrata in vigore dell’obbligo e sono sicuramente i soggetti che meglio conoscono il mondo professionale e che meglio possono rispondere alle esigenze degli iscritti. Fattore non secondario, poi, è che sono enti pubblici non economici che, per loro natura, non possono avere fini commerciali nell’organizzazione dell’attività formativa e possono assicurare, quindi, a tutti gli iscritti di poter svolgere formazione a costi contenuti. La finalità che perseguono le società che richiedono l’accreditamento sono ovviamente diverse ma non vuole dire che non possano essere una risorsa. Uno degli obiettivi che il Cnappc si propone per il prossimo triennio è proprio quello di attivare un confronto costruttivo con questi soggetti basato da un lato su un maggiore controllo, e dall’altro sulla valorizzazione di coloro che propongono attività formative di qualità.
Nel complesso, pensa che sia questa la strada giusta per incrementare la qualità e il livello degli architetti italiani e rafforzare la loro competitività?
La nostra professione risulta in continua evoluzione e richiede la costante acquisizione di nuove competenze sia di tipo tecnico che culturale; la necessità di aggiornarsi fa parte del nostro dna. La formazione continua può sicuramente essere uno degli strumenti che possono aiutare a rafforzare la competitività degli architetti italiani se saremo in grado di produrre un’offerta formativa diversificata, qualificante e rispondente alle esigenze di un mercato sempre più difficile e che richiede nuove figure professionali in grado di gestire processi complessi. È evidente che l’aggiornamento da solo non è sufficiente e che un vero processo di qualificazione degli architetti non può non partire dall’origine, e quindi dall’università; instaurare un rapporto di maggiore sinergia tra mondo universitario e mondo professionale è sicuramente un passaggio indispensabile.
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Last modified: 27 Dicembre 2016